Malga Tombea e Malga Alpo

Monte Tombea gravelextreme

Sono le 5.22 di sabato 1° agosto quando parto da Polpenazze in direzione nord. Quest’anno avevo due obiettivi ghiaiosi: completare l’anello del Tremalzo ed arrivare a malga Tombea proprio sotto la cima del monte omonimo. Conquistato il primo proposito, oggi è il turno del secondo. Dopo aver visto la splendida traccia di Niccolò della scorsa settimana decido di salire dal lago d’Idro, questo mi darà la possibilità di scoprire anche un’altra salita per me inedita, quella di malga Alpo. Dopo aver scavallato i laghetti di Sovenigo, a Villanuova mi infilo nella ciclabile della Val Sabbia sempre molto bella, ma con numerosi tratti troppo complicati per la bdc. Oggi, invece, con la LinaBatista la percorro volentieri. Settimana scorsa in località Ponte Re (all’uscita di Barghe) è stato inaugurato un nuovo tratto che consente di evitare la statale del Caffaro lungo la quasi totalità dell’abitato di Vestone. Sono pochi chilometri, ma la particolarità e che per un centinaio di metri la ciclabile è sospesa sopra il fiume Chiese aggrappata alla montagna esattamente come la celebre ciclopista di Limone.

Decido di fermarmi nel parco di Vestone per riempire la prima borraccia oramai vuota e mangiare la prima barretta. Sono le 7.00 del mattino quando ritorno sulla statale, fortunatamente l’abbandono prima dell’abitato di Lavenone restando a destra vicino al Chiese. Rientro sulla principale prima di Idro ed ora la devo percorrere per tutta la lunghezza del lago. Essendo il primo sabato di agosto, nonostante l’ora (7.30 circa), il traffico inizia a farsi sentire. Ancora niente code, ma certo non le poche autovetture a cui sono abituato in questi orari. Ad Anfo passo davanti alla fontana che solitamente è tappa di rifornimento prima della salita al passo Baremone, vedo tre Exploro della 3T con altrettanti ciclisti intenti nell’approvvigionamento idrico. Li saluto, ricambiano, mi immagino che saliranno allo sterrato del Baremone e magari faranno tutto il crinale fino al Crocedomini. Finalmente giungo a Ponte Caffaro e svolto a destra nelle vie del paese levandomi di dosso il fastidioso rumore dei motori.

Da ora per parecchie ore di auto ne vedrò poche. Utilizzando parte della ciclabile scavalco il piccolo delta del Chiese che si immette nel lago. A Baitoni inizia la salita, sono poco più di 10km per giungere agli oltre 1.400m di Malga Alpo, la pendenza media supera di poco il 10%, tuttavia i primi 4km fino al borgo di Bondone sono più semplici con pendenza 7-9% ad eccezione di un breve tratto iniziale tra 10-12%.

Inizio a salire e dopo alcuni tornanti con splendida vista sul lago odo il vociare di alcuni ciclisti alle mie spalle. Mi volto, sono in tre, salgono di buon passo, ma in scioltezza. Dopo altri cinquecento metri mi raggiungono, mi salutano (sono i tre delle Exploro) e mi superano. Qualche istante dopo uno si gira e mi chiede: “Ma sei Marco, quello che mi ha scritto su Komoot?” “Sì, sei Niccolò!” rispondo io. Per un attimo rallentano un poco ed io accelero per poter scambiare due parole. Non pensavo proprio che avrebbe rifatto lo stesso giro la settimana successiva. Mi spiega che ai suoi due amici Eric e Simone interessava molto e così eccoli qua. Sfortunatamente io non ho il loro passo e devo lasciarli andare. Sarebbe stato interessante discorrere un po’ di più con Niccolò Varanini che ritengo uno dei migliori tracciatori. Proseguo la mia salita fino al borgo di Bondone, carino, appollaiato sulla montagna a 700m s.l.m. con splendida vista sul lago e sulla valle. Ad un tornante vedo un bar e seduti i tre Exploro si gustano un caffè, ci salutiamo. Esco dal paese, un cartello minaccioso allerta gli automobilisti sulla pericolosità e la pendenza della strada. Ora inizia la parte dura, ma anche quella più paesaggisticamente spettacolare. Si parte subito con un 15% e ci si infila nel bosco, la strada diviene stretta, nessun rumore se non il cinguettio degli uccelli ed il frusciare delle foglie al vento. Innesto sin da subito il rapporto più corto 30×40 e mantengo una cadenza alta, saranno quasi 6km per arrivare alla malga e voglio salvare la gamba il più possibile. Fortunatamente poco prima del terzo chilometro inizia una specie di falsopiano, per 500m la pendenza non supera il 6%. E’ qui che mi riprende Niccolò con i suoi amici, questa è una fortuna perché mi consente di stare qualche minuto con loro e conoscerci un po’.

Ovviamente finito il tratto facile la strada si fa cattiva, ma proprio tanto. Niccolò scappa in avanti con balzo felino per appostarsi e scattare le fotografie ai suoi compagni. Eric e Simone proseguono con agilità manco stessero pedalando in ciclabile, io mi affanno e vedo il GPS superare il 20% di pendenza più volte. Intravedo Niccolò all’uscita di un tornante mentre sta ripartendo dopo lo shooting, ci salutiamo a distanza, non li rivedrò più com’era prevedibile che fosse. Mi godo la mia salita su questo versante a me nuovo. Mi sorpassano, in momenti diversi, anche due ragazzi in bdc del B3L, vanno ancora più forte sembra stiano facendo una cronoscalata. Dopo il quinto chilometro da Bondone il bosco lascia spazio all’alpeggio, la vista si apre sulle montagne, il cielo è terso, un vero paradiso.

Inizio a vedere le prime malghe ed i cartelli indicano che ormai sono in località Malga Alpo. Anche la pendenza si addolcisce, per diventare nuovamente tosta solo in mezzo alle malghe. Abbandono per un attimo la strada che sale alla Bocca di Cablone per una deviazione all’abbeveratoio (saggiamente visto nello studiare la traccia di Niccolò). Mi fermo, è il momento della pausa pranzo, si fa per dire, dato che non sono ancora le dieci, ma pedalando da più di quattro ore ho proprio bisogno di reintegrare e questo è veramente un luogo fantastico per farlo.

Mangio, bevo, guardo la montagna che mi sovrasta e che dovrò scalare di lì a poco e faccio fotografie. Dopo un quarto d’ora abbondante riparto, imbocco la strada per il valico e inizio a salire. I primi 2,5km sono facili attraverso l’alpeggio ed il bosco. Al primo tornante a sinistra le cose si complicano e di parecchio come preventivato. La strada si impenna oltre il 10% ed il fondo si fa molto mosso e con sassi piuttosto grossi.

Oltrepasso la vecchia galleria militare, ormai siamo entrati nella zona di confine della Grande Guerra, provo a pedalare ancora, ma devo rinunciare a causa del fondo, un centinaio di metri e risalgo in sella arrivo al secondo ed al terzo tonante e li oltrepasso con grande fatica, la bici si impunta troppo spesso contro i sassi più grossi ed il posteriore slitta di frequente. Al quarto tornate decido che data la velocità in sella mi conviene proseguire a piedi e salvare la gamba. I cinque tornanti successivi sono meravigliosi, sono talmente assorto nel contemplare il paesaggio che quasi non mi accorgo di essere già oltre i 1.600m. Scatto alcune fotografie, da qui si possono osservare contemporaneamente Bagolino, la piana del Gaver, il Dosso Alto, i radar del Dosso dei Galli ed infine a nord in tutto il suo splendore il ghiacciaio dell’Adamello.

Provo a risalire in sella vedendo un tratto più facile alla ripartenza dal tornante otto, ma dura poco, ritorno a spinta, in realtà sono quasi a 1.700m e non manca molto alla Bocca di Cablone (1.775m). Sono quasi sorpreso quando scorgo il valico, la maestosità del paesaggio mi ha fatto perdere la cognizione del tempo, in realtà ho camminato per circa mezz’ora. Guardo verso est, riconosco il profilo delle montagne della Valvestino e del lago di Garda, sotto di me i fienili di Denai, aria di casa. Oggi, però, è il grande giorno di Malga Tombea, mi attende ancora più di un kilometro di salita sulla sterrata militare.

È li davanti a me intagliata nella roccia, un lungo rettilineo ghiaioso. Riparto, la pendenza media è 8%, ma nella parte centrale, per duecento metri, si torna ancora vicino a 20%. Riesco a percorrerla quasi tutta in sella forte del fatto che so di essere vicino alla meta. Quando la strada ritorna a salire in modo più confortevole ho la forza per guardarmi attorno. Sotto di me un gregge di pecore e sul ciglio della carrabile un ragazzotto (il pastore), ci salutiamo. Arrivo alla Malga, le giro tutt’attorno ed intanto osservo sia il monte Tombea, sia il Caplone poco più avanti.

Cerco di scorgere la traccia della mulattiera che porta al Caplone attraverso la Bocca di Campei. La osservo, so che i tre Exploro sono andati di là, percorso molto tecnico, più mtb che gravel. Da lì si può scendere a Bocca Lorina e poi scegliere o su al Tremalzo o giù a Tremosine. Per me oggi basta così, mi godo il Tombea da qua, da questo nuovo punto di osservazione. Mai ero salito così in alto in Valvestino, vedere Cima Rest (1.200m), che era il mio vecchio punto di riferimento con la bdc, dall’alto dei 1.800m del Tombea laggiù in fondo mi suscita un enorme stupore.

Unico neo, la foschia della calura estiva che salendo dal lago ne impedisce la vista, ma non si può aver tutto. Riparto e ritorno verso Bocca di Cablone per prendere la forestale che scende ai Fienili di Denai e a Magasa. Passo vicino al pastore, gli dico che nella piana vicino alla malga c’è un agnellino “disperso” che bela. Mi risponde con fare colorito: “Lo so. La vedi quella là, è la tr… di sua mamma che lo ha abbandonato. Dopo torniamo a prenderlo.” È incuriosito dalla mia bici, parliamo un po’ e scopro che è un vero pastore, di quelli che la transumanza la fanno per davvero, è partito da Montichiari a fine maggio e poco alla volta è salito fino a qui. Tra un paio di settimane inizierà la discesa, mi faccio spiegare il percorso, sono molto curioso, si stupisce un poco del fatto che io conosca tutti i luoghi che mi cita e che gli dica che ci sono passato in bici durante altri giri. Una curiosità mi assilla, siamo ad agosto, in questo periodo quando arrivano le perturbazioni piovose il brusco abbassamento di temperatura crea dei potenti temporali ed il Tombea è il monte più alto nell’arco di chilometri, un parafulmine naturale. Com’è stare qui chiusi dentro le spesse mura della malga? Anche stavolta la risposta è colorita: “C’è da cagarsi sotto!” Lo lascio al suo lavoro, non senza prima averlo ringraziato per la tradizione che porta avanti con caparbietà. Massimo rispetto! Ho i brividi ancora adesso che scrivo a pensare a lui. Inizio la discesa, interrotta molteplici volte per fotografie varie.

Dopo il Cablone la strada è ancora molto mossa e scoscesa per alcuni chilometri, forse quasi tre, poi cominciano a comparire tratti lastricati ed anche il fondo dello sterrato migliora. Infine poco prima del “Pilaster” (bivio con una forestale che porta direttamente a Rest) si entra nel bosco segno che Denai è vicino.

Raggiunto l’asfalto ai Fienili mi fermo un attimo per riposare le braccia, fotografare e bere un sorso. Riprendo, poco prima di Magasa c’è una bellissima fontana con una panchina e delle fioriere di legno sulla strada, mi fermo lì per riempire le borracce, guardo l’ora sono le 12.30. Era da Malga Alpo che non controllavo l’orologio come se lassù nel silenzio delle montagne non fosse più esistito un riferimento temporale.

Riparto, la solita sensazione di aver già alle spalle la parte migliore del giro, mi consola il fatto che ancora per numerosi chilometri pedalerò sulle magnifiche strade della Valvestino. La giornata è di quelle calde, l’ho capito dall’afa che vedevo sopra il lago dal Tombea. Per fortuna questi sono luoghi noti per essere sempre freschi. Per curiosità arrivato a “Frozen Place”, la piccola laguna poco più in basso di Turano dove in inverno ho visto -10°C, guardo il termometro del gps, segna 27°C anche qui!

Oltrepasso la diga, la temperatura è costantemente sopra i 30°C, ma ciò non mi dispiace. Oggi opto per la discesa da Zuino con ulteriore deviazione a Fornico che mi riporta sulla strada alta di Gaino. Ormai ci siamo, sono costretto a tornare nel mondo civilizzato ed a Toscolano rientro in Gardesana, il solito traffico vacanziero, ma neanche dei peggiori.

Sono circa le 14.30, direi l’orario migliore per godere della calura afosa che sale dall’asfalto. Il vento caldo asciuga il sudore e le borracce si svuotano velocemente. Niente deviazione per S.Michele o Gardone Sopra, oggi si va dritti a Salò per salire le Zette ed uscire nuovamente dal traffico utilizzando il percorso ciclabile che passa per Raffa di Puegnago. Il mio gps segna spesso 35/36°C, ma so che il sensore è troppo influenzato dall’irraggiamento solare. Arrivato a Raffa di Puegnago una bellissima fontana/lavatoio all’ombra mi consente di immergere completamente entrambe le braccia nell’acqua fresca e di inzuppare il cappellino che uso come sottocasco.

Riparto, ormai sono quasi arrivato, la curiosità è vedere fino a che temperatura arriverà il gps quando inizierò a risalire verso Picedo e la velocità calerà sotto i 20km/h. Ebbene punta massima 43°C, io lo considero un buon indice del calore percepito, sapendo benissimo che la temperatura reale probabilmente si attesta a 37°C. Arrivo a Polpenazze quasi alle tre e mezza del pomeriggio dopo 130km e 2.430m di dislivello che, come sempre, non dicono molto riguardo allo spettacolo del giro. La soddisfazione oggi è veramente tanta, il Tombea è da anni uno dei miei tarli ed oggi si è lasciato conquistare in una splendida giornata estiva.

Dettagli tecnici su: STRAVAKOMOOT

Videogallery: Video 7’04”

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Pian delle Fugazze, Vicenza e Verona

Sabato 15 agosto 2020, alle 5.43 parto da Polpenazze per un giro che dovrebbe essere il più lungo della mia carriera cicloturistica. Per la prima volta sono costretto a dichiarare i miei intenti in famiglia in quanto l’arrivo sarà sicuramente dopo l’ora di cena. La promessa è di mandare, di tanto in tanto, fotografie dei luoghi che attraverso. Prima fermata d’obbligo, appena partito, per immortalare l’alba che verrà, poi via verso la mia città natale dove scattare un’altra suggestiva panoramica del golfo di Salò.

Oggi poche soste fotografiche lungo la gardesana, giusto la classica cartolina dal porticciolo di Villa di Gargnano e l’immancabile panoramica su Limone dalla statale.

Alle 7.30 pedalo sulla ciclopista a sbalzo, il Peler soffia forte oggi, kite e wind-surf sono già in mezzo al lago ad effettuare le loro evoluzioni. La fermata a metà ciclabile è obbligatoria.

Riparto alla fine della passerella mi fermo per una fugace barretta e per un paio di scatti che sanciscono il cambio di regione.

Riparto, alle 8.00 precise sono nella piazza dell’imbarcadero di Riva. Quasi 27km/h di media, assolutamente in tabella di marcia. Riempio le borracce e mi dirigo verso Torbole, all’altezza della galleria sotto il monte Brione entro in ciclabile e scatto una fotografia verso il lago, da quella che per me è una posizione inusuale, l’estremità nord.

Attraverso il centro di Torbole e salgo verso Nago sfruttando la via ciclabile promiscua, circa un chilometro e mezzo con pendenza vicina al 10%, dopo i primi trecento metri “a chiocciola” un lungo rettilineo porta al borgo sovrastante. A metà mi giro, scatto una fotografia e saluto il mio lago.

Attraverso l’abitato seguendo i cartelli della ciclabile Torbole-Rovereto e inizio la discesa attraverso i vigneti e la depressione del lago di Loppio. Ciclabile bellissima e ben fatta che alterna tratti promiscui a traffico zero nelle vigne a tratti ben separati lungo il bosco del lago.

Sono alle porte di Mori, rientro sulla statale e la seguo fino a Rovereto, data l’ora e soprattutto il giorno di Ferragosto, la strada è pressoché deserta, attraverso la zona industriale e commerciale di Rovereto ed alle porte del centro svolto a destra sulla sp89 “sinistra Leno” in direzione monte Zugna, Albaredo.Rovereto-Anghebeni (SP89) I primi 6km sono impegnativi, pendenza costantemente attorno a 10%, dopo circa 2km nella frazione di Porte mi concedo una pausa “rubinetto” all’ombra del bosco e mangio il primo dei dieci panini al latte che ho preparato. Riparto, giungo al Albaredo dove si divide la strada per il monte Zugna dalla provinciale “sinistra Leno”.

Da qui anche quel poco traffico veicolare che saliva al monte non mi disturberà più. In piazza trovo una magnifica fontana dove riempire nuovamente le borracce, inzuppare di acqua fresca lo “scaldacollo” (in realtà è quello estivo in microfibra), il cappellino sotto-casco e affondare entrambe le braccia fino alle ascelle nella vasca. Sono da poco passate le 10.00, ma la salita era completamente scavata nella roccia ed esposta al sole ed il caldo si è fatto sentire. Oggi sarò esposto ai raggi solari fino a sera e l’ultima cosa che voglio è soffrire di un colpo di calore. Riparto, adesso che ho raggiunto i 750m di quota la strada si fa più semplice, l’attraversamento dei paesi di Foppiano, Zanolli e Matassone è caratterizzato da continui saliscendi che fanno guadagnare leggermente quota fino ad un massimo di 850m in 6km, una splendida visuale sul Pian delle Fugazze prima ed un altissimo viadotto mi costringono a fotografie e video.

Da qui scendo leggermente per altri 3km fino a raggiungere la frazione di Aste. Raggiunto il borgo scendo a fondo valle per spostarmi sul versante destro, quello della SS del Pasubio. Risalgo per un chilometro (pendenza 8%) e mi innesto sulla statale ad Anghebeni. Queste citate sono tutte frazioni di un vastissimo comune che copre quasi l’intera valle, il comune di Vallarsa.Pian delle Fugazze da Arlach Per raggiungere il passo mi servono ancora quasi 12km. Dall’altitudine attuale di 590m devo risalire fino ai 1.163m del Pian delle Fugazze. La pendenza media sarebbe dolce meno del 5%, ma la realtà, come è giusto che sia in montagna, è ben diversa. La strada alterna tratti facili in falsopiano e in leggera discesa a rampe con pendenza tra 8% e 14%. Dopo l’ottavo chilometro addirittura un chilometro e mezzo di discesa che fa perdere ben 50m di quota. Io, in realtà, sono concentrato sul paesaggio e sul mantenere una pedalata sempre agile. Così dopo quattro chilometri da Anghebeni mi fermo ad ammirare lo splendido laghetto artificiale di Seccheri e la sovrastante Cima Carega.

All’inizio della discesa dell’ottavo chilometro il panorama cambia, le vette dei monti del Pasubio iniziano a fare capolino tra le aperture del bosco. Quando giungo sotto al Soglio dell’Incudine la fermata è obbligata.

Riprende la salita ed è proprio qui che si fa arcigna, mancano solo due chilometri al passo ed il primo è costantemente in doppia cifra con punta del 14%. Dovrei essere accigliato ed invece sorrido dentro, mi sembrava troppo facile questa salita (mi son forse già dimenticato dei primi 6km al 10% ?!?). L’ultimo chilometro spiana leggermente, la ex-casa cantoniera preannuncia lo scollinamento che arriva di lì a poco.

Manca poco a mezzogiorno ed io decido di pranzare alle Fugazze, tre panini dolci con bresaola vanno giù uno via l’altro. Ce ne era bisogno, lo stomaco iniziava a sentire il vuoto. Un poco di stretching a collo e schiena, un’altra foto inviata a casa e dopo circa un’quarto d’ora sono pronto a ripartire. “Andiamo a vedere ‘sto Pasubio!” La discesa è bella, a tornanti, decisamente più ripido il versante vicentino. Si apre subito davanti a me la conca meravigliosa del Pasubio.

Sarà per i numerosi cartelli marroni (ossario, cimitero di guerra, trincea, casermetta), per i resti di qualche bunker, per le numerose bandiere italiane alle finestre, per gli alti pennoni con il tricolore svolazzante, ma a me viene la pelle d’oca, mi sembra di sentire ancora le urla dei soldati della Grande Guerra e la montagna nella mia mente trasuda sangue, il sangue dei nostri bisnonni che qui combatterono per la nostra patria. Arrivo a Valli del Pasubio e cerco di ripigliarmi da questa rievocazione storica, svolto a destra e prendo la sp “strada per Recoaro”.

Potrei scendere dritto a Vicenza, ma #lapianuranonesiste e quindi risalgo a passo Xon, salita breve circa 6km facili, i primi 3km quasi piatti ben riparati dal bosco, poi i restanti 3km con pendenza 6% molto regolare. Circa al quinto chilometro arrivo nella frazione di Staro, all’inizio del paese un bel fontanone mi attende, riempio entrambe le borracce ed in una aggiungo una busta di sali, inzuppo lo scaldacollo, il cappellino e sciacquo gambe e braccia. C’è una targa vicino alla fontana, raffigurante il crinale dei monti che si vedono dal borgo con tutti i nomi delle cime. Riparto alla ricerca del posto migliore per scattare una foto di quel crinale, arrivo quasi alla fine del paese senza averlo trovato, ma un cartello indicante “Staro Alta” mi obbliga a deviare dalla traccia per qualche centinaio di metri. Finalmente trovo il luogo per la didascalia ed anche un bellissimo murales che rappresenta una truppa alpina!

Ritorno sulla via programmata, oramai sono a passo Xon, da qui altra vista spettacolare sulla Cima Campogrosso.

Scendo a Recoaro, discesa tortuosa con tornati ravvicinati, anche questa mi sembra più ostica, come pendenza, da questo versante. Recoaro si presenta deserta, come è giusto che sia per una cittadina il giorno di Ferragosto, dalla piazza principale scatto un paio di didascalie alla chiesa e riparto.

Ora è tutto un falsopiano in leggera discesa fino a Vicenza, la provinciale è larga, il traffico nullo ed io quando riesco, senza forzare, supero i 50km/h. Sono a Valdagno e la mia traccia, realizzata con Komoot mi manda sulla ciclabile, bellissima anche questa.

Non che avessi problemi a stare sulla provinciale dal momento che era deserta, ma questo mi consente di rimanere sull’argine del torrente Agno e godere di lunghi tratti ombrosi. In uno di questi ne approfitto per una pausa “rubinetto” e per aggiungere alla borraccia mezza piena, mezzo barattolino dell’intruglio che mi ero preparato. Niente di che: tre cucchiai da minestra di caffè solubile, di orzo e di zucchero. Riparto, all’altezza di Brogliano sono costretto, mio malincuore, ad abbandonare la ciclabile per svoltare a destra verso Castelgomberto. Una leggera salita in paese e scendo ad ovest, riparato dal sole, verso Sovizzo e Creazzo. Sono immerso nella campagna vicentina. Non me ne accorgo quasi e svoltando a sinistra mi ritrovo in via Ponte Storto proprio vicino all’enorme rotonda che porta a Vicenza e che ho percorso più volte per lavoro in automobile. Essendo Ferragosto, mi circonda il deserto totale e posso circolare liberamente su questo stradone che normalmente è affollato da autovetture e camion in coda. In poco meno di tre chilometri sono a Vicenza, il navigatore mi guida verso viale Dante Allighieri da dove inizia la salita classica al Monte Berico. In realtà riconosco le strade, le ho fatte l’autunno scorso quando con Marina siamo venuti un fine settimana a festeggiare il nostro anniversario e la domenica siamo saliti in auto al santuario.Monte Berico I chilometri sono già 172km e temo un poco la salita. In realtà la ricordavo più complicata di quello che è. Un chilometro giusto, ma solo gli ultimi 600m con pendenza 8-12%.

Innesto il rapporto più agile e salgo piano piano, il sole dritto in viso cuoce, sono da poco passate le 15.00, l’aria è calda e umida. Arrivo nel piazzale e vedo subito una fontanella, ennesimo rifornimento idrico. Mi dirigo al parapetto per scattare un paio di fotografie a Vicenza dall’alto e ai monti dai quali sono arrivato.

Un panino, un attimo di relax e riparto. Ripasso dalla fontanella e rabbocco la borraccia che era già vuota per metà. Percorro il crinale dei monti Berici, passo da Arcugnano e salgo fino a Perarolo, un dolce saliscendi il cui tratto più duro misura circa 1,5km ad una pendenza di 5-6%.Perarolo Prima di arrivare nella frazione di Perarolo mi concedo una deviazione a sinistra per scattare una fotografia panoramica sulla conca formata dai Berici in cui è racchiuso il lago di Fimon. Inizia la discesa dai circa 260m di altitudine e questa è stata veramente l’ultima salita di giornata.

A metà discesa l’Incompiuta, quello che doveva essere il nuovo Duomo di Brendola i cui lavori vennero bloccati durante la Seconda Guerra Mondiale senza più ripartire, attira la mia attenzione. Sosta rapida e via seguendo la traccia che ricalca in parte l’itinerario cicloturistico “I1” Vicenza-Soave-Verona. La traccia che ho programmato salta a destra e sinistra dell’autostrada, attraversando i celebri vigneti di Soave. Dopo San Bonifacio piego decisamente verso sud-ovest fino a raggiungere quasi l’argine sinistro dell’Adige, strade di campagna traffico quasi nullo ad eccezione di tre chilometri vicino al casello dell’autostrada. Qui percorro una bretella in cui la sede stradale a destra della riga bianca che delimita la carreggiata degli autoveicoli è più larga di una normale ciclabile! Arrivo sull’argine di un naviglio e svolto a destra puntando dritto verso Verona. Con mia sorpresa mi aspettano un paio di chilometri di strada bianca, ben battuta, con poca ghiaia, la attraverso ad un buon ritmo.

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Argine dell’Adige

Ritorno sull’asfalto e inizio a cercare una fontanella, l’acqua è nuovamente ai minimi. Qualche chilometro e nell’attraversare il minuscolo borgo di Mambrotta trovo una fontanella nel parco giochi. Fermata un po’ più lunga, riempio, mangio, getto le cartacce nel bidone della spazzatura, bevo e riempio ancora. Sono già a 225km, manca ormai poco a Verona, passo sopra l’autostrada, sotto alla ferrovia ed un cartello mi dice che sono arrivato in città. Sì, ma a San Michele Extra, che vuol dire ancora più di cinque chilometri per piazza Brà. Percorro il lungo viale Unità d’Italia sulla carreggiata. In realtà, sul lato opposto al mio, un marciapiede enorme, almeno otto metri di larghezza, è usato per metà come pista ciclabile ben segnata, anche il mio navigatore mi avrebbe fatto percorrere quella via, ma il traffico ridottissimo mi ha convinto a restare sulla strada.

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Ponte sull’Adige, Verona

Finalmente il ponte sull’Adige, il centro è ormai vicino, giro attorno alle mura scaligere ed entro in piazza Brà. Sono quasi le 19.00. Eccola AliMat fotografata in primo piano davanti all’Arena!

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Arena di Verona

Proseguo, castello e ponte Scaligero. Salgo sull’argine per le fotografie di rito. Tutto ciò mi porta a rallentare il passo di marcia, ma si sa gli attraversamenti delle grandi città sono così.

Prendo la ciclabile del sole che parte proprio da Verona in direzione dell’Alto Adige, il sole è proprio in fronte, ma ormai scalda poco, inizia a sentirsi l’umidità della sera soprattutto perché costeggio il naviglio.

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Ciclabile del Sole (VR-Resia)

A Bussolengo abbandono la ciclabile per dirigere verso le colline moreniche. Prima di uscire dal paese una rapida sosta per svuotare il barattolino di intruglio nella borraccia. La strada risale dolcemente sui clivi ed a Palazzolo mi ritrovo con il sole basso sull’orizzonte che illumina una sottile striscia di acqua, è il basso lago di Garda che dalla modesta altitudine di 250m si riesce appena ad intravedere.

pasu35Lo fotografo, trovo anche una fontana e riempio entrambe le borracce, riparto in direzione colline moreniche. L’aria oramai e fresca e umida ci sono 23°C. Attraverso la statale per Peschiera, ma non la prendo, il giro deve essere completamente su strade poco trafficate. Passo nuovamente sopra l’autostrada, mi fermo ancora per una fotografia prima che il sole scompaia definitivamente dietro l’orizzonte.

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Tramonto a Oliosi

Svolto per Oliosi, in realtà io vado a Monzambano, ma da qualche chilometro a questa parte nelle indicazioni vedo solo questo nome oltre a Valeggio. La strada è sempre in leggera discesa ed io accelero un poco, voglio passare il ponte sul Mincio prima che sia definitivamente buio in quanto al di là del fiume conosco bene il percorso. Sono da poco passate le otto e mezza di sera quando passo sul Mincio, niente fotografia, ormai è troppo buio. Finalmente posso prendere la strada per Pozzolengo, nuovamente su una gobba lo scenario al crepuscolo mi esorta ad un tentativo di fotografia anche se solo con il telefono. Modalità “Pro” in semi-automatico, ISO 100 (altrimenti nella correzione sgrana troppo), tempo di esposizione 1/2sec e speriamo bene.

Riparto, ormai e buio pesto, ma non sono per nulla preoccupato, i miei due fari anteriori fanno il loro lavoro alla perfezione. Il più forte e con raggio di apertura maggiore illumina dritto, quasi fosse un abbagliante, ad oltre 50m; l’altro punta leggermente in basso e illumina a giorno i 15m più vicini a me. Dietro due fari con superLed e luce di frenata ad accelerometro. Arrivo a Pozzolengo, decido di aggirarlo percorrendo la bretella esterna, credo così di poter fare più veloce. Di tanto in tanto incrocio un’autovettura o qualcuna mi supera, in entrambi i casi rallentano, evidentemente non capiscono che razza di mezzo di trasporto ci sia per la strada.

Meglio così, vuol dire che mi vedono già da lontano. Ancora qualche chilometro nel buio ed i passaggi sopra autostrada e tangenziale sanciscono l’arrivo nell’abitato periferico di Desenzano. Passo sotto il viadotto della ferrovia, mi fa strano percorrere queste strade di sera in bicicletta io che sono abituato a percorrerle in automobile. Alla rotonda prendo a sinistra per l’ospedale, di nuovo fuori dal traffico, nelle colline della bassa Valtenesi in direzione Maguzzano. E’ proprio lì che scattano i 300km sul GPS, caccio un urlo di godimento, ora devo solo cercare di non far succedere pasticci negli ultimi chilometri. La strada scende al lido di Lonato e per un paio di chilometri seguo la statale per Salò, poi svolto a sinistra salgo a Padenghe, ne attraverso il centro, il viale alberato del cimitero e giungo a Soiano, sono quasi le 22.00.

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Arrivo a Polpenazze!

Ultimo sforzo per risalire in paese e scendere al confine con Polpenazze ed i giochi sono fatti! I numeri dicono 308km, 3.080m dislivello, 13h57’40”, 11 borracce più le sorsate dirette (circa 9 litri) 10 panini al latte imbottiti, 6 barrette energetiche,  4 gel energetici, 1 busta di sali, 1 barattolino di intruglio. Quello che non dicono sono le emozioni di un viaggio da prima dell’alba a notte inoltrata. Un viaggio costituito da paesaggi meravigliosi: la gardesana occidentale scavata nella roccia, la ciclopista a sbalzo di Limone, le ciclabili trentine, i monti del Pasubio. Un viaggio nella storia dell’unità d’Italia dal Pasubio trasudante sangue della Grande Guerra alle colline moreniche terreno delle feroci battaglie della I e II guerra d’Indipendenza contro gli Asburgo. Un viaggio nell’arte della palladiana Vicenza e della scaligera Verona. Soprattutto un viaggio verso una pentola di acqua bollente con più di un etto di pasta che “Moglie” sta preparando per me! E questa è stata la soddisfazione più grande!

Pasubio 300

Dati tecnici su Strava: https://www.strava.com/activities/3918487278

su Komoot: https://www.komoot.it/tour/239893181

Videogallery: https://youtu.be/H4e3xsB_Reg (5min)

Photogallery:

BresciaGravel 2018

Sono le 6.40 quando scendo da casa, ad aspettarmi Francesco che in bdc (bici da corsa) mi accompagnerà lungo il primo tratto di questa avventura gravel. Già, perché oggi sono iscritto alla prima edizione della BresciaGravel di 260km. Per me è un’esperienza inedita  e non so dove arriverò. Ci dirigiamo verso Gussago, luogo di partenza. Alle 7.00 precise siamo al centro sportivo, firmo e partiamo, chi la fa in gruppo aspetterà le 8.30, ma essendo “partenza alla francese” noi ci portiamo avanti, la giornata sarà lunga. Il percorso descrive un ampio cerchio attorno alla bassa bresciana costeggiando il fiume Chiese ad est e l’Oglio ad ovest; le asperità altimetriche si trovano tutte nella prima parte. Infatti, pronti via, si sale al Santuario della Madonna della Stella di Gussago.StellaDaGussago

Circa 2km, ma nell’ultimo chilometro la pendenza resta spesso tra il 12% e il 16%, saliamo con calma, la strada è ancora lunga. In vetta il primo di una serie indicibile di “momento selfie” che allieteranno questo mio percorso.

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Ripartiamo in direzione dei Campiani, un breve sterrato, non troppo rovinato, e si riprende l’asfalto. Scendiamo, Collebeato, Concesio, Nave e si inizia la seconda e più lunga salita di giornata, le Coste di S.Eusebio, salita lunga (9km) e pedalabile, da “rapportone”, ma non oggi con pneumatici da 700×38 e circa 15kg tra bici e borse.costenave

Arriviamo al passo con un tempo similare a quello che abbiamo nei nostri giri lunghi su strada e questo mi conforta. Scatta, ovviamente, il MS (momento selfie).

Si iniza a scendere verso Odolo e la val Sabbia, in paese prima sosta idrica. Raggiungiamo Sabbio C. e ci innestiamo nella ciclabile del Chiese che costeggia l’argine immersa in un bel bosco, il fiume qui è ancora impetuoso ed il suo fragore ci accompagna nella pedalata, la strada è quasi completamente asfaltata e dove non lo è, lo sterrato è molto bello, liscio e compatto. A Roè Volciano oltrepassiamo il Chiese su un ponte ciclabile, nuovo MS.

Ora siamo pronti per dirigerci verso la Valtenesi, a Villanuova sul Clisi si lascia la ciclo-pedonale e a sinistra si sale verso Soprazzocco. Torniamo sopra i Tormini in vista lago, purtroppo la mattinata è umida, afosa ed uggiosa ed il golfo di Salò, sotto di noi, si intravede appena. La traccia GPS ci riporta alla dura realtà buttandoci in mezzo ad un campo, attraversato quest’ultimo, ci troviamo di fronte un single-track che sale nel bosco. Per Francesco, in bdc, impensabile affrontarlo in sella, sono solo cinquecento metri e decido di farlo a piedi con lui, rientriamo sull’asfalto alle porte di Soprazzocco, poche centinaia di metri e si gira a sinistra nuovamente su sterrato ghiaioso, saliamo un tratto e decidiamo di separarci. Io proseguo lungo la traccia, Francesco ritorna sull’asfalto sperando di incontrarmi sulla cima del laghetti di Sovenigo. In realtà anche dopo i laghi la mia traccia abbandona velocemente la ciclabile della Valtenesi per insinuarsi in boschi e campi.

Siamo costretti a salutarci telefonicamente. Mi rimetto in viaggio certo che, lungo il percorso, troverò nuova compagnia. D’altronde siamo partiti per primi proprio per questo e già alcuni gruppetti mi hanno sorpassato. Questa zona la conosco bene, riesco ad orientarmi nonostante sia su sentieri che non posso percorrere con la bdc, oltrepasso il sito palafitticolo di Lucone di Polpenazze, attraverso le vigne di groppello, la traccia è molto precisa (complimenti all’organizzazione #bresciagravel e #lakivatrail).

Scendo a Castelletto e qui una sosta idrica al lavatoio mi consente di conoscere tre bergamaschi: Claudio, Stefano e Simone. Prima di Padenghe ritorniamo sulla ciclopista. Si chiacchiera ed intanto entriamo nell’omonimo castello, lo percorriamo per intero in senso orario.

Ci dirigiamo ora verso la salita della tenuta “Calvino” nel comune di Lonato. Qui, quando meno te lo aspetti, una voce da dietro chiede: “Tu sei Marco?” Mi volto, guardo il ragazzo con maglia di un team della val Trompia e replico: “E tu sei Salvatore!” Ci eravamo scritti su Strava già due anni fa ed un paio di volte aveva cercato di aggregarsi alle uscite di Cicloturisti!, ma per la mala sorte non ci era riuscito. Il gruppetto si è infoltito, la traccia prevede il passaggio da Drugolo, Sedena, Bedizzole, Ponte S.Marco e Calcinato, tutte zone che conosco ancora abbastanza bene, la strada ora è quasi sempre asfaltata o bianca. Io e Claudio siamo in testa e facciamo meglio conoscenza, scopro che è un fotografo e che la gravel lo ha riavvicinato alla bicicletta dopo che le granfondo lo avevano stancato anni fa; c’è subito sintonia tra noi. Manca poco alle 13.00 e nella piccola “mandria” al pascolo è cresciuto l’appetito. Vediamo un altro iscritto fermo ad una pizzeria da asporto, non esitiamo a fermarci e concederci una pausa per il pranzo. Io e Salvatore dobbiamo commemorare questo primo incontro con un MS.

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Entrambi abbiamo panini in abbondanza, ordiniamo solo il bere e finiamo il nostro pasto quando stanno per uscire le pizze dei bergamaschi. Decidiamo di comune accordo di partire e portarci avanti, tanto ci raggiungeranno. Da Montichiari inizia la parte a me meno nota, è vero che in automobile ho percorso tutte queste strade, ma gli argini e le piste della bassa non le conosco proprio.

Costeggiamo il Chiese fin quasi a Remedello, sono 18km di argine, saliscendi ripidi e ghiaiosi sotto le provinciali, e attraversamenti di campi di mais. In poche parole raggiungere i 20km/h senza spingere come dei forsennati è pressoché impossibile. In cambio godiamo della vista del fiume Chiese, che di tanto in tanto si increspa in corte roboanti rapide, dei suoi boschi e della loro ombra. Ci fermiamo più volte a fotografare e per un MF.

In questo frangente ci sorpassa il trio dei bergamaschi. Ci ricompattiamo poco fuori Isorella, ad un bar in zona industriale. Curioso vedere, come ogni volta che un iscritto, contraddistinto da una targa rosa sul manubrio, si fermi ad un bar, molti di quelli che ivi giungono si fermino anch’essi, rendendo il posto una sorta di check-point improvvisato. Che sia parte dello “spirito gravel” di cui tanto si parla nei social? Non lo so, ma penso che il bello stia proprio nel non voler definire e canonizzare questo movimento, per cui lascio queste sterili elucubrazioni esoteriche ad altri. Si procede ancora per venti chilometri attraversando Isorella, Gottolengo, Pralboino. Io e Salvatore notiamo un “tipo”, maglia bianca con “punti” rossi e blu, barba, non troppo alto, con il polpaccio sinistro completamente tatuato da disegni geometri, ma, decisamente con una gran gamba. Ci sorpassa più volte con scatti fulminei, salvo poi sbagliare uscita alle rotonde nella troppa foga. Anche un altro ragazzo effettua un doppio giro di rotonda a Gottolengo e chiosa: ” Mi piaceva e l’ho fatta due volte!” Lo affianco, guardo la bici, una splendida Salsa in titanio da gravel. Già mi è simpaticissimo! Chiacchieriamo, gli dico che io ho una Lynskey da corsa. Abita a Treviso, ma come Salvatore è di origine campana, si forma un terzetto e tale rimarrà per gran parte del percorso. Passiamo il 130km, un urlo di gioia ci accompagna, siamo a metà percorso e sono solo le 17.00!!! Arriviamo al fiume Mella che oltrepassiamo su un ponte ciclabile, ovviamente MS!

Dopo Seniga, lo sconfinamento in terra cremonese, oltrepassiamo il fiume Oglio sulla provinciale e ci ritroviamo a Scandolara Ripa d’Oglio, che scopro essere un borgo interessante con un bellissimo palazzo/castello circondato da un fossato. Ci fermiamo per fotografare e ripartiamo.

Abbiamo raggiunto il punto più meridionale del giro, ora risaliamo seguendo il corso del fiume Oglio, dopo Robecco al nuovissimo ponte in legno della ciclabile (Po-Tonale) rientriamo in provincia di Brescia. Sul ponte a schiena d’asino, ovviamente, un altro MS!

Eccoci al fatidico 161km qui si trova la trattoria Rosa Rossa di Monticelli d’Oglio, dove è organizzata la cena e la sosta notturna per chi vuole compiere l’impresa in due giorni. Noi ci fermiamo una mezz’ora per mangiare e sciacquarci, ritroviamo i tre bergamaschi, e molti altri ragazzi, tra cui il “tipo” che sta bevendo birra per reintegrare le maltodestrine. Leggo finalmente sul dorso della maglia la scritta “La popolare”, questo mi ricorda immediatamente dell’amico di penna Randonneur S’cioppàa che ha una diatriba aperta con gli acerrimi nemici della Popolare forse senza sapere neanche lui il perché. D’istinto mi viene da chiedergli se conosce Matteo (Randonneur), poi rifletto un attimo e per la paura di attirare, anche su di me, tutte le ire della Popolare me ne sto zitto e lo osservo mentre si scola le sue birre. Ripartiamo, attraversiamo Quinzano d’Oglio, il passaggio, stretto ed angusto, su di un ponticello vicino ad un mulino all’uscita del paese è occasione per un altro MS, questa volta nella foto siamo tutti e tre!

La traccia ora ci porta verso il castello di Padernello. Lungo queste strade asfaltate o bianche, si può fare un minimo di velocità ed io arrivo anche a 27km/h! Pier resta attardato, io ne approffitto per un nuovo MS.

Ci ricompattiamo e subito dopo appaiono davanti a noi due meravigliosi ponti di tronchi che ci stregano, ed è nuovamente MS!

Ripartiamo, Borgo San Giacomo, giù verso Villagana, qui al 168km il punto invisibile, segnalato, fortunatamente, molto bene da lunghe strisce arancio fluo appese ai rovi. Ci intrufoliamo sotto i rovi nel sottobosco, attraversiamo un ponticello e risaliamo dall’altro lato, il tutto a piedi, per non rischiare, il terreno è ancora un poco fangoso.

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Un bel campo arato ci si para davanti, noi, sempre a piedi, lo attraversiamo, scendiamo nel canale, riattraversiamo un altro ponticello e risaliamo su un prato da cui parte un bellissimo, quanto lentissimo, single-track in mezzo all’erba del sottobosco. Per fare 400m in linea d’aria avremo percorso più di un chilometro! Sono già le 19.30 e la luce fioca del crepuscolo, mi rende questi tratti particolarmente ostici sotto il profilo della vista. Finalmente usciamo da questo toboga, siamo ormai alle porte di Orzinuovi, un filare di pioppi lungo la strada bianca sovrastato dallo spicchio di luna appena sorta mi costringe all’ennesimo MS.

Entriamo in paese, la gente “normale” si appresta alle luculliane cene del sabato, noi, invece, abbiamo ancora una settantina di chilometri da percorrere.

All’uscita del borgo svoltiamo a sinistra verso la ciclovia che riprendiamo. Un chilometro dopo la traccia GPS dice che dobbiamo abbandonarla a sinistra per un altro toboga sull’argine. Ormai è buio i nostri fari illuminano comunque bene l’asfalto. Io esprimo le mie perplessità, ma i miei compagni di viaggio, già avvezzi a questo tipo di percorso, anche in notturna, non hanno esitazioni. Provo a seguirli, ma dopo trecento metri mi accorgo che perdo le loro ruote nonostante non stiano certo correndo. Non ce n’è! Faccio troppa fatica con gli occhi e perdo sicurezza, per non rallentarli e per la mia incolumità li saluto e torno sulla ciclabile. Ho bisogno di maggior dimestichezza, sull’asfalto sono abituato a pedalare anche nel buio profondo, ma nel bosco è proprio tutta un’altra cosa. Pazienza la mia traccia non sarà quella originale. Rientro culla ciclopista, in un paio di occasioni vedo la luce dei fari di Salvatore e Pier alla mia sinistra fare capolino nel fitto bosco, quasi fossero due lucciole impazzite.

A Rudiano, mi fermo sul marciapiede nella via principale, sono quasi le otto e tre quarti, mangio, scrivo qualche messaggio per rassicurare Moglie ed amici. Aspetto ancora un attimo nella speranza che arrivino i fari dei miei amici, da qui mi sembra di ricordare che la traccia prosegua fino a Palazzolo seguendo la ciclabile. Purtroppo sono ancora indietro, riparto seguendo i cartelli marroni della ciclovia Po-Tonale, evito le deviazioni per i municipi di ogni borgo. Sì, perché strada facendo, abbiamo scoperto che il percorso è sempre entrato nei centri dei paesi fino a raggiungere la casa del sindaco. Ora è veramente tardi, la mia traccia è già inficiata e non ritengo più necessarie queste deviazioni, passo anche Urago d’Oglio e Pontoglio, uno spicchio di luna rischiara flebilmente il cielo. Mi fermo in mezzo alla ciclo-pedonale, nel nulla e nel silenzio più completo, so solo che sono tra Pontoglio e Palazzolo nuovamente in traccia. È il MS con la luna, io e lei da soli, nella nostra intimità e nei nostri pensieri.

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Eccomi a Palazzolo, dovrei entrare in piazza sotto la torre, ma è transennata, sono passate le nove di sera, è allestita a festa con tavoli e panche, le persone “normali” si stanno già abbuffando. Decido di passare a dritta, ma dopo alcuni destra, sinistra, perdo un poco la direzione, decido di seguire la strada che conosco meglio “automobilisticamente” parlando. Arrivo a San Pancrazio, alla rotonda dell’autostrada prendo a destra per Adro. In paese ritrovo la traccia dell’organizzazione, ma vorrei accorciare il mio ritorno a casa passando dal Bellavista di Erbuso. Peccato che con il buio, non vedo l’incrocio a destra e proseguo anch’io verso Nigoline di Cortefranca su una parallela a quella della BresciaGravel. Ivì giunto svolto a destra per Timoline, mi fermo ad una fontana per riempire le borracce, mangio qualcosa, ma soprattutto bevo un “ciucciotto” al caffè, per mantenermi lucido. Per ora non ho avuto cali di concentrazione e vorrei evitarli anche in questi ultimi chilometri. Oltrepassata la cantina “Barone Pizzini” di Timoline la BresciaGravel devia a sinistra scendendo sulle passerelle delle torbiere d’Iseo, penso a quanto sarebbe stato bello attraversarle con la luce del tramonto o con la luce del mattino per quelli che ripartiranno domani da Monticelli. Io no, a quest’ora tarda, ormai abbandonato il percorso, ritorno a casa per la via che più mi si confà, non che siano meno chilometri, ma è quella che preferisco.

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Salita all’uscita di Provaglio d’Iseo

Provaglio d’Iseo, Monticelli Brusati, Ome, Padergnone, Ronco di Gussago si susseguono rapidi sotto le mie ruote, viaggio veloce ora in leggera discesa anche 35 km/h a volte.

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Eccomi all’ultima asperità di giornata lo strappo del cimitero di Gussago, mi alzo sui pedali e spingo, la gamba c’è ancora, 250w poi 300w. Sono contento, averla affrontata con questo ritmo pacato mi ha mantenuto in forze fino a qua e per me sono già 280km! Arrivo al GuSport, ci avevano chiesto di firmare comunque all’arrivo per far sapere che eravamo ripassati di lì. Firmo, anche se la mia non è esattamente la BresciaGravel, vorrei quasi scrivere qualcosa per segnalare il taglio, ma lo spazio sulla riga non c’è, ho un poco di fretta addosso, la testa sta pensando ai fatti suoi ed io riparto immediatamente verso Brescia. Arrivo alla Fantasina, evito la provinciale e mi infilo in ciclabile giusto il tempo di affrontare la salita, non voglio sentire le autovetture che mi passano a pochi centimetri perché la strada è stretta.

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Scollino rientro sulla strada. Pochi minuti, pochi chilometri e sarò a casa. Non ho completato la BresciaGravel, ma poco importa il giro lo ho fatto! Caspita se lo ho fatto 290km e 15h di bici! Non mi ero mai spinto così in là! Dall’alba a notte fonda! Sono felice come poche altre volte, pienamente soddisfatto! In più ho conosciuto nuovi pedalatori che, come me, hanno più passione che gamba! Grazie a Salvatore e Pier in primis, dai quali mi è spiaciuto separarmi; a Claudio, Simone e Stefano; al “tipo” della Popolare e alla perfetta traccia GPS dell’organizzazione. Come Cenerentola a mezzanotte sono davanti a casa. È l’ora dell’ultimo MS!

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Dettagli tecenici su Strava: Cicloturistiforever!@ BresciaGravel (o quasi…)

Videogallery: BresciaGravel 2018 (2’51”)

Fotogallery:

Monte Baldo e giro del Garda

Sono le 5.54 di sabato 8 settembre quando parto da Polpenazze per una nuova inedita salita, il rifugio Graziani sul monte Baldo salendo da Mori. Questa volta la traccia è già impostata sul mio gps; si tratta solo di seguirla e di confermare la bontà del tracciato scelto. Giusto il tempo di partire e l’irresistibile fascino della luna prima dell’alba mi costringe ad una repentina fermata.

Uno spicchio di luna è illuminato dal sole, ma il cielo limpido fa sì che il riflesso luminoso che la terra produce su di lei ne definisca tutta la circonferenza con un nitido anello. Spettacolo di rara bellezza che la fotocamera di un cellulare non riesce a cogliere appieno. Dentro di me penso che questo sia il segno premonitore di un giro solitario indimenticabile. Scendo le Zette verso Salò e mi affaccio al mio lungolago appena rischiarato dai bagliori solari alle spalle del Baldo. Lo osservo e penso: “Tra qualche ora sarò lì a percorrere il tuo crinale!”

Riparto e proseguo spedito verso Riva del Garda, cerco di tenere un ritmo regolare senza mai affaticarmi in modo da giungervi il prima possibile, ma abbastanza riposato. Dopo la consueta deviazione di Gargnano per evitare la prima stretta galleria mi reimmetto sulla statale, qui incontro un tirolese di Brunico che scopro sta andando ad affrontare la temibile Punta Veleno; già mi è simpatico! Discorriamo di itinerari e luoghi da visitare in bicicletta e, dopo aver attraversato la fantastica ciclabile di Limone, ci ritroviamo all’ingresso di Riva d/G. Lo saluto, per me è giunto il momento della prima sosta, sono appena passate le otto del mattino e faccio la mia prima colazione a base di barrette e fruttini.

Riparto, arrivo a Torbole, proseguo in direzione sud qualche centinaio di metri giusto per scattare un paio di istantanee didascaliche al monte Brione e al tunnel che porta l’acqua dell’Adige nel lago di Garda.

Ritornato sui miei passi seguo le indicazioni della ciclabile Torbole/Nago – Rovereto. Mi intrufolo nei vicoli acciottolati di Torbole e salgo con pendenza massima di 15% verso Nago.Su un curvone leggo la scritta “punto panoramico” che invita a salire alcune decine di gradini per giungere sulla sommità di uno sperone roccioso. Non esito, bici in spalla, salgo i gradini, arrivato in cima mi si offre uno splendido panorama di tutto l’alto lago, mi fermo contemplo e fotografo.

Ripenso al segno premonitore. Ritorno sulla rotta e salgo un lungo rettilineo al 12% con vista notevole sulla piana di Arco, alla fine del quale la strada si immette sulla statale per Rovereto, ma io inseguo i segnali della ciclabile e svolto a destra in centro a Nago. All’uscita del borgo la segnaletica mi porta in mezzo ai vigneti, si sale ancora un poco prima della dolce discesa verso Rovereto. Praticamente la ciclabile e costituita dalle strette stradine asfaltate dei vigneti collegate tra loro da veri e propri tratti di ciclabile costruita ad hoc.

Scopro che molti ciclisti in bici da corsa la percorrono per raggiungere il lago, in effetti data la difficoltà altimetrica del tracciato (da 65m si sale a 260m) non è esattamente idonea alle passeggiate con bambini piccoli. Anche questa deviazione si è rivelata una scelta vincente: zero traffico e paesaggio stupendo. Giungo alla periferia di Mori e svolto bruscamente a sinistra come indica il mio gps. Avevo trovato una strada alternativa per affrontare i primi chilometri che conducono a Brentonico in modo da evitare la provinciale sp3 che sale da Mori. Da qui il computer dice che mancano 20,5km ai 1.617m del rifugio Graziani. Il primo chilometro e mezzo sale lungo la montagna con pendenza tra 7% e 10%, arrivo nella frazione di Sano e capisco che dovrò faticare parecchio, il pendio del monte di fronte a me è completamente terrazzato a vigne, la strada che esce dal paese sale dritta come un fuso in mezzo ad esse.

Sono quasi 800m con pendenza media da Punta Veleno, il ciclo-computer segna più di 20% di inclinazione più di una volta e non scende mai sotto 15%.

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Su una curva più larga, intravedo lo spazio per fermarmi e poter ripartire, voglio immortalare questa strada e questo splendido paesaggio.

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Fortunatamente, da qui in poi, le pendenze della strada alternativa non saranno più così cattive, comunque quasi sempre attorno a 10%. Mi ricollego alla strada secondaria e poi alla sp3 proprio in procinto di entrare nel centro di Brentonico. Un piccolo saliscendi in paese mi consente di rifiatare un poco ed un incoraggiante cartello all’uscita del borgo con la scritta “pendenza 16%” mi fa subito ricordare che la salita al Graziani è nota per non essere una cosa semplice, bisogna conquistarsela! La strada è molto larga, in inverno è utilizzata per portare le autovetture degli sciatori a San Valentino dove ci sono i primi impianti, d’estate è preda delle automobili degli escursionisti che salgono al monte Altissimo e di un orda indescrivibile di motociclisti, soprattutto tedeschi. Forse sono più infastidito dal rombo dei motori che affaticato dalla salita che, comunque, continua a regalarmi splendidi panorami su Rovereto e sulla Vallagarina. Su un ampio tornante mi fermo all’ombra di alcune piante per fotografare il Baldo dal basso ed osservare la strada che devo ancora percorrere.

Ho percorso circa 8km di salita ed ho passato quota 800m da poco, la salita è ancora lunga. Riparto oltrepasso la piccola frazione di S.Giacomo, che scopro essere meta per lo sci di fondo, affronto una piccola discesa che mi fa perdere quasi cinquanta metri di quota, e riprendo a salire, d’ora in poi non ci saranno più tratti in contro pendenza per rifiatare.

Arrivo a S.Valentino e dopo l’innesto con la provinciale sp208 che sale da Avio la strada diventa stretta e si addentra in uno splendido faggeto. Ci siamo! Inizia la salita vera quella dai profumi e dalle viste di montagna. Alla fine del bosco la lingua di asfalto si fa largo scavando il suo percorso nella roccia, la similitudine con il tratto di gardesana che sale a Tignale mi viene spontanea. Mi fermo ancora per immortalare questo luogo di rara bellezza.

Riparto ormai ho oltrepassato i 1.200m e la vista si apre sugli alpeggi, sul monte Altissimo (2.078m), sulla cima Valdritta (2.218m) e su punta Telegrafo (2.200m), entrambe già attorniate dalle nuvole.

Una serie di tornanti mi portano al rifugio, la pendenza negli ultimi chilometri è sempre rimasta tra 7% e 10% a conferma che questa salita di venti chilometri è veramente tosta.

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Mi fermo davanti al rifugio giusto il tempo di qualche istantanea e di bere un “ciucciotto”.

Voglio arrivare il prima possibile alla bocca di Navene per poi scollinare il valico sotto a cima Valdritta. Conosco bene il Baldo (catena montuosa di origine vulcanica) la sua forma e, soprattutto, l’essere l’unico isolato rilievo sopra i 2.200m nella zona lo rendono un parafulmine eccezionale. Anche nelle giornate più terse durante la mattina l’umidità si accumula sopra le sue vette per creare temibili nuvoloni neri che dopo mezzogiorno possono dare luogo a temporali in quota. Arrivo a bocca di Navene, fotografo e mi gusto il panorama su Limone, sull’altopiano di Tremosine, sul monte Tremalzo e purtroppo distinguo perfettamente la macchia rosso bruna dell’incendio di due settimane fa in val di Bondo.

L’aria è frizzante sono sceso a quota 1.420m e devo risalire oltre i milleseicento metri in poco meno di quattro chilometri, preferisco ripartire subito e restare caldo, ma sarebbe stato fantastico soffermarsi a mangiare un panino proprio lì, al rifugio di bocca Navene, contemplando il lago. La strada sale dolcemente dapprima immersa nel bosco e poi sugli alpeggi assolati. Mandrie di mucche al pascolo, impreziosiscono il paesaggio, già di per sé incantevole, e allietano con il suono dei loro campanacci le mie orecchie. Io attraverso, mi fermo, osservo, fotografo, respiro e annuso il profumo di monte.

Il crinale e gli alpeggi del Baldo sono un vero spettacolo della natura è la tersa giornata settembrina li sta valorizzando appieno. Manca un chilometro al valico e la strada ricomincia ad incattivirsi sotto le mie ruote, la pendenza torna sopra il 10% con punta del 15% per poco più di cinquecento metri.

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È l’ultimo vero sforzo, poi sarà un infinita discesa fino a Peschiera d/G. Scollino, mi fermo su uno spiazzo ghiaioso, fotografo, mangio, indosso l’anti-vento senza maniche.

Sono all’ombra dei nuvoloni e la temperatura è scesa a 13°C. Il primo tratto di discesa è stretto, scavato sul fianco roccioso della montagna con pendenza compresa tra 13% e 15%. In queste condizioni di lugubre luce la strada intimorisce non poco. Passati i primi due chilometri di curve e contro curve il pendio roccioso lascia il posto a lunghi rettilinei immersi negli alpeggi, supero agevolmente i 65km/h, ma si sa il mio inconscio ha il limitatore di velocità inserito ed inizio a frenare. Le braccia e le mani iniziano a sentire il fresco nonostante sia tornato al sole. Il corpo invece è ben protetto dal gilet Breeze di GSG che ogni giorno che passa scopro essere sempre più versatile. Prima di Ferrara, al bivio, lascio la sp8 per tenere la destra e scendere verso Spiazzi da una strada più ombreggiata e per nulla trafficata.

Ce l’aveva fatta conoscere quasi vent’anni fa Francesco nell’ultima mia visita al monte Baldo salendo da Pazzon. Giunto a Spiazzi, famoso per essere il punto di partenza per le escursioni al santuario della Madonna della Corona, mi tolgo l’anti-vento, riparto, resto sulla destra su un’altra via laterale che mi fa evitare ancora un paio di chilometri di provinciale. Alle porte di Braga devo cedere e rassegnarmi a percorrere un tratto di strada principale. Il sole inizia a scaldare, a Pazzon tengo la sinistra ed invece di avvicinarmi al lago attraversando Caprino Veronese, punto diritto verso Rivoli Veronese dove la mia traccia mi consentirà di percorrere un tratto della celebre ciclabile Verona-Resia.

È quasi mezzogiorno e mezzo e questo fa si che il traffico sia minimo anche sulle provinciali. Dopo alcuni chilometri entro in ciclabile, nuovamente immerso nel bosco e nel nulla, come sempre le ciclabili vicino agli argini dei fiumi aumentano il dislivello del percorso con continui saliscendi, e questa non fa eccezione. A metà della salita più significativa su una curva è posto un cartello: “Punto panoramico”. Appoggio la bicicletta alla panchina e a piedi salgo lo sperone roccioso, di fronte a me la Vallagarina e l’Adige, fotografo e riparto.

Una piccola deviazione di un centinaio di metri mi porta sotto ad una delle pale dell’impianto eolico della bassa valle. Resto ipnotizzato dall’apparente lento incedere delle tre pale per un paio di minuti, poi dopo alcune istantanee riparto.

Percorro ancora alcuni chilometri di questa bellissima ciclabile ed all’altezza di Pastrengo la lascio per riportarmi sulle vie tradizionali. Sono costretto per alcuni chilometri, fino a Sandrà, su una strada che potrebbe essere trafficata, ma che l’orario del pranzo e la calura estiva, ci sono già più di 30°C, rendono scarsamente affollata. Seguendo la traccia svolto a destra su una strada secondaria immersa nuovamente nei vigneti, ma questa volta sono in pianura e non rischio brutte sorprese. Arrivo a Castelnuovo, passo a fianco del Gardaland Resort e sbuco a Cavalcaselle sulla ex-statale Verona Brescia. Attraverso Peschiera e non posso che fermarmi e fotografarmi sul ponte della fortezza.

Il centro brulica di turisti, l’estate sul lago non è ancora finita! Dopo tante ore passate nella pace e nella tranquillità vedere un poco di vita e di vivacità non guasta! Giusto qualche minuto ed all’uscita di Peschiera, lascio nuovamente il traffico per dirigermi verso Monzambano, obiettivo arrivare a Desenzano per le vie senza traffico delle prime colline moreniche. Passo davanti al santuario del Frassino, ma è troppo presto, riapre alle tre del pomeriggio ed io mi accontento di fotografare l’esterno.

Seguo la traccia, durante questo traverso percorro due brevissimi tratti di strada bianca, le colline moreniche sono piene di strade di questo tipo, lasciate senza asfalto, ma ben tenute e utilizzate soltanto da gente del luogo. Arrivo alla torre di San Martino della Battaglia celebre monumento che ricorda le guerre di indipendenza dall’Impero austriaco e dalla cui sommità, nelle giornate più limpide, si possono vedere distintamente, sia gli Appennini, sia i ghiacciai alpini. Mi fermo, cerco l’angolazione migliore con l’esposizione al sole della torre e mi scatto un vanitoso “selfie” di soddisfazione.

In fondo mancano pochi chilometri a casa ed è già tempo di resoconto. Lungo gli ultimi chilometri che da Desenzano mi conducono a Polpenazze attraverso la poco frequentata strada di Maguzzano, inizio a ripercorrere questa splendida giornata nella mia mente.

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Il segno premonitore ha avuto conferma, l’itinerario si è rivelato perfetto, senza traffico, con panorami sempre spettacolari, il meteo favorevole con cielo limpido, aria frizzante in montagna (13°C) e caldo afoso (34°C) sul basso lago. Alla fine, 190km e 3.123m di dislivello per uno spettacolo che è durato 8h 44′. Tutto gratuito, gentilmente offerto da madre Natura! Unico requisito richiesto un poco di allenamento e tanta determinazione. In assoluto uno dei miei giri meglio riusciti.

MonteBaldo

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!@ Riding around Lake Garda, Climbing up to Mount Baldo

Videogallery: Ciclabile Torbole Rovereto (1’06”) Ciclabile Verona-Resia (0’52”)

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Maratona dles Dolomites 2018

Anche quest’anno siamo giunti al fine settimana della Maratona dles Dolomites, come da tradizione (Maratona dles Dolomites 2017 (#mdd31), Maratona dles Dolomites 30°edizione …ed io ne ho fatte la metà!) il giovedì si parte per una mini vacanza con famiglia allargata a Manuela e Francesco. Dopo due anni di tempo piuttosto incerto e freddo, soprattutto per quel che riguarda il giorno della gara, questa volta sembra esserci qualche speranza per un meteo migliore. Così è, venerdì e sabato sono meravigliose giornate di sole in cui ci dedichiamo ai consueti divertimenti montani: escursioni, camminate, parco avventura per i bimbi.

È domenica mattina, la sveglia non fa in tempo a suonare, alle 4.45 sono già sveglio, merito dei miei abituali “early morning” e della vecchiaia che mi fa dormire non più di sei ore consecutive. Faccio colazione in camera con una tisana ai frutti di bosco, biscotti secchi e qualche plumcake. Incredibilmente alle 5.30 esco dall’hotel Marmolada e mi avvio verso la partenza di La Villa. Entro nel piazzale della terza griglia alle 5.50, mai ero arrivato così presto. A qualcosa serve, sono solo 300 circa le persone che ho davanti alla fine il parcheggio ne conterrà quasi 3.000.

Non fa neanche tanto freddo ci sono 12°C, per precauzione ho indossato comunque le ginocchiere e tengo l’anti-pioggia intanto che aspetto lo start delle 6.30. Mangio ancora qualche biscotto secco per passare il tempo. Per la prima volta il cannone spara con due minuti di ritardo, tolgo la mantellina, la piego e la ripongo nella tasca centrale dello smanicato antivento. Alle 6.46, così recita il real-time, passo sotto l’arco di partenza, risalgo, silenzioso come gli altri fino a Corvara, la via centrale è già affollata da parenti e amici dei corridori che incitano tutti indistintamente, sarà così lungo tutti i tornanti che conducono al passo di Campolongo. Il sole è già alto inizia a scaldare i monti ed i corridori, il cielo è limpidissimo, la giornata si preannuncia spettacolare. Incrocio le dita dopo due anni di freddo e nuvoloni bassi ho proprio voglia delle mie Dolomiti!

Essere così avanti in griglia ha sortito un vantaggio, niente piede a terra sulla prima salita, scollino, chiudo lo smanicato, mangio una barretta e via in discesa, tranquillo, c’è ancora molto traffico. Pochi minuti e sono ad Arabba da dove inizia il Pordoi, salgo con ritmo regolare seguendo un poco l’andatura di questo serpentone a due ruote infinitamente lungo. Dopo alcuni chilometri di salita iniziano ad arrivare da dietro i forti amatori che non avendo uno storico alla MDD sono partiti in ultima griglia. Cercano di passare, ma senza arrecare troppo disturbo, io intanto mi guardo in giro e noto come il gruppo del Sella sotto le prime luci della mattina sia ancor più incantevole.

Mi distraggo, questa limpidezza è imbarazzante, comincio a pensare alle sedici edizioni che ho già concluso e non riesco a ricordare una giornata così. Passano cinquanta minuti ed io sono in vetta al Pordoi, non me ne sono quasi accorto talmente ero assorto nell’osservare ogni singolo dettaglio di ciò che mi circonda.

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Passo Pordoi 2.239m

Ormai è deciso, oggi va così, ci si guarda intorno cercando di fissare nella memoria questo splendore. Inizio la discesa, in ombra ed ancora fresca (circa 12°C), il nuovo gilet anti-vento e anti-pioggia traspirante della GSG fa egregiamente il suo dovere! Dopo cinque chilometri si riparte, giù il 34 sulla guarnitura e su il 28 sulla cassetta posteriore, preferisco essere agile nelle ripartenze a freddo. Qui è sempre il punto più gelido di tutta la MDD, oggi ci sono ben 8°C e non si sta poi così male. Passo il ristoro senza fermarmi, passo i malgari che tutti gli anni ci incitano con i loro campanacci assordanti. Proseguo alla ricerca del sole che qualche chilometro più avanti tornerà a baciare le nostre fronti. Ad un chilometro dalla vetta una piccola sorpresa, una grossa frana si è portata via metà della carreggiata e l’imbuto ha già creato una coda di un centinaio di metri, sganciamo il pedale e proseguiamo a piedi per alcuni minuti, qualcuno bici a spalle fa un po’ di ciclocross salendo al tornante successivo passando per un sentiero.

Sono in vetta, passo Sella 2.242m, cima Coppi della MDD, chiudo la zip e riparto per la discesa più pericolosa. All’inizio la strada è ampia e si gode di una vista straordinaria che spazia dal Sasso lungo fino al gruppo del Sella passando per il gruppo del Cir e per le Odle.

Dopo un paio di chilometri un addetto dell’organizzazione, fischietto in bocca, sventola forte una bandiera arancio per segnalare una insidiosa curva a destra con raggio a chiudere, come tutti gli anni si sbraccia e si sgola, come tutti gli anni trecento metri più avanti alla seconda curva a chiudere a sinistra un atleta è dolorante riverso a terra contro il guard-rail, solo cinquanta metri più avanti un’altra ambulanza è già pronta per partire con un secondo ciclista con tutta la testa fasciata da garze. Errare è umano, perseverare diabolico! Proseguo, finisco la discesa ed inizio la più facile di tutte le scalate, il passo Gardena preso da pian de Gralba è corto e intramezzato da un lungo falsopiano che corre a fianco del ghiaione del Sella. Dopo un chilometro il più famoso ristoro della MDD, ricolmo di ogni ben di Dio. Io non mi fermo ho il mio personale ristoro che mi aspetta a Corvara, molto meno fornito, ma carico di amore incondizionato. Finito il falsopiano riprende la salita regolare e con continui tornanti che spostano continuamente la vista tra il Sella, il Cir ed il passo.

In vetta chiudo nuovamente la zip del gilet e mi getto in discesa, per me la più bella, pedalabile, tornanti ampi, lunghi rettilinei, vista magnifica su tutta la val Badia fino all’abitato di Colfosco. Arrivo in fondo alla discesa, mi sposto sulla sinistra alzando il braccio, a cento metri dalla caserma dei Carabinieri sgancio il pedale sinistro ed allargo la gamba, segno inequivocabile che sto per fermarmi, non vorrei mai qualcuno da dietro mi venisse addosso. Cinquanta metri esco dalla carreggiata, tiro i freni, punto Alice e Matteo che impassibili mi aspettano, mi fermo a pochi centimetri da loro mentre Marina mi apostrofa con un “Piano! Sei Matto!”. Un bacio ai piccoli, loro sono impazienti, Alice ha la busta dei ciucciotti, Matteo la borraccia piena. Prima tolgo ginocchiere, manicotti e lascio l’anti-pioggia che avevo usato prima della partenza, poi prendo le barrette, le borracce nuove. Un secondo bacio a Matteo ed Alice, uno anche a Moglie, un saluto a Francesco e Manuela. Alla domanda di Marina sull’orario di arrivo rispondo: “Sicuramente più di sette ore e mezza, questa giornata me la voglio godere tutta!”. Annuisce, oggi è la scelta giusta ormai sono un ciclo-fotografo a tutti effetti! Riparto il secondo Campolongo viene sempre piuttosto bene, la gamba si è riscaldata in queste prime tre ore e non è ancora stanca, la temperatura è ideale intorno ai 20°C, in poco tempo sono nuovamente al passo.

Ancora discesa verso Arabba, questa volta senza traffico e la velocità aumenta. da qui un lungo traverso mi conduce verso il fondo valle attraversando l’abitato di Pieve di Livinallongo e salendo alla frazione di Cernadoi bivio tra percorso lungo e medio.

Svolto a destra, oggi non ci sono mai stati dubbi sul fatto di fare il lungo, sarebbe un delitto imperdonabile rinunciare ai meravigliosi panorami del Giau! Se il vantaggio della vecchiaia è l’aver bisogno di dormire meno ore la notte, lo svantaggio è che la signora prostata inizia a fare i capricci. Quindi, anche a me, tocca di fermarmi lungo la discesa nella pineta dietro una fascina per espletare il mio bisognino. Riparto, finisce la discesa e prima del Giau il colle di Santa Lucia. Due chilometri circa di scalata che normalmente sarebbero considerati come una vera e propria salita, ma qua alla MDD, con tutti questi passi, vengono assimilati ad un cavalcavia. Poco prima dello scollinamento è posizionato il ristoro, dove mi fermo per riempire le borracce ormai quasi vuote e mangiare un poco di frutta disitratata. Riparto, ormai ci siamo, dopo tre anni è di nuovo passo Giau, a questo punto della gara dopo quasi cinque ore di bicicletta, questa scalata di 10km al 10% di pendenza media non è per nulla banale, qualsiasi sia la velocità alla quale la si vuole affrontare. Inizio con un ritmo costante, quando la pendenza sale sopra 11% mi alzo sui pedali e sfrutto la forza di gravità del mio corpo per “danzare” sulla mia specialissima; non appena la pendenza cala mi risiedo e proseguo con watt regolari. Salgo, faccio fatica, arrivo alla galleria, mi alzo sui pedali, sembra di non andare avanti, guardo il gps, sono sopra il 10%. Ritorno alla luce il panorama sta cambiando, più guadagno quota, più la vista si apre verso le vette delle Dolomiti circostanti. Qua e là si ode qualche fischio di marmotta, il vento soffia teso, talvolta alle mie spalle e mi aiuta nella scalata, talaltra in fronte a me e mi rallenta. Il sole è alto nel cielo, mezzogiorno è appena passato, il caldo inizia a farsi sentire, ma per me è una piacevolissima sensazione. Negli ultimi chilometri sale la preoccupazione che il mio tallone d’Achille, l’adduttore destro possa rovinarmi la festa. Inizio a sentirlo fremere quando aumento la potenza da seduto. Rallento ancora un poco la pedalata, oggi fretta non ne ho. Non mi è difficile distogliere l’attenzione dalla mia gamba, mi basta guardare in alto ed osservare le montagne che mi circondano. Fatico a credere a quello che vedono i miei occhi, i contorni ben definiti delle creste, i pini che sembrano dipinti con un sottilissimo pennino a china, il cielo profondamente blu, i contorni ben definiti dei cumulonembi che volano velocemente sopra la mia testa. Questa realtà, oggi sembra una fotografia già passata sotto l’algoritmo di Photoshop, perché sì, è sempre vero il detto: “La realtà supera la fantasia”. Io guardo, osservo, memorizzo, oggi ho deciso di non fermarmi a fare troppe fotografie, voglio vivere il momento, metabolizzarlo dentro di me e crearne una memoria duratura nel mio animo.

Arrivo all’ultimo chilometro, gli ultimi tornanti, seppur faticosi, sono una goduria per gli occhi. Ultimo rettilineo mi alzo sui pedali, il pericolo crampo per ora è scampato, arrivo al ristoro, nuovamente riempio le borracce ormai quasi vuote, mangio due pezzi di crostata e mezza banana. Guardo l’orologio un’ora ed un quarto per scalare il Giau, sei minuti più del mio solito tempo, ma quanta soddisfazione nell’avere ammirato con più calma tutto quanto.

La discesa del Giau è molto lunga e forse per un eccesso di prudenza rimetto il gilet anti-vento. Parto la vista spazia nuovamente a 180° dall’Averau, passando per le Tofane, il Cristallo fino alla vicina Ponta Lastoi del Formin e all’Ambrizzola. I primi chilometri li passo frenando per poter ammirare meglio questo inebriante spettacolo.

Quando arrivo in prossimità della pineta, lascio andare la bicicletta ed anch’io, che sono timoroso, raggiungo i 70km/h. Oltrepasso la pineta ed al bivio di Pocol svolto a sinistra, inizia il Falzarego dieci chilometri e mezzo di salita a cui va aggiunto il chilometro finale che conduce al Valparola. Nuovamente riparto agile quasi venti minuti di discesa hanno intorpidito un poco la muscolatura ed il mio adduttore dopo tutte queste ore è sempre in agguato. Risalgo il Falzarego ad una velocità ridicola non so se più per paura del crampo o più perché continuo a stare con il naso all’insù. Oggi proprio non riesco a concentrarmi sul percorso, sono troppo distratto da ciò che vedo e che nelle ultime due edizioni mi è stato negato.

Arrivo al bivio del passo Falzarego e mi fermo per regalarmi un selfie con il Lagazuoi.

Riparto, mi aspetta l’impegnativo rettilineo del Valparola, mi alzo sui pedali e danzo fino al passo, osservo i monti e guardo il grande masso a sinistra della strada avvicinarsi sempre più. Quella grande roccia è il punto di riferimento, da lì la strada sarà tutta in discesa fino a quell’ultimo scherzetto del Mür dl Giat.

Inizio la discesa, niente gilet anti-vento, ma alzo lo scaldacollo comunque, forse come gesto scaramantico per proteggere le orecchie dal vento e dai tappi barometrici.