Malga Tombea e Malga Alpo

Monte Tombea gravelextreme

Sono le 5.22 di sabato 1° agosto quando parto da Polpenazze in direzione nord. Quest’anno avevo due obiettivi ghiaiosi: completare l’anello del Tremalzo ed arrivare a malga Tombea proprio sotto la cima del monte omonimo. Conquistato il primo proposito, oggi è il turno del secondo. Dopo aver visto la splendida traccia di Niccolò della scorsa settimana decido di salire dal lago d’Idro, questo mi darà la possibilità di scoprire anche un’altra salita per me inedita, quella di malga Alpo. Dopo aver scavallato i laghetti di Sovenigo, a Villanuova mi infilo nella ciclabile della Val Sabbia sempre molto bella, ma con numerosi tratti troppo complicati per la bdc. Oggi, invece, con la LinaBatista la percorro volentieri. Settimana scorsa in località Ponte Re (all’uscita di Barghe) è stato inaugurato un nuovo tratto che consente di evitare la statale del Caffaro lungo la quasi totalità dell’abitato di Vestone. Sono pochi chilometri, ma la particolarità e che per un centinaio di metri la ciclabile è sospesa sopra il fiume Chiese aggrappata alla montagna esattamente come la celebre ciclopista di Limone.

Decido di fermarmi nel parco di Vestone per riempire la prima borraccia oramai vuota e mangiare la prima barretta. Sono le 7.00 del mattino quando ritorno sulla statale, fortunatamente l’abbandono prima dell’abitato di Lavenone restando a destra vicino al Chiese. Rientro sulla principale prima di Idro ed ora la devo percorrere per tutta la lunghezza del lago. Essendo il primo sabato di agosto, nonostante l’ora (7.30 circa), il traffico inizia a farsi sentire. Ancora niente code, ma certo non le poche autovetture a cui sono abituato in questi orari. Ad Anfo passo davanti alla fontana che solitamente è tappa di rifornimento prima della salita al passo Baremone, vedo tre Exploro della 3T con altrettanti ciclisti intenti nell’approvvigionamento idrico. Li saluto, ricambiano, mi immagino che saliranno allo sterrato del Baremone e magari faranno tutto il crinale fino al Crocedomini. Finalmente giungo a Ponte Caffaro e svolto a destra nelle vie del paese levandomi di dosso il fastidioso rumore dei motori.

Da ora per parecchie ore di auto ne vedrò poche. Utilizzando parte della ciclabile scavalco il piccolo delta del Chiese che si immette nel lago. A Baitoni inizia la salita, sono poco più di 10km per giungere agli oltre 1.400m di Malga Alpo, la pendenza media supera di poco il 10%, tuttavia i primi 4km fino al borgo di Bondone sono più semplici con pendenza 7-9% ad eccezione di un breve tratto iniziale tra 10-12%.

Inizio a salire e dopo alcuni tornanti con splendida vista sul lago odo il vociare di alcuni ciclisti alle mie spalle. Mi volto, sono in tre, salgono di buon passo, ma in scioltezza. Dopo altri cinquecento metri mi raggiungono, mi salutano (sono i tre delle Exploro) e mi superano. Qualche istante dopo uno si gira e mi chiede: “Ma sei Marco, quello che mi ha scritto su Komoot?” “Sì, sei Niccolò!” rispondo io. Per un attimo rallentano un poco ed io accelero per poter scambiare due parole. Non pensavo proprio che avrebbe rifatto lo stesso giro la settimana successiva. Mi spiega che ai suoi due amici Eric e Simone interessava molto e così eccoli qua. Sfortunatamente io non ho il loro passo e devo lasciarli andare. Sarebbe stato interessante discorrere un po’ di più con Niccolò Varanini che ritengo uno dei migliori tracciatori. Proseguo la mia salita fino al borgo di Bondone, carino, appollaiato sulla montagna a 700m s.l.m. con splendida vista sul lago e sulla valle. Ad un tornante vedo un bar e seduti i tre Exploro si gustano un caffè, ci salutiamo. Esco dal paese, un cartello minaccioso allerta gli automobilisti sulla pericolosità e la pendenza della strada. Ora inizia la parte dura, ma anche quella più paesaggisticamente spettacolare. Si parte subito con un 15% e ci si infila nel bosco, la strada diviene stretta, nessun rumore se non il cinguettio degli uccelli ed il frusciare delle foglie al vento. Innesto sin da subito il rapporto più corto 30×40 e mantengo una cadenza alta, saranno quasi 6km per arrivare alla malga e voglio salvare la gamba il più possibile. Fortunatamente poco prima del terzo chilometro inizia una specie di falsopiano, per 500m la pendenza non supera il 6%. E’ qui che mi riprende Niccolò con i suoi amici, questa è una fortuna perché mi consente di stare qualche minuto con loro e conoscerci un po’.

Ovviamente finito il tratto facile la strada si fa cattiva, ma proprio tanto. Niccolò scappa in avanti con balzo felino per appostarsi e scattare le fotografie ai suoi compagni. Eric e Simone proseguono con agilità manco stessero pedalando in ciclabile, io mi affanno e vedo il GPS superare il 20% di pendenza più volte. Intravedo Niccolò all’uscita di un tornante mentre sta ripartendo dopo lo shooting, ci salutiamo a distanza, non li rivedrò più com’era prevedibile che fosse. Mi godo la mia salita su questo versante a me nuovo. Mi sorpassano, in momenti diversi, anche due ragazzi in bdc del B3L, vanno ancora più forte sembra stiano facendo una cronoscalata. Dopo il quinto chilometro da Bondone il bosco lascia spazio all’alpeggio, la vista si apre sulle montagne, il cielo è terso, un vero paradiso.

Inizio a vedere le prime malghe ed i cartelli indicano che ormai sono in località Malga Alpo. Anche la pendenza si addolcisce, per diventare nuovamente tosta solo in mezzo alle malghe. Abbandono per un attimo la strada che sale alla Bocca di Cablone per una deviazione all’abbeveratoio (saggiamente visto nello studiare la traccia di Niccolò). Mi fermo, è il momento della pausa pranzo, si fa per dire, dato che non sono ancora le dieci, ma pedalando da più di quattro ore ho proprio bisogno di reintegrare e questo è veramente un luogo fantastico per farlo.

Mangio, bevo, guardo la montagna che mi sovrasta e che dovrò scalare di lì a poco e faccio fotografie. Dopo un quarto d’ora abbondante riparto, imbocco la strada per il valico e inizio a salire. I primi 2,5km sono facili attraverso l’alpeggio ed il bosco. Al primo tornante a sinistra le cose si complicano e di parecchio come preventivato. La strada si impenna oltre il 10% ed il fondo si fa molto mosso e con sassi piuttosto grossi.

Oltrepasso la vecchia galleria militare, ormai siamo entrati nella zona di confine della Grande Guerra, provo a pedalare ancora, ma devo rinunciare a causa del fondo, un centinaio di metri e risalgo in sella arrivo al secondo ed al terzo tonante e li oltrepasso con grande fatica, la bici si impunta troppo spesso contro i sassi più grossi ed il posteriore slitta di frequente. Al quarto tornate decido che data la velocità in sella mi conviene proseguire a piedi e salvare la gamba. I cinque tornanti successivi sono meravigliosi, sono talmente assorto nel contemplare il paesaggio che quasi non mi accorgo di essere già oltre i 1.600m. Scatto alcune fotografie, da qui si possono osservare contemporaneamente Bagolino, la piana del Gaver, il Dosso Alto, i radar del Dosso dei Galli ed infine a nord in tutto il suo splendore il ghiacciaio dell’Adamello.

Provo a risalire in sella vedendo un tratto più facile alla ripartenza dal tornante otto, ma dura poco, ritorno a spinta, in realtà sono quasi a 1.700m e non manca molto alla Bocca di Cablone (1.775m). Sono quasi sorpreso quando scorgo il valico, la maestosità del paesaggio mi ha fatto perdere la cognizione del tempo, in realtà ho camminato per circa mezz’ora. Guardo verso est, riconosco il profilo delle montagne della Valvestino e del lago di Garda, sotto di me i fienili di Denai, aria di casa. Oggi, però, è il grande giorno di Malga Tombea, mi attende ancora più di un kilometro di salita sulla sterrata militare.

È li davanti a me intagliata nella roccia, un lungo rettilineo ghiaioso. Riparto, la pendenza media è 8%, ma nella parte centrale, per duecento metri, si torna ancora vicino a 20%. Riesco a percorrerla quasi tutta in sella forte del fatto che so di essere vicino alla meta. Quando la strada ritorna a salire in modo più confortevole ho la forza per guardarmi attorno. Sotto di me un gregge di pecore e sul ciglio della carrabile un ragazzotto (il pastore), ci salutiamo. Arrivo alla Malga, le giro tutt’attorno ed intanto osservo sia il monte Tombea, sia il Caplone poco più avanti.

Cerco di scorgere la traccia della mulattiera che porta al Caplone attraverso la Bocca di Campei. La osservo, so che i tre Exploro sono andati di là, percorso molto tecnico, più mtb che gravel. Da lì si può scendere a Bocca Lorina e poi scegliere o su al Tremalzo o giù a Tremosine. Per me oggi basta così, mi godo il Tombea da qua, da questo nuovo punto di osservazione. Mai ero salito così in alto in Valvestino, vedere Cima Rest (1.200m), che era il mio vecchio punto di riferimento con la bdc, dall’alto dei 1.800m del Tombea laggiù in fondo mi suscita un enorme stupore.

Unico neo, la foschia della calura estiva che salendo dal lago ne impedisce la vista, ma non si può aver tutto. Riparto e ritorno verso Bocca di Cablone per prendere la forestale che scende ai Fienili di Denai e a Magasa. Passo vicino al pastore, gli dico che nella piana vicino alla malga c’è un agnellino “disperso” che bela. Mi risponde con fare colorito: “Lo so. La vedi quella là, è la tr… di sua mamma che lo ha abbandonato. Dopo torniamo a prenderlo.” È incuriosito dalla mia bici, parliamo un po’ e scopro che è un vero pastore, di quelli che la transumanza la fanno per davvero, è partito da Montichiari a fine maggio e poco alla volta è salito fino a qui. Tra un paio di settimane inizierà la discesa, mi faccio spiegare il percorso, sono molto curioso, si stupisce un poco del fatto che io conosca tutti i luoghi che mi cita e che gli dica che ci sono passato in bici durante altri giri. Una curiosità mi assilla, siamo ad agosto, in questo periodo quando arrivano le perturbazioni piovose il brusco abbassamento di temperatura crea dei potenti temporali ed il Tombea è il monte più alto nell’arco di chilometri, un parafulmine naturale. Com’è stare qui chiusi dentro le spesse mura della malga? Anche stavolta la risposta è colorita: “C’è da cagarsi sotto!” Lo lascio al suo lavoro, non senza prima averlo ringraziato per la tradizione che porta avanti con caparbietà. Massimo rispetto! Ho i brividi ancora adesso che scrivo a pensare a lui. Inizio la discesa, interrotta molteplici volte per fotografie varie.

Dopo il Cablone la strada è ancora molto mossa e scoscesa per alcuni chilometri, forse quasi tre, poi cominciano a comparire tratti lastricati ed anche il fondo dello sterrato migliora. Infine poco prima del “Pilaster” (bivio con una forestale che porta direttamente a Rest) si entra nel bosco segno che Denai è vicino.

Raggiunto l’asfalto ai Fienili mi fermo un attimo per riposare le braccia, fotografare e bere un sorso. Riprendo, poco prima di Magasa c’è una bellissima fontana con una panchina e delle fioriere di legno sulla strada, mi fermo lì per riempire le borracce, guardo l’ora sono le 12.30. Era da Malga Alpo che non controllavo l’orologio come se lassù nel silenzio delle montagne non fosse più esistito un riferimento temporale.

Riparto, la solita sensazione di aver già alle spalle la parte migliore del giro, mi consola il fatto che ancora per numerosi chilometri pedalerò sulle magnifiche strade della Valvestino. La giornata è di quelle calde, l’ho capito dall’afa che vedevo sopra il lago dal Tombea. Per fortuna questi sono luoghi noti per essere sempre freschi. Per curiosità arrivato a “Frozen Place”, la piccola laguna poco più in basso di Turano dove in inverno ho visto -10°C, guardo il termometro del gps, segna 27°C anche qui!

Oltrepasso la diga, la temperatura è costantemente sopra i 30°C, ma ciò non mi dispiace. Oggi opto per la discesa da Zuino con ulteriore deviazione a Fornico che mi riporta sulla strada alta di Gaino. Ormai ci siamo, sono costretto a tornare nel mondo civilizzato ed a Toscolano rientro in Gardesana, il solito traffico vacanziero, ma neanche dei peggiori.

Sono circa le 14.30, direi l’orario migliore per godere della calura afosa che sale dall’asfalto. Il vento caldo asciuga il sudore e le borracce si svuotano velocemente. Niente deviazione per S.Michele o Gardone Sopra, oggi si va dritti a Salò per salire le Zette ed uscire nuovamente dal traffico utilizzando il percorso ciclabile che passa per Raffa di Puegnago. Il mio gps segna spesso 35/36°C, ma so che il sensore è troppo influenzato dall’irraggiamento solare. Arrivato a Raffa di Puegnago una bellissima fontana/lavatoio all’ombra mi consente di immergere completamente entrambe le braccia nell’acqua fresca e di inzuppare il cappellino che uso come sottocasco.

Riparto, ormai sono quasi arrivato, la curiosità è vedere fino a che temperatura arriverà il gps quando inizierò a risalire verso Picedo e la velocità calerà sotto i 20km/h. Ebbene punta massima 43°C, io lo considero un buon indice del calore percepito, sapendo benissimo che la temperatura reale probabilmente si attesta a 37°C. Arrivo a Polpenazze quasi alle tre e mezza del pomeriggio dopo 130km e 2.430m di dislivello che, come sempre, non dicono molto riguardo allo spettacolo del giro. La soddisfazione oggi è veramente tanta, il Tombea è da anni uno dei miei tarli ed oggi si è lasciato conquistare in una splendida giornata estiva.

Dettagli tecnici su: STRAVAKOMOOT

Videogallery: Video 7’04”

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Sella Ronda all’alba

Ci sono giri che vanno al di là della prestazione sportiva o del livello di difficoltà, ma vanno raccontati per le emozioni che ci lasciano. Il Sella Ronda prima che sorga il sole è senz’altro uno di questi. Diciotto volte lo ho percorso in bicicletta, tutte in senso orario, in altrettante edizioni della MdD. Ora è giunto il momento di affrontarlo in senso antiorario, ma, cosa più importante, partendo prima che sorga il sole. Domenica 12 luglio ore 4.45 del mattino, forse sarebbe il caso di dire della notte, aggancio il pedale e inizio a scendere lungo strada Col Alt per raggiungere l’incrocio per Colfosco e passo Gardena. L’aria è frizzante. No, no è proprio gelida! Il tempo di acclimatarsi ed il Gps segna 4°C. Dopo le forti piogge di ieri era previsto un brusco abbassamento della temperatura con aria proveniente da Nord. Io sono abbastanza coperto, intimo manica corta termico, manicotti, maglia estiva bioceramic e sopra il nuovo capo mezza manica anti-vento e anti-pioggia traspirante in Event graficato per Cicloturisti!, la cui realizzazione è stata specificatamente commissionata per gli “early morning” di mezza stagione ed i giri in quota. Ormai collaudato nelle salite della Maddalena alle 5.30 e nei giri all’alba di questa primavera è diventato un capo imprescindibile nel mio guardaroba. All’uscita del paese mi fermo per una suggestiva fotografia notturna al gruppo del Sella  con il monumento ligneo di una grande bicicletta in primo piano.

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Il termometro è sceso a 2°C ed io ne approfitto per indossare anche i guanti lunghi felpati invernali. Nonostante abbia davanti circa dieci chilometri di salita capisco che le mani si raffredderebbero comunque troppo con l’umidità della notte. Riparto, cerco di tenere l’andatura più blanda possibile con un’alta frequenza di pedalata per produrre calore ed al contempo non sudare troppo.PassoGardena(Corvara) Vedere il cielo cambiare colore a poco a poco, passando dal blu notturno, ad un blu di Francia ed infine divenire turchese e cobalto mentre salgo i tornanti del Gardena mi affascina. Sporadicamente il passaggio di un autoveicolo mi distoglie da questi paesaggi assieme fiabeschi ed onirici, ma, in un battito d’ali, ritorno  nel mio mondo. Passato il quinto chilometro di salita il sole inizia ad albeggiare. Le punte più alte del Sella prendono luce e si incendiano come fiammelle di candele. Io le osservo soddisfatto e compiaciuto.

Nell’ultimo chilometro prima di scollinare inizio a scorgere oltre il passo le vette del Sassolungo infuocate come non le avevo mai viste.

Sono le 5.40 ed io conquisto il primo dei quattro passi di giornata. Il termometro è rimasto sempre tra i 2°C e lo 0°C. Decido di non fermarmi subito, ma di scendere poco più avanti al primo tornante. Da qui la vista su Sassolungo, pian de Gralba e Sella è strepitosa! Quando si dice essere al posto giusto nel momento giusto! Fotografie di rito, barretta e vestizione.

Sì, perché nella mia capiente borsa sottosella avevano saggiamente preso posto un intimo manica lunga invernale Craft e lo “spolverino” oltre ai guanti invernali già in uso. Sfilo entrambe le maglie manica corta, indosso l’intimo sopra ai manicotti (tanto è nero anche quello, mica si nota hi, hi!). Rimetto le maglie e sopra chiudo con l’anti-vento. La maglia termica mi aiuterà a tenere il calore, l’anti-vento che è  poco traspirante dovrebbe contribuire a creare una sacca calda all’interno della quale restare in “zona comfort”. Riparto, dopo un paio di chilometri in discesa il lungo attraversamento in falsopiano del pian de Gralba contribuisce a mantenere la circolazione attiva anche nelle gambe, unica parte del mio corpo completamente esposta alla temperatura invernale. Pedalata agile, pochi watt, poco sudore e massima circolazione. Oltrepassato il celebre spiazzo del grande ristoro della Maratona, quello, per intenderci, dove ci sono anche le telecamere fisse Rai, ricomincia la discesa, ancora un paio di chilometri circa e sono nuovamente in salita verso passo Sella. Slaccio completamente l’anti-vento e lo lascio svolazzare dietro di me, così evito di creare inutile condensa di sudore sugli altri capi.PassoSella(Selva) Il versante di Selva è una piacevolissima sorpresa, poco più di 5km, pendenza regolare 6/8% ed un piccolo tratto a 4/5% poco dopo l’inizio della salita, proprio in corrispondenza del ghiaione dove durante le Maratone sostano le ambulanze pronte per l’emergenza. Infatti, scendendo dal Sella, subito prima di quest’ultimo un paio di brutte curve inducono spesso i corridori a delle pericolosissime scivolate, nonostante gli innumerevoli avvisi degli “sbandieratori” dell’organizzazione posti sul percorso. Io innesto da subito il rapporto più agile, in questo modo la gamba gira veloce sempre oltre le 70 rpm ed io mi riscaldo. La vista è spettacolare, per la prima volta, posso godere con calma della panoramica sul Sassolungo, ora quasi completamente illuminato dal sole.

Sono così rapito dallo scenario che mi si para d’innanzi che non mi accorgo di essere arrivato quasi in vetta. Sono già sul crinale a poche centinaia di metri dal passo, quando devo obbligatoriamente sostare per uno shooting fotografico completo. A sud sua maestà il ghiacciaio della Marmolada che, con il suo bianco candore, abbaglia riflettendo i primi raggi di sole; di fronte il massiccio del Sella illuminato solo da luce riflessa nell’alba ancora ombrosa; a nord l’orizzonte bianco e frastagliato delle cime di confine con l’Austria e dietro di me imponente e rosato il Sassolungo in tutto il suo splendore, così vicino che pare quasi poter essere toccato.

Devo ripartire, il tempo oggi è tiranno, ho promesso il rientro prima delle nove per poter affrontare tutta la giornata con le nostre famiglie. Al primo tornante in discesa, uno spettacolare balcone sulla Marmolada mi costringe ad una nuova rapida ed artistica fermata fotografica.

Riparto, temo questa discesa, durante la gara qui in fondo si raggiunge il punto più freddo ed il ricordo delle mani ghiacciate al bivio di fondo valle è persistente nella mia memoria come lo è la faticosa ripartenza in salita al 12% di pendenza. Questa volta sto girando al contrario, la discesa è veloce a causa della strada ripida, la velocità sale, la temperatura scende, mi ritrovo a -2°C! Per la verità, per qualche sparuto secondo, il mio Xplova segna anche -3°C. I mignoli cominciano a protestare, ma tutto sommato arrivo al pianoro dove è solitamente posto il ristoro in buone condizioni. Il corpo è ben caldo, protetto dai molti strati di abbigliamento tecnico, solo le ginocchia sono un poco arrossate dal freddo. Riprendo a salire verso il Pordoi. Sempre pedalata agile (34×34), oltre 75rpm.PassoPordoi(Canazei) La gamba gira bene, anche i watt si attestano leggermente sopra i 200w, come abbia fatto il mio corpo in queste due ore a riscaldarsi ed entrare in condizione di massima efficienza me lo sto ancora domandando. Fatto sta che spingo, non a tutta, ma spingo con vigore sui pedali, supero altri due “pazzi” che come me hanno deciso di cavalcare le loro biciclette con queste temperature e vengo superato da altri due “matti” che salgono forte con un ritmo da ottimi amatori. Ad un paio di chilometri dallo scollinamento incomincio ad intravedersi il sole. La temperatura è ancora di poco sopra lo 0°C, ma so già per esperienza che, con l’irraggiamento solare, la sensazione sarà completamente diversa. Sono in vetta, oltrepasso il lunghissimo piazzale e mi fermo per il mio reportage fotografico all’inizio della discesa con splendida vista sul Sella e sugli alpeggi di Arabba.

Noto con piacere, dopo soli diciannove passaggi, che in un angolo fa capolino la vetta bianca ed aguzza della Marmolada, impossibile non immortalarla con il mio ditino che la indica.

Riparto, l’aria è ancora frizzante, ma il sole ormai alto davanti a me scalda parecchio con il suo irraggiamento, infatti tolgo lo spolverino e lo ripongo  nel borsone sottosella. La discesa è lunga e sinuosa, la affronto con calma godendomi il panorama. Entrò a Rèba, così si chiama in ladino Arabba, tengo la sinistra ed immanentemente ritorno a salire verso il Campolongo. Da questo versante è veramente una salita semplice, poco meno di 4km e, se si eccettua una breve rampa oltre il 10% all’uscita del paese, la pendenza media si attesta a 7%.PassoCampolongo(Arabba) Ultimi sguardi verso l’ampia vallata che sale a passo Pordoi prima di infilarmi nei pochi tornati che conducono al lunghissimo rettilineo del Campolongo.

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Circa venti minuti e sono già in discesa, guardo l’orologio sono passate da pochissimo le otto del mattino. Altro che arrivo entro le nove, qui ci scappa anche una lauta colazione con famiglia! Scendo rapido lungo gli ampi tornati che conducono a Corvara, osservo il Sassongher, maestoso ed ora completamente illuminato dal sole. Da questa altezza lo trovo ancor più suggestivo che dal fondo valle di Corvara, ma non cedo alla tentazione dello “shooting fotografico” la colazione in famiglia è sicuramente meglio! Sono le 8.15 quando infilo la bicicletta nel deposito dell’hotel, una rapida doccia e pronto per la colazione e per l’escursione agli alpeggi del Col Alto con tutta la tribù. Già perché, per le persone normali, la giornata inizia adesso!

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Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!@ Sella Ronda

Videogallery: Sella Ronda (video integrale con commento originale)

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Tre Cime di Lavaredo

Quest’anno la MdD è stata annullata, ma non la nostra splendida mini-vacanza in val Badia che è semplicemente stata posticipata di una settimana. Così venerdì 10 luglio alle 5.32 del mattino parto da Corvara in direzione Tre Cime per un giro ad anello che mi consentirà di vedere nuovi paesaggi dolomitici. Scendo verso il bivio Colfosco/LaVilla, l’aria è fresca (8°C), ma non gelida. Mi fermo per una rapida didascalia al Sassongher appena illuminato dai primi bagliori mattutini.

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Riparto, cinque chilometri in discesa mi conducono velocemente al bivio di La Villa per San Cassiano e per il passo Valparola. Diciassette volte lo ho fatto in discesa in altrettante edizioni della Maratona, solo una volta non lo feci poiché a causa della febbre dovetti accontentarmi del Sella ronda. Farlo in salita è, quindi, una mezza novità. Si presenta subito cattivello con un primo chilometro al 9%, dopo le prime curve sono costretto ad una rapida fermata, il sole ha iniziato ad illuminare la cima del Sella e del Sassongher. Tra le valli ancora buie ed ombrose ed il cielo cobalto risaltano due cime infuocate ed io le immortalo con il mio telefono.

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Riparto, fino al borgo ancora due chilometri facili attorno al 6% di media. Uscito da San Cassiano un primo chilometro con media 8% e punta al 10% porta al lungo falsopiano di Armentarola.Passo Valparola_LaVilla Due chilometri in cui la pendenza non supera mai il 4% e talvolta è negativa. Io salgo piano, ne approfitto per scaldare dolcemente la gamba, mi guardo intorno, la cima del passo è avvolta dalle nuvole, così anche la splendida Croda di Santa Croce alla mia sinistra. L’umidità è alta, dopo 6,5km inizia la vera salita al passo, da qui in poi non ci saranno più tratti per rifiatare. Altri 6km abbondanti in cui si deve guadagnare quasi 600m di dislivello, la pendenza media è di poco sotto il 10%, la salita è molto regolare, senza strappi, la strada un lungo serpentone sinuoso che sale verso la nebbia. Il traffico nullo, in tutta la salita vengo sorpassato solo dall’autobus di linea, da due autovetture e due multivan proprio in vista della vetta. Non posso dire di godermi il paesaggio, ma anche in queste condizioni meteorologiche le Dolomiti sono incredibilmente affascinanti. Piuttosto l’idea che anche sull’altro versante (Falzarego) il clima sia lo stesso mi induce a

pensare a giri di ripiego. Dopo il dodicesimo chilometro la strada inizia ad alleggerire la pendenza, mi trovo in quel luogo magico che i ladini chiamano “intra i sass” è l’ultimo chilometro, oggi avvolto completamente dalla nebbia ed io fatico a vedere il forte militare della prima querra mondiale che si trova a soli cinquanta metri dal ciglio della strada. Scollino e… Sorpresa! Ad est il cielo è terso, la breve discesa a passo Falzarego è lì che mi aspetta illuminata e riscaldata dal sole. Mi fermo per alcune fotografie ed un video che cristallizzino questo momento.

Riparto la discesa al Falzarego ed a Cortina d’Ampezzo è quasi completamente al sole, la pendenza non è mai eccessiva. Fino a Pocol la conosco bene perché fatta in salita durante le Maratone. Gli ultimi chilometri sono uno splendido balcone sulla piana Ampezzana. Il cielo è intensamente blu, l’aria fresca e limpida. Si preannuncia una giornata fantastica. Entro in Cortina prima delle 8.00 del mattino, sono stati avviati molti lavori in favore delle prossime olimpiadi e le strade sono già intasate a quest’ora, una rapida fermata sotto al campanile parrocchiale, una visita fugace alla via pedonale delle boutique (ancora chiuse) e prendo la rotta per il passo Tre Croci.

Come esco dall’abitato torna la pace, il secondo passo di giornata non è lunghissimo, 8km con pendenza media 7%, di contro è estremamente irregolare, mi sembra di essere entrato in un roller coaster con la bicicletta. Passo Tre Croci CortinaContinue variazioni di pendenza comprese tra 12% e 4%: prima un “drittone al 12%” per un centinaio di metri, poi altri cento metri al 5/6% e via così per sette chilometri. Il tutto condito talvolta con delle vere e proprie gobbe prima dei tornanti che inaspriscono la pendenza, anche se solo per uno o due metri fino al 15%. Credo che fatta in discesa possa diventare fonte di grandissimo divertimento. Io, dal canto mio, la affronto con rapporti agili, cercando di assorbire tutte le variazioni senza esagerare con il “wattaggio”, ma soprattutto godendomi il paesaggio della piana di Cortina circondata dalle splendide Tofane e dal Cristallo.

La salita è tutta in un meraviglioso bosco di larici ed anche questo contribuisce a farmela percorrere quasi senza accorgermi del tempo che passa. Alle 8.45 sono in vetta, inizia una breve discesa (circa 4km) che mi condurrà al bivio con la statale che da Auronzo sale al lago di Misurina. A metà di questa discesa sono costretto ad una fermata su un viadotto con una vista memorabile sul gruppo del Cristallo.

Riparto mi innesto sulla statale e risalgo fino al lago di Misurina, sono 3km circa facili, l’ultimo un leggero falsopiano in rettilineo. Arrivato al lago sono d’obbligo alcune fermate per fotografare il luogo. Inizia anche la ricerca della fontana. Viste le temperature in queste prime ore non ho bevuto moltissimo, ma vorrei avere entrambe le borracce piene prima di salire ai 2.300m del Rifugio Auronzo. Ne trovo una alla fine del lago, riempio, bevo, mangio, fotografo e riparto.

Il bivio per le Tre cime è subito dopo. Il primo chilometro si insinua dolcemente tra le montagne, poi un cavatappi con pendenza 14% di duecento metri mi fa capire che aria tirerà sui tre chilometri finali. Subito dopo il bellissimo lago di Antorno, una gemma incastonata tra pineta e montagna che mi fa compagnia sulla destra per qualche centinaio di metri. Lascio le fotografie per il ritorno che sarà obbligato fino al bivio che scende a Dobbiaco. Oltrepasso la barriera del pedaggio: 20€ moto, 30€ auto, 45€ camper eppure c’è la coda per salire a parcheggiare al rifugio e non godersi camminando anche questi tre chilometri. A dire il vero, vista l’ora ancora mattutina (9.30) molti salgono in auto perché poi faranno il giro intero attorno alle Tre Cime (quasi 10km). Dopo alcune centinaia di metri ancora gradevoli tra i pascoli inizia la salita vera.Tre Cime_3KM Sono pochi, tre chilometri e pendenza media 13%, un piccolo muro con stretti tornanti in cui la pendenza si accentua invece che addolcirsi, io li chiamo “tornanti a chiocciola” proprio come le scale perché mi danno quella sensazione.

Di contro il panorama è di quelli spettacolari da lasciare senza fiato, ovunque mi giri vedo solo immense rocce dolomitiche, alcune più vicine, alcune più lontane. Salgo con il rapporto più agile 34×34, per me la giornata ciclistica è ancora lunga. L’ordinata fila di autovetture che mi sorpassa ad intervalli regolari scanditi dai due bigliettai delle casse mi infastidisce un poco, ma in modo sopportabile. Dopo poco più di mezz’ora sono al rifugio, i parcheggi sono quasi esauriti, lungo gli ultimi cinquecento metri le auto sono già parcheggiate sulla banchina. Troppa gente per i miei gusti! Ma si sa sono un animo solitario. Scatto alcune fotografie dal rifugio proprio da dove inizia la camminata e decido di proseguire per il parcheggio superiore che mi sembra decisamente meno affollato.

Così è, mi affaccio da entrambi i lati del piazzale e così posso godere sia del panorama verso il Cristallo, sia di quello verso la valle di Auronzo, mangio e riparto.

Lungo la discesa è d’obbligo una fermata per immortalare la strada sinuosa e le vette dietro ad essa.

Un’altra fermata per il fiabesco laghetto di Antorno e via rieccomi sulla statale in discesa verso la val Pusteria.

Sono quasi le 11.00 ed il buco allo stomaco inizia a diventare una voragine. Subito dopo il caratteristico lago di Leandro un Bar Ristorante dal nome “Tre Cime” cattura la mia attenzione, si trova in posizione strategica dove le montagne si aprono formando un lungo solco che permette di vedere proprio le Tre Cime. Inevitabile che decida di fermarmi per mangiare un maxi toast e bere due bicchieri di Coca con questa splendida vista.

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Mi sento decisamente meglio, non dico sazio, ma con lo stomaco felice. Riparto, oltrepasso il lago di Dobbiaco, arrivo alla statale della val Pusteria, controllo il GPS per capire dove sia il punto più vicino per innestarmi alla splendida ciclabile che unisce San Candido a Brunico. La imbocco, meravigliosa, un susseguirsi di campi e pinete di fondo valle a poca distanza dalla statale. Una deviazione per lavori mi costringe ad abbandonarla per entrare nel centro abitato di Monguelfo, tutto sommato un bene perché il borgo si rivela molto carino. Ritorno sulla ciclabile all’altezza del lago artificiale di Anterselva la strada si fa sterrata, ma di quelle belle ben battute, proprio come le strade bianche.

Dopo il lago la ciclabile si innesta nel tessuto campestre (perché è impossibile definirlo urbano) del comune di Valdaora attraversando la frazione di Sopra. Arrivato in quella di Mezzo il cartello indicante passo Furcia 10km mi guida verso l’ultima grande fatica di giornata. I primi due chilometri e mezzo se ne vanno via veloci attraverso il paese con pendenze molto dolci, questo implica che nei successivi 7,5km dovrò affrontare quasi 700m di dislivello.Passo Furcia Valdaora La prima parte di salita è quasi completamente esposta al sole. La strada attraversa gli alpeggi ed il paese di Gassl, in corrispondenza del quale, un nuovo tratto con pendenza dolce lascia rifiatare dopo i lunghi rettilinei in doppia cifra. Lasciato l’abitato la musica non cambia, ancora lunghi rettilinei oltre il 10%, ora con più ombra in quanto ci si avvicina sempre di più alle foreste che circondano il basso Plan de Corones.

Gli ultimi due chilometri sono nella fresca pineta, anche se oggi la giornata non è mai stata particolarmente calda ed afosa, anzi se si escludono i venti chilometri in val Pusteria l’aria è sempre stata frizzante. Io salgo sempre con passo regolare e guardingo, d’altra parte ho già più di 3.000m di dislivello nelle gambe. In vetta al passo Furcia dominano gli impianti di risalita del celebre comprensorio di Plan de Corones, a parte loro non vi è molto altro, inizio subito la discesa, al primo punto panoramico decido di fermarmi per un paio di istantanee. Da qui si vede bene la val Badia, il Sassongher ed il Sella.

Si vedono bene anche i nuvoloni neri carichi di pioggia che stanno arrivando, per cui parto. Scendo di buona lena verso San Vigilio in Marebbe, ma senza prendere rischi. Lo oltrepasso, sembra molto carino,

proseguo fino ad innestarmi con la statale che da Brunico sale in Alta Badia. Sono praticamente alle porte di Piccolino, un paese il cui nome la dice lunga sulle sue dimensioni. Mancano poco più di venti chilometri a Corvara, un lungo falsopiano in leggera salita. I primi 14km vanno via veloci, vento da dietro, senza grande sforzo resto tra i 19km/h e i 27km/h. Poi poco prima della galleria inizia a piovere con insistenza, mi fermo prima dell’uscita per indossare l’antipioggia (più che altro per il telefono che è nella tasca posteriore senza protezione impermeabile). Dopo la galleria quattro tornanti a 8% di pendenza sanciscono la fine del falsopiano e l’inizio della leggera salita dell’Alta Badia, sono quasi a Puntac poco prima di Pedraces (luogo di ritiro dei pettorali della MdD). Arrivato in paese mi fermo, tolgo l’antipioggia, temporale montano breve ed intenso, mangio, riparto. Da qui parte uno splendido marciapiede ciclabile, largo forse tre metri,  che mi conduce sino alle porte di La Villa separato del traffico dei camion e delle betoniere che mi avevano accompagnato più in basso. Entrato in paese opto per una strada interna che sale dritta come un fuso (14%) e si collega alla sommità del celebre Mur dl Giat della Maratona.

Sarà questo il mio gatto di giornata, attraverso il borgo, inizio la discesa per Funtanacia e per rientrare in statale. Mancano tre chilometri al mio hotel ed io finalmente sfondo il muro dei 4K di dislivello. Arrivo nel piazzale dell’albergo, felice come non mai, prestazione ciclistica di rilievo con 153km e 4.070m di dislivello, ma chi se ne frega! Quello che conta oggi è la quantità e la qualità di roccia dolomitica che ho visto! Nell’ordine Sella, Sassongher, Croda si Santa Croce, Lagazuoi, Sass da Stria, Marmolada e Averau (in lontananza), le Tofane, il Cristallo, le Tre Cime e mettiamoci anche il bel panettone verde del Plan de Corones!

Grazie Dolomiti!

TreCime

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!@ ⛰️⛰️⛰️ Tre Cime 4K (Passo Valparola, Passo Tre Croci, Tre Cime di Lavaredo, Passo Furcia)

Videogallery: Video integrale (8’21”)

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Monte Puria e le strade militari

Sabato 6 giugno 2020, tra un temporale e l’altro, colgo l’occasione per portare la mia LinaBatista alla scoperta di nuove ghiaie militari. Alle 6.09 si parte in direzione alto lago. La giornata è fresca (15°C) scendo a Salò e percorro il lungolago.

Fa strano vedere tutti questi cartelli giallo-blu che indicano i sensi unici di marcia a causa dell’emergenza Covid. Proseguo e attraverso Gardone R., Maderno e a Gargnano mi fermo per un paio di istantanee sul lungolago.

Imbocco la vecchia gardesana e proseguo fino all’incrocio per Tignale. Svolto a sinistra ed inizio a salire, il cielo è terso ad occidente mentre ad oriente, e soprattutto sopra il monte Baldo, è piuttosto offuscato con le solite nuvolette sulla cima. Mah, speriamo che la giornata tenga! – penso io. Il giro in programma è piuttosto lungo ed impegnativo. Procedo, giungo al balcone di Tignale chiamato “Panorama del Fil”, mi fermo per un video.

Sono le 8.00 quando riparto, attraverso le frazioni di Gardola e Olzano, bellissima con la sua ripida ed angusta strada acciotolata, e mi dirigo verso Cima Piemp.

La salita per il Piemp (vedi Cima Piemp, uno splendido balcone sull’alto Garda.) è sempre incantevole e impegnativa, quest’anno grazie alle copiose piogge degli ultimi giorni il bosco in cui si snodano i suoi sinuosi tornanti cementati è particolarmente lussureggiante.CimaPiempdaGardola

Poco più di 6km con numerosi tratti su cemento e la pendenza che si inasprisce sempre più man mano che ci si avvicina alla vetta. Di contro paesaggi stupendi impreziositi in questi giorni di inizio giugno dai gialli maggiociondoli in fiore.

La temperatura scende fino a 11°C, l’umidità del mattino esalta ulteriormente i profumi del sottobosco, io salgo con relativa tranquillità, dalla mia oggi ho la tripla con il piccolo 24 anteriore. In vetta al Piemp mi concedo una sosta fotografica e ne approfitto per mangiare, sono da poco passate le 9.00.

Riparto, inizia il divertimento, da qui in poi la strada sarà sterrata, o meglio ghiaiosa, per un bel po’. Ripercorro l’itinerario del giro Andata Gardesana, ritorno creste! fino al Passo d’Ere. Mi ricordo che lo scorso anno giunto all’inizio della salita per il Passo Segable dovetti scendere a piedi a causa del fondo sdrucciolevole e della mancanza di un rapporto adeguato della mia AliMat (34×34 e gomme 40mm slick).StrappoSegable

Oggi LinaBatista dotata di un più agile 24×29 e dei Continental TerraTrail da 40mm leggermente tassellati aggredisce con vigore la ghiaia, non slitta e con agilità (ho tirato a manetta!) supera questo chilometro. Sono soddisfatto, sento che con questo assetto, anche in salita posso andare quasi ovunque. Da Passo Segable in breve si scende a Ere, dove, al bivio, svolto secco a destra per entrare nella magnifica strada che conduce al Passo di Scarpapè, già percorsa l’anno scorso in Cima Rest da Passo Scarpapè.

Il passaggio della vecchia galleria militare è sempre incredibilmente affascinante.

Ora proseguo verso il passo, subito dopo, un ulteriore bivio separa la strada che scende a Cadria (la presi lo scorso anno) e quella che sale al Passo della Puria obiettivo di giornata.

Davanti a me si presenta un nuovo tratto, circa un chilometro, di salita impegnativa e con fondo molto mosso, ma anche stavolta LinaBatista fa il suo dovere.

Giungo al passo (1.380m), ma la cima del Monte Puria e soprattutto la sua anticima sono distanti meno di un chilometro, per cui devio dalla strada militare su un sentiero, oltrepasso la sbarra e mi dirigo verso il monte.

Arrivato ai piedi dell’anticima appoggio la bici ad un giovane pino e salgo a piedi verso il cocuzzolo, circa una trentina di metri sopra di me. Mentre salgo un capriolo si avvicina alla LinaBatista osservandola incuriosito, decido quindi di iniziare il video panoramico anche se mancano alcuni metri alla vetta.

Sono piuttosto emozionato, è la prima volta che mi spingo così oltre con la mia ghiaiosa, soprattutto non ero mai stato letteralmente su una vetta isolata! vedere la striscia di ghiaia della strada 30/40m in verticale sotto di me, il vuoto tra la mia anticima e le vette attorno, il Monte Tremalzo così vicino, mi regalano brividi ed adrenalina. Un misto di pace, vuoto, senso di inadeguatezza, stupore mi pervade. Il soffio del vento è l’unico rumore che si sente.

Decido di scendere, con grande cautela, arrivo alla bicicletta, la vedo lì, appoggiata al giovane pino, quasi stesse riposando per la fatica. La fotografo e decido che questa sarà l’immagine simbolo del mio primo giro culminato su una vetta.

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Riparto, visti i temibili nuvoloni neri che ricoprivano le cime del Tremalzo, decido che la scelta più saggia sia quella di rientrare al passo d’Ere per la medesima rotta, per poi scendere verso Bocca Paolone, questa è senza dubbio la via più veloce e mi consentirà di evitare i temporali che sono previsti nel primo dopopranzo. Gongolo perché questo vuole anche dire che ripasserò nella splendida galleria militare a ritroso. Abbasso il reggisella telescopico di qualche centimetro. Sì, perché tra le novità di quest’anno LinaBatista si è dotata di un canotto sella regolabile per darmi più sicurezza e confidenza nelle discese sopra il 20% dove mi sentivo sempre catapultare in avanti. Così è tutta un’altra storia! Scendo il primo chilometro della Puria con molta più confidenza. No, non velocità! Semplicemente mi sento più sicuro. Arrivo alla galleria e devo fermarmi a scattare un paio di fotografie all’orrido.

Riparto, al passo d’Ere proseguo verso Bocca Paolone, un primo tratto di leggera discesa su strada ben battuta, poi dopo il passo della Colomba, un altro chilometro di ripida discesa su sconnesso conduce all’inizio dell’asfalto.

Asfalto che, per quel che mi riguarda, dura pochissimo in quanto poco prima di Bocca Paolone incontro il bivio per il Passo della Fobbia che conduce direttamente a Piovere di Tignale, senza fare tutto il giro dalla Costa di Gargnano come feci lo scorso anno. Anche questa è, per me, una strada nuova. Da subito si capisce che il paesaggio e il manto stradale sono decisamente cambiati. Sono sotto quota 1.000m la ghiaia delle strade militari scavate nella roccia lascia il posto alla terra battuta scavata nel fitto bosco, di tanto in tanto qualche piccola radura seganala la presenza di una malga. Io scendo piano, sia per prudenza, sia per non sollevare troppo fango da dietro.

Quando la pendenza si fa troppo impegnativa la strada viene cementata per agevolare la risalita dei mezzi, io ne sono felice perché l’aderenza migliora decisamente.

In circa cinque chilometri perdo quasi 600m di dislivello e mi ritrovo, oltrepassato Piovere, al bivio della provinciale Tignalga da cui ero risalito stamattina. Discesa impegnativa, soprattutto per le mani, ma la bellezza del fitto sottobosco, i continui guadi sui torrenti carichi di acqua dei temporali scorsi, mi fanno dimenticare quel poco di sofferenza articolare che mi hanno procurato. Al solito dalla provinciale mi stacco per non entrare sulla ss45 ed attraverso la “hidden road” mi ricongiungo alla vecchia gardesana.

Oltrepasso la frana, che quest’anno è decisamente peggiorata, e ne approfitto per fermarmi sul tornante a contemplare il lago mentre mangio un’ultima barretta.

Riparto, a Gargnano rientro in statale. Oggi, a differenza della settimana scorsa, in cui il ponte aveva portato numerosi turisti con le immancabili code sul lago, la strada è praticamente vuota. L’orario certo aiuta sono quasi le 12.30. Decido di rimanere sulla gardesana per accelerare i tempi di rientro, ma niente, all’inizio di Gardone Riviera, dopo circa 10km sono già ampiamente “stufo” e decido di concedermi almeno il passaggio per Gardone sopra, ripercorrendo le antiche strade di Gabriele d’Annunzio. Un paio di fotografie ad una bellissima piscina e ad una villa incredibile poco prima di Morgnaga giustificano ulteriormente la piccola deviazione.

 Rientro in statale all’altezza del centro di Barbarano, ma solo per un chilometro, allo svincolo tengo la destra ed entro nella mia amata città natale. Le Zette, la Valtenesi, al solito, mi riportano a casa, ma stavolta ho un piacevole imprevisto poco prima della rotonda di Polpenazze a due soli chilometri dall’arrivo: una Citroën 2CV Charleston (me lo ha spiegato il mio amico Carlo, per me era un Dyane) mi sorpassa.

Un’ultima ciliegina su una torta riuscita perfettamente, grazie anche agli “upgrade” della mia LinaBatista. (⇔101,2km  /  ⇑ 2.360m  /  τ: 5h59’30”)

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!Ghiaiosi@ Monte Puria (Cima Piemp, Passo Segable, Passo Puria, Passo della Colomba, Passo Fobbia)

MontePuria

Videogallery: Video integrale 8’45” (prendetevi il tempo e guardatelo merita davvero♥)

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Cima Rest da Passo Scarpapè

Domenica 18 agosto, sono da poco passate le sei del mattino quando cavalco la mia AliMat per una nuova escursione sulle strade ghiaiose dell’alto lago. Subito lo spettacolo della luna che appare come una lampadina in alto nel cielo mi mette di ottimo umore.

Mi dirigo con una certa rapidità verso Gargnano, la temperatura, a quest’ora, è ottima  anche nel torrido Ferragosto. Inizio a salire verso Navazzo, il sole è ancora nascosto dietro il monte Baldo anche se la sua luce rischiara ampiamente tutto il paesaggio. La luna sta calando, ma prima di scomparire definitivamente mi concede un ultimo regalo all’uscita di uno dei tanti tornanti della salita: io, lei ed il monte Castello.

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Arrivo a Navazzo dopo poco più di 1’30” di pedalata. Oggi, per me, la salita è ancora lunga, svolto a destra e prendo per Costa di Gargnano, mi aspettano ancora dieci chilometri tra salita e qualche breve discesa. Appena lascio il versante che si affaccia sul lago per entrare nelle valli l’aria si rinfresca, 14°C la minima. Sono le otto e mezza quando, alla fontana prima di Costa, mi fermo per riempire le borracce e mangiare un poco. Sto per entrare nel vivo del giro odierno, mi attende la salita a Bocca Paolone (947m) e Passo della Colomba (1.109). La prima parte della salita è tutta asfaltata (2,5km) ed è anche relativamente facile (8% – 12%), dall’ultimo chilometro inizia lo sterrato, la pendenza resta sopra il 10% con dossi a 15%.

Io fatico, stamattina la gamba non gira come dovrebbe e sui dossi molto sconnessi faccio molta fatica, sul più impegnativo sento che anche la bicicletta perde aderenza e per sicurezza scendo e lo oltrepasso a piedi. Sono alla Colomba, ora la strada si muove pressoché piana fino al passo d’Ere (1.131m) immersa nel fresco ed odoroso bosco. Mi passano due biker, ci salutiamo, vanno leggermente più veloce di me, ma fino a quando il fondo è compatto non guadagnano molto. A Passo d’Ere il bivio, a destra si prosegue per Passo Segable e Cima Piemp, che avevo percorso a ritroso solo un mese fa (Andata Gardesana, ritorno creste!), a sinistra prosegue per Passo Scarpapè, la parte nuova del mio itinerario che mi porterà a Cima Rest. Da subito lo scenario si fa incantevole e suggestivo con rocce e pareti scoscese. Presagio di un’altra ottima scelta di percorso. Poco pù avanti la vista si apre su un ampia e vertiginosa parete sovrastante la strada. Uno spettacolo quasi dolomitico, oserei dire, e la strada si perde all’interno di una galleria militare, di pregevole fattura.

Sono letteralmente estasiato, all’uscita della galleria mi devo fermare per scattare anche alcune fotografie di questo luogo (a lungo sono stato indeciso se usare questa come didascalica del giro).

Riparto, raggiungo lo Scarpapè, vedo i due bikers che stanno già affrontando i tornanti del Passo di Puria per raggiungere Cima Rest o il Tombea. Mi fermo al bivio, dovrei salire anch’io, ma non mi sento pimpante e decido di non rischiare, prendo a sinistra la mulattiera che scende a Cadria e poi risalirò a Cima Rest dalla strada. So, per informazioni prese, che questa via è un po’ abbandonata, quindi non escludo di dover farne pezzi a piedi, ma resta il fatto che sarà tutta in discesa. All’inizio il fondo è discreto, dal momento che la mia bici non è una mtb scendo con cautela. Si  intuisce subito che questa strada non viene più utilizzata da mezzi a quattro ruote già da molto tempo in quanto, dove ha potuto, la vegetazione si è mangiata parte della sede stradale.

Il percorso, dal punto di vista paesaggistico, è fantastico: un susseguirsi di entrate ed uscite dal bosco con ampie vedute sulla valle del Droanello. Purtroppo spesso sono costretto a concentrarmi solo sulla guida. Ad un tratto un grosso albero, caduto sicuramente durante la tempesta Vaia di quest’autunno, blocca ancora la strada. Ciò avvalora la tesi che oltre ad escursionisti e ciclisti di qui non passa ormai più nessuno da tempo. Lo scavalco e proseguo. Giungo ad un fitto bosco di alti pini silvestri che creano un’ansa su cui la mulattiera si appoggia con ripida discesa. Fermata fotografica obbligatoria, ma, soprattutto, il soffice letto di aghi che copre tutto il sentiero mi indica che per le mie Gravelking slick da 1’50 questa discesa a 20% non è il massimo e quindi la percorro a piedi per non scivolare direttamente a Cadria “culo a terra”.

Cinquanta metri e sono di nuovo in sella, manca oramai poco ai primi alpeggi, la mulattiera è tornata ad essere una carrareccia, segno che è ancora utilizzata da veicoli a quattro ruote. Attraverso il primo alpeggio e vedo in lontananza il borgo di Cadria.

Per un chilometro e mezzo entro ed esco dalle radure fino a quando mi ritrovo davanti ad una sbarra, così mi spiego come mai il sentiero a monte degli alpeggi è lasciato al suo destino. La oltrepasso ed una parete strapiombante fa da cornice ad uno splendido fontanile, quale luogo migliore per una sosta “merenda di metà mattina”!

Riparto, attraverso Cadria, è strano arrivare da sotto, ritorno su asfalto e risalgo verso Cima Rest, circa tre chilometri e mezzo e sono arrivato, ma oggi è il giorno in cui, per la prima volta, voglio raggiungere il celebre osservatorio astronomico. Quindi proseguo sulla cementata, un’altro chilometro (pendenza media 5% max 19%) con il solito muretto di un centinaio di metri prossimo a 20% di pendenza. Giunto all’osservatorio mi scateno in una sessione fotografica. La giornata sufficientemente limpida, il panorma sul crinale dei monti Tombea e Caplone e gli splendidi e numerosi cespugli di cardi fioriti mi ripagano ampiamente delle fatiche odierne.

È quasi mezzogiorno, mi siedo su una panchina e con tutta calma consumo il mio pranzo contemplando i monti della Valvestino. Oggi non ho fretta, ho la giornata per me. Dopo una ventina di minuti circa riparto ed inizio la fase di rientro. Scendo prima verso Magasa  e poi verso il lago di Valvestino. All’altezza del vecchio mulino ad acqua di Turano, ora trasformato in museo degli antichi mestieri (link a VisitValvestino), scendo dalla strada per costeggiare il canale e fermarmi davanti alla costruzione per qualche fotografia.

Nuovamente in sella, costeggio il lago di Valvestino, me lo godo tutto, l’aria oramai è calda, ma non afosa. Oltrepasso la diga ed arrivo alle porte di Navazzo da nord, devio a destra ed entro in zona industriale, scenderò dal famoso “sentiero delle Camerate” una carrareccia ghiaiosa, cementata solo laddove la pendenza si attesta attorno a 20%. In questo modo arrivo dritto nella valle del torrente Toscolano, che in questi luoghi scava un vero e proprio canyon. Scendo con cautela, sia perché è la prima volta che la percorro, sia per le ripide e scivolose pendenze.

Anche qui il paesaggio è di sicuro spessore, il monte Pizzoccolo mi sovrasta imperioso e la forra del torrente Toscolano e di una incredibile bellezza. Arrivo alla fine della discesa e mi immetto nella valle delle cartiere. Mi fermo sul vecchio ponte che portava al palazzo Archesane ed alla valle di Campiglio per uno shoot fotografico. Sotto di me, vacanzieri in costume si rinfrescano nelle gelide acque del torrente che qui forma una grande ansa con piccole spiaggette ghiaiose. In questa forra la temperatura all’ombra è ancora di 25°C nonostante sia già l’una passata.

Sono sceso fino a 250m s.l.m. ed ora devo risalire un po’ per arrivare al borgo di Gaino, da dove riprende la strada asfaltata. Un pizzico di tristezza mi pervade nel lasciare lo sterrato, la parte migliore del giro è alle mie spalle. Davanti ho ancora la splendida discesa con vista lago dalla balconata di questa frazione e poi la gardesana. Sono le  due del pomeriggio quando attraverso Salò, la mia città, brulicante di turisti e bagnanti. Oltrepasso le Rive, inizio a salire le Zette, guardo il lago, il golfo e mi scatto un “selfie on-action”.

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Un degno suggello per questo fantastico nuovo itinerario percorso in virtù delle ruote cicciotte (⇔:115km — τ:6h46min — ⇑: 2.536m — T:14°C/35°C).

Grazie AliMat!

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Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!Ghiaiosi@ Bocca Paolone, Passo Scarpapè, Cadria, Cima Rest, Lago Valvestino, Camerate

Videogallery: Video YouTube con commenti (5’33”)

Video YouTube versione integrale (7’23”)

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Pedalando sulla neve!

Sabato 14 dicembre, quest’anno il meteo ci ha regalato nevicate sopra i mille metri di quota, già ad inizio mese. L’ultima, l’altro ieri, ha lasciato altri venti centimetri di neve fresca anche a bassa quota. Sono le 6.51 quando aggancio il pedale della mia AliMat, per l’occasione gommata 650bx40 con battistrada tassellato (Conti TerraSpeed e TerraTrail). L’obiettivo di giornata è quello di dirigermi il più velocemente possibile a Gargnano, salire al lago di Valvestino per pedalare nella neve. Da lì vedrò se riuscirò a realizzare uno dei miei sogni ciclistici. Il cielo è ancora scuro, appena uscito di città la temperatura crolla a -2°C, oltrepassato Rezzato mi immetto nella “Gavardina”, la ciclovia che conduce a Salò fiancheggiando il naviglio grande bresciano. I miei due potenti fanali anteriori illuminano a giorno la strada davanti a me, la brina depositata sulle foglie riflette la luce e conferma le mie sensazioni di gelo.

Alle porte del paese di Prevalle mi fermo per un paio di fotografie atte ad immortalare il passaggio dal crepuscolo all’alba.

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Riparto, oltrepasso lo svincolo dei Tormini dall’alto del ponte della vecchia tramvia e procedo seguendo i cartelli ciclabili per Salò. Per la prima volta decido di seguirli e percorro un breve tratto di sterrato che scende direttamente nella frazione di Volciano. Rientro sulla ss45bis, oltrepasso l’abitato di Salò e mi dirigo verso Gardone Riviera. Il cielo è terso ed il sole, anche se ancora basso, inizia ad irradiare calore. Sono le 8.30 e decido di approfittare della splendida luce per fermarmi sul lungolago di Barbarano/Gardone per alcune fotografie, per mangiare una barretta e per riscaldarmi al riverbero del lago.

Riparto verso Gargnano, a Maderno decido di percorrere tutta la ciclabile che costeggia il lago seguendo il delta del torrente Toscolano.

Proseguo, solita deviazione a Villa di Gargnano per il suo spettacolare porticciolo e finalmente inizio la salita del Navazzo, che mi porterà all’imbocco della Valvestino. Sono da poco passate le nove del mattino, la temperatura è già risalita a 6°C e soprattutto il sole scalda che è una meraviglia! Già a metà salita a bordo strada nei punti meno soleggiati fa capolino qualche traccia di neve, cosa inusuale in quanto la neve tende subito a sciogliersi in prossimità del lago. Il Garda, essendo un enorme bacino d’acqua dolce, è noto per avere un clima particolarmente temperato ed assimilabile a quello mediterraneo. Infatti sui pendii delle coste bresciane, esposte al sole fino dall’alba, si coltivano ulivi e con qualche accorgimento, un tempo, si riusciva a coltivare anche limoni ed altri agrumi, attività ormai non più remunerativa. Io tolgo il gilet, abbasso completamente la cerniera del giubbino e tolgo i guanti. Desidero espellere più sudore possibile per non trovarmi bagnato quando entrerò in Valvestino. Mi godo la salita, il paesaggio ed il caldo sole. Tra poco mi aspettano la neve ed il gelo.

Giungo nella piana antistante il borgo di Navazzo, mi fermo per una rapida sosta: fotografie, barrette e vestizione, la neve è ormai una presenza costante a bordo strada.

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Riparto, attraverso il centro abitato, svolto verso occidente, ultimi raggi di sole mentre entro nella valle, il monte Pizzoccolo sta per oscurare il sole che basso all’orizzonte in inverno non riesce a superarlo.

Ancora un paio di chilometri, la strada piega nuovamente verso destra e volge a nord, il sole non c’è più, l’asfalto si imbianca repentinamente, i mezzi spazzaneve hanno già pulito il grosso, ma non completamente. Altre volte ho percorso queste strade in inverno (Valvestino tra i ghiacci!), ma mai avevo trovato l’asfalto così già all’imbocco della valle.

La temperatura è scesa a -2°C, la neve caduta i giorni scorsi mi circonda rendendo il paesaggio fiabesco. Giungo al ponticello posto prima della breve risalita alla diga, il paesaggio è maestosamente glaciale. Innesto il rapporto più agile 34×34, l’asfalto sembra ghiacciato e mi preparo a slittare a causa della salita, aumento dolcemente la cadenza ed inizio a salire. Sono solo cinquecento metri, ma con pendenza 8%, lo pneumatico tiene bene e la AliMat procede senza tentennamenti. Primo test superato! Dopo la diga, la strada prosegue per circa cinque chilometri affiancata al lago che resta per lo più in ombra. Sul primo lungo ponte non posso che fermare la bicicletta ed effettuare una ripresa a 360° per testimoniare il fascino spettacolare delle montagne innevate.

Riparto, sono al settimo cielo, speravo di poter pedalare circondato dalla neve, ma non mi aspettavo di farlo sulla neve! Soprattutto non da così in basso mentre sto ancora costeggiando il lago. I pensieri scorrono veloci, all’entusiasmo si alterna il timore per le salite che mi aspettano. Inizio a pensare a quale strada sia meglio percorrere una volta giunto al Molino di Bollone: la più sicura salita diretta per Capovalle, soleggiata e sicuramente con asfalto facile ed ascitutto o la vera salita di Valvestino attraverso i borghi di Turano, Persone, Moerna, quasi tutta all’ombra, ma indubbiamente più ghiacciata e spettacolare. Sono le 10.30 quando arrivo al bivio, ragiono sulle diverse tempistiche di percorrenza e credo di poter affrontare la salita da Turano senza incidere troppo sull’orario di arrivo a casa. Tengo la destra sulla strada principale e mi dirigo verso quello che io chiamo “The frozen place” un meraviglioso stagno naturale formato dal torrente ad un chilometro dall’abitato Turano. Un luogo fresco e rigoglioso in estate e gelido in inverno. È qui che due inverni fa vidi la temperatura più bassa sul mio gps -9°C.

Con sorpresa la temperatura non scende e resta a -2°C, ma il fascino di ” Frozen place”e della strada completamente imbiancata da un sottile strato di neve mi costringono alla solita fermata fotografica.

Riparto, al bivio per Magasa e cima Rest per alcune centinaia di metri ricompare il sole che mi riscalda un poco e dona nuovi colori alle montagne innevate.

Da qui inizia la parte più complicata del mio giro, quella che più mi preoccupa e di cui stamattina alla partenza dubitavo di più. La strada ora sale per poco meno di tre chilometri con pendenza media vicino a 10% e con un paio di strappi a 14%. In queste condizioni di asfalto semi-innevato il dubbio sulla possibilità di salire in sella senza scivolare e slittare è più che lecito. In compenso il paesaggio si fa sempre più suggestivo ed incantato, ora anche i rami degli alberi sono carichi di neve ed aumentano la sensazione di trovarsi in una favola di Walt Disney. La AliMat sale, io cerco di sentire ogni piccola vibrazione, pedalo come se fossi su un tappeto di uova, e tutto procede al meglio.

I Continental Terra mi stanno dando un grande feeling, 40mm di battistrada gonfiati a 2 bar che si schiacciano ed impaccano sulla neve, io procedo senza esitazioni e mi godo lo spettacolo, l’aria che respiro è fredda ed umida, la sento, ma non mi da fastidio, non sento neanche il gelo, quasi non percepisco neanche la fatica da tanta adrenalina ho in corpo. Ogni tanto, dai rami, casca qualche mucchietto di neve, un paio si spiattellano sul mio casco e sul mio giubbino in Event scivolando via. Io gongolo, quando si indossano i materiali giusti e si pedala con l’attrezzatura giusta (gomme tassellate e freni a disco) anche strade insidiose come queste diventano percorribili in sicurezza. Nonostante tutto non abbasso mai la guardia, l’attenzione è sempre al massimo, basta poco per trasformare una splendida giornata in un brutto ricordo. Arrivo a Persone, borgo dai sapori antichi.

Lo oltrepasso e dirigo verso Moerna, la strada torna al sole, sono ormai oltre quota 800mt. e la vista si apre sui monti Tombea e Caplone, sui fienili di Rest e sotto di me sulla valle appena attraversata. Inizio ad avere fame, decido di oltrepassare il borgo di Moerna e di fermarmi, come altre volte, sul rettilineo di uscita per una sosta fotografica ed un breve spuntino.

Guardo l’orologio sono le 11.30, solo ora capisco di aver sbagliato clamorosamente la previsione del tempo di percorrenza, anzi non mi capacito di come abbia potuto commettere un errore così grossolano, ma si sa è il subconscio che ci guida ed il mio voleva che oggi pedalssi nella neve. Mando un messaggio a casa per segnalare che non arriverò prima delle 14.00 e riparto in direzione della vecchia dogana austro-ungarica, punto più alto del giro odierno a quasi 1.000m di altitudine.

Entro in Capovalle, mi fermo alla fontana a riempire la borraccia e lesto riparto in salita, ancora cinquecento metri e sarò a passo San Rocco da dove inizierà la lunga discesa verso il lago d’Idro, poco più di otto chilometri.

So che la discesa sarà per lo più in ombra, ma non sono particolarmente preoccupato per le condizioni dell’asfalto. Questa è l’arteria principale di comunicazione ed è solitamente tenuta molto ben pulita anche a ridosso di forti nevicate. Infatti, nonostante l’ombra, la sede stradale è completamente sgombra da neve, credo che ci sia sull’asfalto tanto sale da rendere impossibile la formazione di ghiaccio anche a -10°C!

Già dal primo tornante capisco che anche la discesa sarà spettacolare e di rara bellezza. Una lingua di asfalto nera che si snoda sinuosa come un serpente circondata dal bianco candore della neve che tutto ricopre, rami, alberi, prati, monti, tetti. Mentre scendo sento il freddo farsi pungente nonostante la velocità sia sempre molto controllata, sempre al di sotto dei 40 km/h. In effetti il gps segna -4°C, arrivo al ponte sul rio Vantone, la leggera salita seguente mi consente di riscaldarmi prima di entrare nella galleria che conduce agli ultimi tornanti con vista sul lago d’Idro. Ovviamente “uscito dal tunnel” non posso che fermarmi ad immortalare lo spettacolo della piana di Idro ancora imbiancata.

Ora la strada torna al sole, la temperatura risale, l’asfalto è asciutto ed io posso lasciar correre AliMat e superare finalmente i 50km/h. Entro in paese, arrivo sul lungolago, un folto gruppo di anatre sta camminando nel prato adiacente al lago ed io mi sento obbligato a fotografarle mentre zampettano nella neve.

Un’altra barretta e riparto, sono così in ritardo che oggi non mi posso concedere più nessuna delle mie solite deviazioni anti-traffico. Peraltro l’ora di pranzo aiuta ad avere meno veicoli sulle strade. Oltrepasso in rapida successione Lavenone, Vestone, Nozza e Barghe, la neve continua, comunque, a fare da cornice anche se non in presenza così massiccia come in Valvestino. Evito anche la salita di Preseglie e mi dirigo a Sabbio Chiese, salirò dalla strada del bosco, sicuramente l’itinerario più veloce per arrivare alle Coste. Inoltre la scarsamente trafficata strada del bosco con la neve non l’ho mai fatta. Alle 13.10 sono sul lungo rettilineo per le Coste in uscita dal comune di Odolo. Risalgo il “Groppo” sono un po’ stanco, cerco di tenere un discreto passo, bevo un energetico ed un sorso d’acqua. Dopo il “Groppo” il sole sparisce, è già nella sua fase calante e la maggior parte della salita al colle di Sant’Eusebio è ritornata all’ombra. La temperatura ritorna vicino allo zero ed il paesaggio simile a quello di Valvestino. Stamattina sarebbe bastato salire qui, a pochi chilometri dalla città, per immergersi nel fascino della neve.

Ad un chilometro dalla vetta la suggestiva vista della valle di Vallio Terme con sullo sfondo una piccola porzione del lago di Garda cattura il mio sguardo, immediata la sosta con fotografia didascalica.

Scollino, sono le 13.30, mi getto in discesa, ancora l’ombra, l’aria è nuovamente gelida, guardo il gps, all’altezza della val Bertone sono sceso a -2°C. Fortunatamente a Caino torna il sole, spingo anche in discesa, oltrepasso Nave, continuo a spingere per quel che ne ho. Sono le 14.04 quando apro il portone di casa. 140Km, 2.500m di dislivello a 22km/h e 2°C di temperatura media (-4°C / +10°C). Questi sono i numeri, ma non dicono nulla sulle intense emozioni vissute nella neve e nel ghiaccio della Valvestino. Soprattutto non rendono l’idea di un sogno che si avvera: partire da casa, costeggiare il mio lago in una splendida giornata invernale di cielo terso, guardarlo dall’alto, infilarmi nell’innevata Valvestino, pedalare sulla neve per 30km, giungere al lago d’Idro imbiancato a festa e ritornare in città attraverso le Coste anche loro innevate. La giornata Perfetta!

Valvestino innevata

Dettagli su Strava: Cicloturisti!@ Valvestino innevata ❄️❄️❄️🏔️

Videogallery: Video integrale 7’42” (guardatelo, i paesaggi meritano davvero)

Photogallery:

La Forra, Passo Nota, “Strada degli Eroi”, Eremo di S.Michele

Sono le 5.48 del mattino di sabato 27 luglio quando parto da Polpenazze con la mia AliMat (versione cicciotta 650bx40) in direzione alto lago. Oggi voglio affrontare un’altra strada militare della Grande Guerra. Alle sei ed un quarto inizia ad albeggiare nel mio golfo del cuore ed io sono obbligato a fermarmi per immortalare lo spettacolo della città di Salò.

Riparto svelto in direzione Gargnano, a quest’ora il traffico estivo sulla gardesana è ancora dormiente ed io la percorro in relativa tranquillità. Entro finalmente nella ciclabile dismessa di Gargnano che mi consente di evitare la prima e più stretta galleria.

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Ritorno sulla statale e percorro le due lunghe gallerie, in leggera discesa, che mi portano sino al Prà della Fam, qui mi attende il Peler, un muro d’aria con il suo intenso soffiare verso sud. Immanentemente mi ritrovo a faticare per tenere i 30km/h. Ora il traffico è veramente ridotto, solo qualche multivan dei surfisti che si accingono ad una splendida giornata di vela.  Ancora una lunga galleria, quella con lo svincolo per Campione del Garda, e arrivo al bivio per la “Forra”.  Alle 7.15 svolto a sinistra ed attacco la salita (ulteriori descrizioni in Passo Nota e Dalla Forra di Tremosine alla neve della val di Bondo). 

Nonostante l’abbia percorsa numerose volte questa strada suscita sempre, e fin da subito, un immenso stupore. Il primo rettilineo, lungo e sinuoso come spire di serpente, è solo il preambolo allo splendore che mi accoglie al tornante seguente da cui la vista sul delta sabbioso di Campione si contrappone alla “falesia” strapiombante nel lago. Il percorso sale ancora prospiciente al lago seguendo la vecchia strada ora chiusa al traffico veicolare. 

Ora la vista è sul lato trentino del lago di Garda circondato dalle vette del monte Alto e di Cima Larici. Una lunga serie di corte gallerie mi conduce alla curva sinistrorsa che immette nell’orrido del torrente Brasa.

Ancora due ravvicinati e sinuosi tornanti ed abbandono il grande specchio d’acqua per immettermi definitivamente nell’orrido. Una vera progressione di spettacolarità. “We are in!” urlo al mio navigatore/videocamera.

Oltrepassata la “Forra” proseguo la salita verso Pieve di Tremosine. Come sempre è d’obbligo la deviazione alla “terrazza del brivido”.  Sosta fotografica, spuntino e riparto in direzione Vesio, la frazione principale di Tremosine, da cui parte la strada asfaltata per passo Nota.

Attraverso la val di Bondo, antico alveo pluviale, e inizio la parte dura della salita. Subito mi fermo ed approfitto della splendida fontana da cui sgorga sempre acqua freschissima.

Riparto, poco meno di sei chilometri mi separano dal passo, tre quarti d’ora di splendido bosco e rupi scoscese a fare da cornice.

Giungo all’incrocio, sinistra passo Tremalzo, dritto piana di passo Nota, destra carrabile per il cimitero di guerra e poi sentiero delle “sei gallerie” per Vesio. Il mio itinerario prevede la strada di destra. Prima, però, voglio percorrere qualche centinaio di metri nella piana sulla strada che poi scende direttamente agli alpeggi della val di Ledro. Sarà uno dei mie prossimi itinerari e già che sono qui voglio verificare quale sia il fondo.

Ritorno sui miei passi e prendo la strada per il cimitero, passo davanti ai ruderi del vecchio ospedale militare, che erroneamente nei miei precedenti racconti ho chiamato forte, ma ora, dopo più approfonditi studi, ho scoperto essere l’ospedale di prima linea, posizionato proprio sotto le trincee di cresta ben riparato su tre lati dalla depressione in cui si trova.

La strada prosegue ampia e carrozzabile fino alla successiva stalla, ricovero per le mandrie all’alpeggio. Mi fermo per un piccolo shooting fotografico. Riaggancio il pedale, ora la strada si stringe e si posiziona costantemente sotto cresta con una splendida vista a strapiombo sulla val di Bondo. 

La discesa è ancora leggera ed il fondo piuttosto compatto, ma dopo poco meno di un chilometro la pendenza aumenta e parallelamente il terreno diventa mosso e cosparso di sassi. Da larga mulattiera in breve passa a sentiero scolpito sulla roccia viva della cresta. Sempre più sconnesso, l’eccitazione per la nuova tipologia di strada che sto percorrendo è pari al timore di scivolare a causa del terreno sdrucciolevole e assolutamente non adatto alle geometrie di una bici stradale “endurance” con copertoni appena zigrinati da 40mm. Prendendo a prestito un modo di dire dei cestisti: “discesa ignorante!” 

Davanti a me la prima galleria, entro abbassando la testa istintivamente in quanto l’altezza non arriva ai due metri. Esco, proseguo ed in breve mi ritrovo a dover scendere di bicicletta per affrontare un paio di piccoli salti di mezzo metro tra le rocce. 

Continuo così  per un chilometro abbondante, con grande circospezione e senza far guadagnare velocità alla mia AliMat. Mi fermo più volte per poter godere di questo panorama eccezionale in tutta sicurezza. 

Il sottile sentiero tortuoso scavato a ridosso della roccia, lo strapiombo sulla valle di Bondo, il monte Tremalzo in cui si distinguono nettamente i tagli dell’altra strada militare, il lago che lentamente si avvicina e la vetta del monte Baldo dietro di esso. 

Scendo, ora sono al primo di una lunga serie di tornanti, il paese di Vesio è proprio sotto di me, quattrocento metri di strapiombo! 

Inizio la serie di curve, il sentiero è tornato largo e carrabile, ma completamente ghiaioso e con pendenza superiore al 10%. La ruota posteriore scivola e derapa di frequente, io cerco di non prendere velocità. Oggi sto veramente testando l’impianto frenante a disco.

Incrocio alcuni bikers che salgono, ci salutiamo e mi guardano con fare stupito. In effetti solo un’ignorante può affrontare questa discesa con una bici di derivazione stradale: in realtà i passaggi più tecnici li ho dovuti percorrere a piedi!Discesa degli eroi Arrivo nel parcheggio all’inizio della val di Bondo. Mi fermo, mangio, guardo il gps, sono le 11.00, ho impiegato più di un’ora (comprese le soste) per percorrere sette chilometri di discesa! Sono talmente soddisfatto di quello che ho visto e del percorso che sono riuscito a concludere che il giro potrebbe finire qui. Invece il mio programma prevede ora di percorrere la Tignalga fino al caseificio di Tremosine per poi svoltare a destra nella valle del torrente San Michele. Già un paio di anni or sono mi sono addentrato su questa sterrata per un paio di chilometri, oggi l’obiettivo è quello di arrivare all’Eremo. Quest’ultimo è posizionato in fondo alla valle proprio laddove la strada di impenna verso il passo Tremalzo. Sono poco più di tre i chilometri di fondo valle che scorrono prima in leggera salita e poi in leggera discesa. 

Giungo alla confluenza tra il torrente Negrini e il San Michele da cui ha origine ad un piccolo e limpido laghetto, magnifico! Non mi fermo, dovrò tornare ancora da qui e lascio la sosta per dopo.Eremo San Michele Inizia la salita dura, i primi quattrocento metri, sterrati, con pendenza attorno a 10% sono più problematici a causa della scarsa aderenza sul terreno; poi, fortunatamente, la carrabile diventa cementata ed anche se la pendenza ora è superiore a 14% ho meno problemi. Al tornante destrorso un cartello in legno mi indica di abbandonare la strada per entrare nel bosco lungo la traccia che conduce all’eremo di San Michele. Scendo di sella e bici a spalla come nel ciclocross, risalgo il tortuoso sentiero ed arrivo sul pianetto della chiesa. In effetti la costruzione si erge una cinquantina di metri al di sopra della confluenza dei due torrenti ed è collegata alla strada solo da questa striscia ghiaiosa, altrimenti che “eremo” sarebbe?

L’eremo è composto di due parti, una più grande dedicata alla chiesa e l’altra più modesta per l’abitazione. Fuori da questa un fraticello legge all’ombra del portichetto. Lo saluto ed entro nella chiesetta per qualche istantanea didascalica. All’uscita mi soffermo a dialogare con il frate. Scopro, così, di essere stato abbastanza fortunato a trovare aperto in quanto solo lui ed altri due suoi confratelli di un convento francescano della Brianza si alternano, d’estate, in settimane di preghiera in questo luogo.

Mi congedo dal frate e riprendo a spalla la mia AliMat per ritrovare la strada cementata. Giungo nuovamente allo specchio d’acqua, ora mi fermo e con tutta tranquillità mi godo il silenzio e lo splendore di questo luogo, mangio qualcosa e riparto.