Malga Tombea e Malga Alpo

Monte Tombea gravelextreme

Sono le 5.22 di sabato 1° agosto quando parto da Polpenazze in direzione nord. Quest’anno avevo due obiettivi ghiaiosi: completare l’anello del Tremalzo ed arrivare a malga Tombea proprio sotto la cima del monte omonimo. Conquistato il primo proposito, oggi è il turno del secondo. Dopo aver visto la splendida traccia di Niccolò della scorsa settimana decido di salire dal lago d’Idro, questo mi darà la possibilità di scoprire anche un’altra salita per me inedita, quella di malga Alpo. Dopo aver scavallato i laghetti di Sovenigo, a Villanuova mi infilo nella ciclabile della Val Sabbia sempre molto bella, ma con numerosi tratti troppo complicati per la bdc. Oggi, invece, con la LinaBatista la percorro volentieri. Settimana scorsa in località Ponte Re (all’uscita di Barghe) è stato inaugurato un nuovo tratto che consente di evitare la statale del Caffaro lungo la quasi totalità dell’abitato di Vestone. Sono pochi chilometri, ma la particolarità e che per un centinaio di metri la ciclabile è sospesa sopra il fiume Chiese aggrappata alla montagna esattamente come la celebre ciclopista di Limone.

Decido di fermarmi nel parco di Vestone per riempire la prima borraccia oramai vuota e mangiare la prima barretta. Sono le 7.00 del mattino quando ritorno sulla statale, fortunatamente l’abbandono prima dell’abitato di Lavenone restando a destra vicino al Chiese. Rientro sulla principale prima di Idro ed ora la devo percorrere per tutta la lunghezza del lago. Essendo il primo sabato di agosto, nonostante l’ora (7.30 circa), il traffico inizia a farsi sentire. Ancora niente code, ma certo non le poche autovetture a cui sono abituato in questi orari. Ad Anfo passo davanti alla fontana che solitamente è tappa di rifornimento prima della salita al passo Baremone, vedo tre Exploro della 3T con altrettanti ciclisti intenti nell’approvvigionamento idrico. Li saluto, ricambiano, mi immagino che saliranno allo sterrato del Baremone e magari faranno tutto il crinale fino al Crocedomini. Finalmente giungo a Ponte Caffaro e svolto a destra nelle vie del paese levandomi di dosso il fastidioso rumore dei motori.

Da ora per parecchie ore di auto ne vedrò poche. Utilizzando parte della ciclabile scavalco il piccolo delta del Chiese che si immette nel lago. A Baitoni inizia la salita, sono poco più di 10km per giungere agli oltre 1.400m di Malga Alpo, la pendenza media supera di poco il 10%, tuttavia i primi 4km fino al borgo di Bondone sono più semplici con pendenza 7-9% ad eccezione di un breve tratto iniziale tra 10-12%.

Inizio a salire e dopo alcuni tornanti con splendida vista sul lago odo il vociare di alcuni ciclisti alle mie spalle. Mi volto, sono in tre, salgono di buon passo, ma in scioltezza. Dopo altri cinquecento metri mi raggiungono, mi salutano (sono i tre delle Exploro) e mi superano. Qualche istante dopo uno si gira e mi chiede: “Ma sei Marco, quello che mi ha scritto su Komoot?” “Sì, sei Niccolò!” rispondo io. Per un attimo rallentano un poco ed io accelero per poter scambiare due parole. Non pensavo proprio che avrebbe rifatto lo stesso giro la settimana successiva. Mi spiega che ai suoi due amici Eric e Simone interessava molto e così eccoli qua. Sfortunatamente io non ho il loro passo e devo lasciarli andare. Sarebbe stato interessante discorrere un po’ di più con Niccolò Varanini che ritengo uno dei migliori tracciatori. Proseguo la mia salita fino al borgo di Bondone, carino, appollaiato sulla montagna a 700m s.l.m. con splendida vista sul lago e sulla valle. Ad un tornante vedo un bar e seduti i tre Exploro si gustano un caffè, ci salutiamo. Esco dal paese, un cartello minaccioso allerta gli automobilisti sulla pericolosità e la pendenza della strada. Ora inizia la parte dura, ma anche quella più paesaggisticamente spettacolare. Si parte subito con un 15% e ci si infila nel bosco, la strada diviene stretta, nessun rumore se non il cinguettio degli uccelli ed il frusciare delle foglie al vento. Innesto sin da subito il rapporto più corto 30×40 e mantengo una cadenza alta, saranno quasi 6km per arrivare alla malga e voglio salvare la gamba il più possibile. Fortunatamente poco prima del terzo chilometro inizia una specie di falsopiano, per 500m la pendenza non supera il 6%. E’ qui che mi riprende Niccolò con i suoi amici, questa è una fortuna perché mi consente di stare qualche minuto con loro e conoscerci un po’.

Ovviamente finito il tratto facile la strada si fa cattiva, ma proprio tanto. Niccolò scappa in avanti con balzo felino per appostarsi e scattare le fotografie ai suoi compagni. Eric e Simone proseguono con agilità manco stessero pedalando in ciclabile, io mi affanno e vedo il GPS superare il 20% di pendenza più volte. Intravedo Niccolò all’uscita di un tornante mentre sta ripartendo dopo lo shooting, ci salutiamo a distanza, non li rivedrò più com’era prevedibile che fosse. Mi godo la mia salita su questo versante a me nuovo. Mi sorpassano, in momenti diversi, anche due ragazzi in bdc del B3L, vanno ancora più forte sembra stiano facendo una cronoscalata. Dopo il quinto chilometro da Bondone il bosco lascia spazio all’alpeggio, la vista si apre sulle montagne, il cielo è terso, un vero paradiso.

Inizio a vedere le prime malghe ed i cartelli indicano che ormai sono in località Malga Alpo. Anche la pendenza si addolcisce, per diventare nuovamente tosta solo in mezzo alle malghe. Abbandono per un attimo la strada che sale alla Bocca di Cablone per una deviazione all’abbeveratoio (saggiamente visto nello studiare la traccia di Niccolò). Mi fermo, è il momento della pausa pranzo, si fa per dire, dato che non sono ancora le dieci, ma pedalando da più di quattro ore ho proprio bisogno di reintegrare e questo è veramente un luogo fantastico per farlo.

Mangio, bevo, guardo la montagna che mi sovrasta e che dovrò scalare di lì a poco e faccio fotografie. Dopo un quarto d’ora abbondante riparto, imbocco la strada per il valico e inizio a salire. I primi 2,5km sono facili attraverso l’alpeggio ed il bosco. Al primo tornante a sinistra le cose si complicano e di parecchio come preventivato. La strada si impenna oltre il 10% ed il fondo si fa molto mosso e con sassi piuttosto grossi.

Oltrepasso la vecchia galleria militare, ormai siamo entrati nella zona di confine della Grande Guerra, provo a pedalare ancora, ma devo rinunciare a causa del fondo, un centinaio di metri e risalgo in sella arrivo al secondo ed al terzo tonante e li oltrepasso con grande fatica, la bici si impunta troppo spesso contro i sassi più grossi ed il posteriore slitta di frequente. Al quarto tornate decido che data la velocità in sella mi conviene proseguire a piedi e salvare la gamba. I cinque tornanti successivi sono meravigliosi, sono talmente assorto nel contemplare il paesaggio che quasi non mi accorgo di essere già oltre i 1.600m. Scatto alcune fotografie, da qui si possono osservare contemporaneamente Bagolino, la piana del Gaver, il Dosso Alto, i radar del Dosso dei Galli ed infine a nord in tutto il suo splendore il ghiacciaio dell’Adamello.

Provo a risalire in sella vedendo un tratto più facile alla ripartenza dal tornante otto, ma dura poco, ritorno a spinta, in realtà sono quasi a 1.700m e non manca molto alla Bocca di Cablone (1.775m). Sono quasi sorpreso quando scorgo il valico, la maestosità del paesaggio mi ha fatto perdere la cognizione del tempo, in realtà ho camminato per circa mezz’ora. Guardo verso est, riconosco il profilo delle montagne della Valvestino e del lago di Garda, sotto di me i fienili di Denai, aria di casa. Oggi, però, è il grande giorno di Malga Tombea, mi attende ancora più di un kilometro di salita sulla sterrata militare.

È li davanti a me intagliata nella roccia, un lungo rettilineo ghiaioso. Riparto, la pendenza media è 8%, ma nella parte centrale, per duecento metri, si torna ancora vicino a 20%. Riesco a percorrerla quasi tutta in sella forte del fatto che so di essere vicino alla meta. Quando la strada ritorna a salire in modo più confortevole ho la forza per guardarmi attorno. Sotto di me un gregge di pecore e sul ciglio della carrabile un ragazzotto (il pastore), ci salutiamo. Arrivo alla Malga, le giro tutt’attorno ed intanto osservo sia il monte Tombea, sia il Caplone poco più avanti.

Cerco di scorgere la traccia della mulattiera che porta al Caplone attraverso la Bocca di Campei. La osservo, so che i tre Exploro sono andati di là, percorso molto tecnico, più mtb che gravel. Da lì si può scendere a Bocca Lorina e poi scegliere o su al Tremalzo o giù a Tremosine. Per me oggi basta così, mi godo il Tombea da qua, da questo nuovo punto di osservazione. Mai ero salito così in alto in Valvestino, vedere Cima Rest (1.200m), che era il mio vecchio punto di riferimento con la bdc, dall’alto dei 1.800m del Tombea laggiù in fondo mi suscita un enorme stupore.

Unico neo, la foschia della calura estiva che salendo dal lago ne impedisce la vista, ma non si può aver tutto. Riparto e ritorno verso Bocca di Cablone per prendere la forestale che scende ai Fienili di Denai e a Magasa. Passo vicino al pastore, gli dico che nella piana vicino alla malga c’è un agnellino “disperso” che bela. Mi risponde con fare colorito: “Lo so. La vedi quella là, è la tr… di sua mamma che lo ha abbandonato. Dopo torniamo a prenderlo.” È incuriosito dalla mia bici, parliamo un po’ e scopro che è un vero pastore, di quelli che la transumanza la fanno per davvero, è partito da Montichiari a fine maggio e poco alla volta è salito fino a qui. Tra un paio di settimane inizierà la discesa, mi faccio spiegare il percorso, sono molto curioso, si stupisce un poco del fatto che io conosca tutti i luoghi che mi cita e che gli dica che ci sono passato in bici durante altri giri. Una curiosità mi assilla, siamo ad agosto, in questo periodo quando arrivano le perturbazioni piovose il brusco abbassamento di temperatura crea dei potenti temporali ed il Tombea è il monte più alto nell’arco di chilometri, un parafulmine naturale. Com’è stare qui chiusi dentro le spesse mura della malga? Anche stavolta la risposta è colorita: “C’è da cagarsi sotto!” Lo lascio al suo lavoro, non senza prima averlo ringraziato per la tradizione che porta avanti con caparbietà. Massimo rispetto! Ho i brividi ancora adesso che scrivo a pensare a lui. Inizio la discesa, interrotta molteplici volte per fotografie varie.

Dopo il Cablone la strada è ancora molto mossa e scoscesa per alcuni chilometri, forse quasi tre, poi cominciano a comparire tratti lastricati ed anche il fondo dello sterrato migliora. Infine poco prima del “Pilaster” (bivio con una forestale che porta direttamente a Rest) si entra nel bosco segno che Denai è vicino.

Raggiunto l’asfalto ai Fienili mi fermo un attimo per riposare le braccia, fotografare e bere un sorso. Riprendo, poco prima di Magasa c’è una bellissima fontana con una panchina e delle fioriere di legno sulla strada, mi fermo lì per riempire le borracce, guardo l’ora sono le 12.30. Era da Malga Alpo che non controllavo l’orologio come se lassù nel silenzio delle montagne non fosse più esistito un riferimento temporale.

Riparto, la solita sensazione di aver già alle spalle la parte migliore del giro, mi consola il fatto che ancora per numerosi chilometri pedalerò sulle magnifiche strade della Valvestino. La giornata è di quelle calde, l’ho capito dall’afa che vedevo sopra il lago dal Tombea. Per fortuna questi sono luoghi noti per essere sempre freschi. Per curiosità arrivato a “Frozen Place”, la piccola laguna poco più in basso di Turano dove in inverno ho visto -10°C, guardo il termometro del gps, segna 27°C anche qui!

Oltrepasso la diga, la temperatura è costantemente sopra i 30°C, ma ciò non mi dispiace. Oggi opto per la discesa da Zuino con ulteriore deviazione a Fornico che mi riporta sulla strada alta di Gaino. Ormai ci siamo, sono costretto a tornare nel mondo civilizzato ed a Toscolano rientro in Gardesana, il solito traffico vacanziero, ma neanche dei peggiori.

Sono circa le 14.30, direi l’orario migliore per godere della calura afosa che sale dall’asfalto. Il vento caldo asciuga il sudore e le borracce si svuotano velocemente. Niente deviazione per S.Michele o Gardone Sopra, oggi si va dritti a Salò per salire le Zette ed uscire nuovamente dal traffico utilizzando il percorso ciclabile che passa per Raffa di Puegnago. Il mio gps segna spesso 35/36°C, ma so che il sensore è troppo influenzato dall’irraggiamento solare. Arrivato a Raffa di Puegnago una bellissima fontana/lavatoio all’ombra mi consente di immergere completamente entrambe le braccia nell’acqua fresca e di inzuppare il cappellino che uso come sottocasco.

Riparto, ormai sono quasi arrivato, la curiosità è vedere fino a che temperatura arriverà il gps quando inizierò a risalire verso Picedo e la velocità calerà sotto i 20km/h. Ebbene punta massima 43°C, io lo considero un buon indice del calore percepito, sapendo benissimo che la temperatura reale probabilmente si attesta a 37°C. Arrivo a Polpenazze quasi alle tre e mezza del pomeriggio dopo 130km e 2.430m di dislivello che, come sempre, non dicono molto riguardo allo spettacolo del giro. La soddisfazione oggi è veramente tanta, il Tombea è da anni uno dei miei tarli ed oggi si è lasciato conquistare in una splendida giornata estiva.

Dettagli tecnici su: STRAVAKOMOOT

Videogallery: Video 7’04”

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Pian delle Fugazze, Vicenza e Verona

Sabato 15 agosto 2020, alle 5.43 parto da Polpenazze per un giro che dovrebbe essere il più lungo della mia carriera cicloturistica. Per la prima volta sono costretto a dichiarare i miei intenti in famiglia in quanto l’arrivo sarà sicuramente dopo l’ora di cena. La promessa è di mandare, di tanto in tanto, fotografie dei luoghi che attraverso. Prima fermata d’obbligo, appena partito, per immortalare l’alba che verrà, poi via verso la mia città natale dove scattare un’altra suggestiva panoramica del golfo di Salò.

Oggi poche soste fotografiche lungo la gardesana, giusto la classica cartolina dal porticciolo di Villa di Gargnano e l’immancabile panoramica su Limone dalla statale.

Alle 7.30 pedalo sulla ciclopista a sbalzo, il Peler soffia forte oggi, kite e wind-surf sono già in mezzo al lago ad effettuare le loro evoluzioni. La fermata a metà ciclabile è obbligatoria.

Riparto alla fine della passerella mi fermo per una fugace barretta e per un paio di scatti che sanciscono il cambio di regione.

Riparto, alle 8.00 precise sono nella piazza dell’imbarcadero di Riva. Quasi 27km/h di media, assolutamente in tabella di marcia. Riempio le borracce e mi dirigo verso Torbole, all’altezza della galleria sotto il monte Brione entro in ciclabile e scatto una fotografia verso il lago, da quella che per me è una posizione inusuale, l’estremità nord.

Attraverso il centro di Torbole e salgo verso Nago sfruttando la via ciclabile promiscua, circa un chilometro e mezzo con pendenza vicina al 10%, dopo i primi trecento metri “a chiocciola” un lungo rettilineo porta al borgo sovrastante. A metà mi giro, scatto una fotografia e saluto il mio lago.

Attraverso l’abitato seguendo i cartelli della ciclabile Torbole-Rovereto e inizio la discesa attraverso i vigneti e la depressione del lago di Loppio. Ciclabile bellissima e ben fatta che alterna tratti promiscui a traffico zero nelle vigne a tratti ben separati lungo il bosco del lago.

Sono alle porte di Mori, rientro sulla statale e la seguo fino a Rovereto, data l’ora e soprattutto il giorno di Ferragosto, la strada è pressoché deserta, attraverso la zona industriale e commerciale di Rovereto ed alle porte del centro svolto a destra sulla sp89 “sinistra Leno” in direzione monte Zugna, Albaredo.Rovereto-Anghebeni (SP89) I primi 6km sono impegnativi, pendenza costantemente attorno a 10%, dopo circa 2km nella frazione di Porte mi concedo una pausa “rubinetto” all’ombra del bosco e mangio il primo dei dieci panini al latte che ho preparato. Riparto, giungo al Albaredo dove si divide la strada per il monte Zugna dalla provinciale “sinistra Leno”.

Da qui anche quel poco traffico veicolare che saliva al monte non mi disturberà più. In piazza trovo una magnifica fontana dove riempire nuovamente le borracce, inzuppare di acqua fresca lo “scaldacollo” (in realtà è quello estivo in microfibra), il cappellino sotto-casco e affondare entrambe le braccia fino alle ascelle nella vasca. Sono da poco passate le 10.00, ma la salita era completamente scavata nella roccia ed esposta al sole ed il caldo si è fatto sentire. Oggi sarò esposto ai raggi solari fino a sera e l’ultima cosa che voglio è soffrire di un colpo di calore. Riparto, adesso che ho raggiunto i 750m di quota la strada si fa più semplice, l’attraversamento dei paesi di Foppiano, Zanolli e Matassone è caratterizzato da continui saliscendi che fanno guadagnare leggermente quota fino ad un massimo di 850m in 6km, una splendida visuale sul Pian delle Fugazze prima ed un altissimo viadotto mi costringono a fotografie e video.

Da qui scendo leggermente per altri 3km fino a raggiungere la frazione di Aste. Raggiunto il borgo scendo a fondo valle per spostarmi sul versante destro, quello della SS del Pasubio. Risalgo per un chilometro (pendenza 8%) e mi innesto sulla statale ad Anghebeni. Queste citate sono tutte frazioni di un vastissimo comune che copre quasi l’intera valle, il comune di Vallarsa.Pian delle Fugazze da Arlach Per raggiungere il passo mi servono ancora quasi 12km. Dall’altitudine attuale di 590m devo risalire fino ai 1.163m del Pian delle Fugazze. La pendenza media sarebbe dolce meno del 5%, ma la realtà, come è giusto che sia in montagna, è ben diversa. La strada alterna tratti facili in falsopiano e in leggera discesa a rampe con pendenza tra 8% e 14%. Dopo l’ottavo chilometro addirittura un chilometro e mezzo di discesa che fa perdere ben 50m di quota. Io, in realtà, sono concentrato sul paesaggio e sul mantenere una pedalata sempre agile. Così dopo quattro chilometri da Anghebeni mi fermo ad ammirare lo splendido laghetto artificiale di Seccheri e la sovrastante Cima Carega.

All’inizio della discesa dell’ottavo chilometro il panorama cambia, le vette dei monti del Pasubio iniziano a fare capolino tra le aperture del bosco. Quando giungo sotto al Soglio dell’Incudine la fermata è obbligata.

Riprende la salita ed è proprio qui che si fa arcigna, mancano solo due chilometri al passo ed il primo è costantemente in doppia cifra con punta del 14%. Dovrei essere accigliato ed invece sorrido dentro, mi sembrava troppo facile questa salita (mi son forse già dimenticato dei primi 6km al 10% ?!?). L’ultimo chilometro spiana leggermente, la ex-casa cantoniera preannuncia lo scollinamento che arriva di lì a poco.

Manca poco a mezzogiorno ed io decido di pranzare alle Fugazze, tre panini dolci con bresaola vanno giù uno via l’altro. Ce ne era bisogno, lo stomaco iniziava a sentire il vuoto. Un poco di stretching a collo e schiena, un’altra foto inviata a casa e dopo circa un’quarto d’ora sono pronto a ripartire. “Andiamo a vedere ‘sto Pasubio!” La discesa è bella, a tornanti, decisamente più ripido il versante vicentino. Si apre subito davanti a me la conca meravigliosa del Pasubio.

Sarà per i numerosi cartelli marroni (ossario, cimitero di guerra, trincea, casermetta), per i resti di qualche bunker, per le numerose bandiere italiane alle finestre, per gli alti pennoni con il tricolore svolazzante, ma a me viene la pelle d’oca, mi sembra di sentire ancora le urla dei soldati della Grande Guerra e la montagna nella mia mente trasuda sangue, il sangue dei nostri bisnonni che qui combatterono per la nostra patria. Arrivo a Valli del Pasubio e cerco di ripigliarmi da questa rievocazione storica, svolto a destra e prendo la sp “strada per Recoaro”.

Potrei scendere dritto a Vicenza, ma #lapianuranonesiste e quindi risalgo a passo Xon, salita breve circa 6km facili, i primi 3km quasi piatti ben riparati dal bosco, poi i restanti 3km con pendenza 6% molto regolare. Circa al quinto chilometro arrivo nella frazione di Staro, all’inizio del paese un bel fontanone mi attende, riempio entrambe le borracce ed in una aggiungo una busta di sali, inzuppo lo scaldacollo, il cappellino e sciacquo gambe e braccia. C’è una targa vicino alla fontana, raffigurante il crinale dei monti che si vedono dal borgo con tutti i nomi delle cime. Riparto alla ricerca del posto migliore per scattare una foto di quel crinale, arrivo quasi alla fine del paese senza averlo trovato, ma un cartello indicante “Staro Alta” mi obbliga a deviare dalla traccia per qualche centinaio di metri. Finalmente trovo il luogo per la didascalia ed anche un bellissimo murales che rappresenta una truppa alpina!

Ritorno sulla via programmata, oramai sono a passo Xon, da qui altra vista spettacolare sulla Cima Campogrosso.

Scendo a Recoaro, discesa tortuosa con tornati ravvicinati, anche questa mi sembra più ostica, come pendenza, da questo versante. Recoaro si presenta deserta, come è giusto che sia per una cittadina il giorno di Ferragosto, dalla piazza principale scatto un paio di didascalie alla chiesa e riparto.

Ora è tutto un falsopiano in leggera discesa fino a Vicenza, la provinciale è larga, il traffico nullo ed io quando riesco, senza forzare, supero i 50km/h. Sono a Valdagno e la mia traccia, realizzata con Komoot mi manda sulla ciclabile, bellissima anche questa.

Non che avessi problemi a stare sulla provinciale dal momento che era deserta, ma questo mi consente di rimanere sull’argine del torrente Agno e godere di lunghi tratti ombrosi. In uno di questi ne approfitto per una pausa “rubinetto” e per aggiungere alla borraccia mezza piena, mezzo barattolino dell’intruglio che mi ero preparato. Niente di che: tre cucchiai da minestra di caffè solubile, di orzo e di zucchero. Riparto, all’altezza di Brogliano sono costretto, mio malincuore, ad abbandonare la ciclabile per svoltare a destra verso Castelgomberto. Una leggera salita in paese e scendo ad ovest, riparato dal sole, verso Sovizzo e Creazzo. Sono immerso nella campagna vicentina. Non me ne accorgo quasi e svoltando a sinistra mi ritrovo in via Ponte Storto proprio vicino all’enorme rotonda che porta a Vicenza e che ho percorso più volte per lavoro in automobile. Essendo Ferragosto, mi circonda il deserto totale e posso circolare liberamente su questo stradone che normalmente è affollato da autovetture e camion in coda. In poco meno di tre chilometri sono a Vicenza, il navigatore mi guida verso viale Dante Allighieri da dove inizia la salita classica al Monte Berico. In realtà riconosco le strade, le ho fatte l’autunno scorso quando con Marina siamo venuti un fine settimana a festeggiare il nostro anniversario e la domenica siamo saliti in auto al santuario.Monte Berico I chilometri sono già 172km e temo un poco la salita. In realtà la ricordavo più complicata di quello che è. Un chilometro giusto, ma solo gli ultimi 600m con pendenza 8-12%.

Innesto il rapporto più agile e salgo piano piano, il sole dritto in viso cuoce, sono da poco passate le 15.00, l’aria è calda e umida. Arrivo nel piazzale e vedo subito una fontanella, ennesimo rifornimento idrico. Mi dirigo al parapetto per scattare un paio di fotografie a Vicenza dall’alto e ai monti dai quali sono arrivato.

Un panino, un attimo di relax e riparto. Ripasso dalla fontanella e rabbocco la borraccia che era già vuota per metà. Percorro il crinale dei monti Berici, passo da Arcugnano e salgo fino a Perarolo, un dolce saliscendi il cui tratto più duro misura circa 1,5km ad una pendenza di 5-6%.Perarolo Prima di arrivare nella frazione di Perarolo mi concedo una deviazione a sinistra per scattare una fotografia panoramica sulla conca formata dai Berici in cui è racchiuso il lago di Fimon. Inizia la discesa dai circa 260m di altitudine e questa è stata veramente l’ultima salita di giornata.

A metà discesa l’Incompiuta, quello che doveva essere il nuovo Duomo di Brendola i cui lavori vennero bloccati durante la Seconda Guerra Mondiale senza più ripartire, attira la mia attenzione. Sosta rapida e via seguendo la traccia che ricalca in parte l’itinerario cicloturistico “I1” Vicenza-Soave-Verona. La traccia che ho programmato salta a destra e sinistra dell’autostrada, attraversando i celebri vigneti di Soave. Dopo San Bonifacio piego decisamente verso sud-ovest fino a raggiungere quasi l’argine sinistro dell’Adige, strade di campagna traffico quasi nullo ad eccezione di tre chilometri vicino al casello dell’autostrada. Qui percorro una bretella in cui la sede stradale a destra della riga bianca che delimita la carreggiata degli autoveicoli è più larga di una normale ciclabile! Arrivo sull’argine di un naviglio e svolto a destra puntando dritto verso Verona. Con mia sorpresa mi aspettano un paio di chilometri di strada bianca, ben battuta, con poca ghiaia, la attraverso ad un buon ritmo.

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Argine dell’Adige

Ritorno sull’asfalto e inizio a cercare una fontanella, l’acqua è nuovamente ai minimi. Qualche chilometro e nell’attraversare il minuscolo borgo di Mambrotta trovo una fontanella nel parco giochi. Fermata un po’ più lunga, riempio, mangio, getto le cartacce nel bidone della spazzatura, bevo e riempio ancora. Sono già a 225km, manca ormai poco a Verona, passo sopra l’autostrada, sotto alla ferrovia ed un cartello mi dice che sono arrivato in città. Sì, ma a San Michele Extra, che vuol dire ancora più di cinque chilometri per piazza Brà. Percorro il lungo viale Unità d’Italia sulla carreggiata. In realtà, sul lato opposto al mio, un marciapiede enorme, almeno otto metri di larghezza, è usato per metà come pista ciclabile ben segnata, anche il mio navigatore mi avrebbe fatto percorrere quella via, ma il traffico ridottissimo mi ha convinto a restare sulla strada.

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Ponte sull’Adige, Verona

Finalmente il ponte sull’Adige, il centro è ormai vicino, giro attorno alle mura scaligere ed entro in piazza Brà. Sono quasi le 19.00. Eccola AliMat fotografata in primo piano davanti all’Arena!

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Arena di Verona

Proseguo, castello e ponte Scaligero. Salgo sull’argine per le fotografie di rito. Tutto ciò mi porta a rallentare il passo di marcia, ma si sa gli attraversamenti delle grandi città sono così.

Prendo la ciclabile del sole che parte proprio da Verona in direzione dell’Alto Adige, il sole è proprio in fronte, ma ormai scalda poco, inizia a sentirsi l’umidità della sera soprattutto perché costeggio il naviglio.

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Ciclabile del Sole (VR-Resia)

A Bussolengo abbandono la ciclabile per dirigere verso le colline moreniche. Prima di uscire dal paese una rapida sosta per svuotare il barattolino di intruglio nella borraccia. La strada risale dolcemente sui clivi ed a Palazzolo mi ritrovo con il sole basso sull’orizzonte che illumina una sottile striscia di acqua, è il basso lago di Garda che dalla modesta altitudine di 250m si riesce appena ad intravedere.

pasu35Lo fotografo, trovo anche una fontana e riempio entrambe le borracce, riparto in direzione colline moreniche. L’aria oramai e fresca e umida ci sono 23°C. Attraverso la statale per Peschiera, ma non la prendo, il giro deve essere completamente su strade poco trafficate. Passo nuovamente sopra l’autostrada, mi fermo ancora per una fotografia prima che il sole scompaia definitivamente dietro l’orizzonte.

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Tramonto a Oliosi

Svolto per Oliosi, in realtà io vado a Monzambano, ma da qualche chilometro a questa parte nelle indicazioni vedo solo questo nome oltre a Valeggio. La strada è sempre in leggera discesa ed io accelero un poco, voglio passare il ponte sul Mincio prima che sia definitivamente buio in quanto al di là del fiume conosco bene il percorso. Sono da poco passate le otto e mezza di sera quando passo sul Mincio, niente fotografia, ormai è troppo buio. Finalmente posso prendere la strada per Pozzolengo, nuovamente su una gobba lo scenario al crepuscolo mi esorta ad un tentativo di fotografia anche se solo con il telefono. Modalità “Pro” in semi-automatico, ISO 100 (altrimenti nella correzione sgrana troppo), tempo di esposizione 1/2sec e speriamo bene.

Riparto, ormai e buio pesto, ma non sono per nulla preoccupato, i miei due fari anteriori fanno il loro lavoro alla perfezione. Il più forte e con raggio di apertura maggiore illumina dritto, quasi fosse un abbagliante, ad oltre 50m; l’altro punta leggermente in basso e illumina a giorno i 15m più vicini a me. Dietro due fari con superLed e luce di frenata ad accelerometro. Arrivo a Pozzolengo, decido di aggirarlo percorrendo la bretella esterna, credo così di poter fare più veloce. Di tanto in tanto incrocio un’autovettura o qualcuna mi supera, in entrambi i casi rallentano, evidentemente non capiscono che razza di mezzo di trasporto ci sia per la strada.

Meglio così, vuol dire che mi vedono già da lontano. Ancora qualche chilometro nel buio ed i passaggi sopra autostrada e tangenziale sanciscono l’arrivo nell’abitato periferico di Desenzano. Passo sotto il viadotto della ferrovia, mi fa strano percorrere queste strade di sera in bicicletta io che sono abituato a percorrerle in automobile. Alla rotonda prendo a sinistra per l’ospedale, di nuovo fuori dal traffico, nelle colline della bassa Valtenesi in direzione Maguzzano. E’ proprio lì che scattano i 300km sul GPS, caccio un urlo di godimento, ora devo solo cercare di non far succedere pasticci negli ultimi chilometri. La strada scende al lido di Lonato e per un paio di chilometri seguo la statale per Salò, poi svolto a sinistra salgo a Padenghe, ne attraverso il centro, il viale alberato del cimitero e giungo a Soiano, sono quasi le 22.00.

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Arrivo a Polpenazze!

Ultimo sforzo per risalire in paese e scendere al confine con Polpenazze ed i giochi sono fatti! I numeri dicono 308km, 3.080m dislivello, 13h57’40”, 11 borracce più le sorsate dirette (circa 9 litri) 10 panini al latte imbottiti, 6 barrette energetiche,  4 gel energetici, 1 busta di sali, 1 barattolino di intruglio. Quello che non dicono sono le emozioni di un viaggio da prima dell’alba a notte inoltrata. Un viaggio costituito da paesaggi meravigliosi: la gardesana occidentale scavata nella roccia, la ciclopista a sbalzo di Limone, le ciclabili trentine, i monti del Pasubio. Un viaggio nella storia dell’unità d’Italia dal Pasubio trasudante sangue della Grande Guerra alle colline moreniche terreno delle feroci battaglie della I e II guerra d’Indipendenza contro gli Asburgo. Un viaggio nell’arte della palladiana Vicenza e della scaligera Verona. Soprattutto un viaggio verso una pentola di acqua bollente con più di un etto di pasta che “Moglie” sta preparando per me! E questa è stata la soddisfazione più grande!

Pasubio 300

Dati tecnici su Strava: https://www.strava.com/activities/3918487278

su Komoot: https://www.komoot.it/tour/239893181

Videogallery: https://youtu.be/H4e3xsB_Reg (5min)

Photogallery:

Passo Tremalzo gravel-extreme

Sono le 4:52 quando mi sveglio, ancor prima che il telefono suoni. Mi alzo, guardo fuori dalla finestra, scendo in giardino e scatto una fotografia dell’alba che verrà. Si prospetta una mattina dal cielo terso e dalla profondità di campo giusta per fare fotografie.

Oggi la mia mente ha progettato il giro che è il degno coronamento di tutti i piccoli passi fatti in questi due anni di allenamenti e test sulle strade ghiaiose del nostro lago di Garda e dell’altopiano di Cariadeghe. Alle 5:42 parto, mi aspetta una lunga cavalcata pianeggiante verso Riva del Garda in tutto più di 50km. A quest’ora il traffico è ridottissimo e la Gardesana si trasforma in uno splendido lungo rettilineo adatto ai video e alle fotografie: l’alba dall’alto di Puegnago, il golfo di Salò, il porticciolo di Toscolano, la ciclabile sulla vecchia strada a Gargnano, per finire con il clou, la ciclopista a sbalzo di Limone sul Garda.

Poco prima delle 8:00 sono a Riva, mi fermo come mia abitudine a mangiare una barretta all’imbarcadero, riempio le borracce di acqua e riparto. Attacco la salita del Ponale, sicuramente l’unica strada del lago che può lottare per bellezza e arditezza con la Forra di Tremosine. Sono 2,5km sterrati, ben battuti, intagliati nella roccia viva a strapiombo sul lago. Con attenzione, si può fare tranquillamente con una bdc moderna con sezione dei copertoni da 25mm o meglio da 28mm, oggi con LinaBatista ed i Terratrail tassellati da 40mm diventa una passeggiata, ma la dimensione delle mie gomme fin troppo generosa qui, sarà altresì sufficiente in vetta al Tremalzo?

Mi fermo un paio di volte per scattare fotografie, la giornata è incredibile, una delle migliori che io abbia avuto quanto a profondità di campo.

Finito lo sterrato ancora un paio di chilometri asfaltati con tornanti e vista sull’orrido mi conducono davanti all’ingresso della galleria della strada statale. Mi immetto sulla via principale in salita verso il lago di Ledro, ma, fortunatamente, la abbandono cinquecento metri dopo per svoltare a sinistra e riprendere il sentiero del Ponale che sale al lago di Ledro e che è stato trasformato in ciclabile da qualche anno. Sicuramente più ostico questo secondo tratto per una bdc, in quanto i primi chilometri totalmente sterrati presentano piccole rampe sopra il 10% con fondo molto mosso, difficilmente superabili con copertoni sottili senza scivolare (vedi Antica via Ponale e passo Tremalzo (Giro dei 4 laghi) ).

A Prè di Ledro la Ponale entra in paese, si torna sull’asfalto, da qui fino a Molina i tratti sterrati sono pochissimi, ma più volte ci si arrampica su tornanti cementati al 20%. Faticosa in certi punti, ma di una bellezza straordinaria. Inoltre con le abbondanti piogge di questo mese tutti i torrenti e i ruscelli sono carichi di acqua dando ancor più bellezza allo scenario boschivo, verde e rigoglioso come non lo vedevo da anni. A Molina nuova fermata d’obbligo di fronte al lago, sono circa le 9:00 e la mia colazione prevede già un bel panino con prosciutto crudo oltre agli integratori di rito.

Mi aspetta la sponda sud del lago, quella in parte interdetta alle autovetture su splendida ciclabile sterrata in mezzo al bosco. I riflessi verde smeraldo del lago si mescolano con il verde chiaro del fogliame del bosco. A Pieve di Ledro prosegue la ciclabile su una bellissima traccia, verniciata di recente, immersa nei campi: curve sinuose si alternano a piccoli ponticelli sui ruscelli. Un paradiso per famiglie! Per fortuna a quest’ora non sono ancora in movimento. Arrivo al lago d’Ampola, chiamarlo lago forse è eccessivo, comunque uno splendido specchio d’acqua ricolmo di ninfee e canne. Sono al 76km, sono le 9:50 ed inizia la parte tosta del giro, il passo Tremalzo: 12,3km per quasi mille metri di dislivello. Una salita di quelle definite HC (hors categorie) piuttosto regolare, parte subito con pendenza in doppia cifra e per i primi tre chilometri sono più i tratti a 10/12% che quelli a 7/9%.Passo Tremalzo La bellezza del luogo, il fresco del bosco (14°/16°C), l’asfalto liscio la rendono molto meno faticosa. Prima del quinto chilometro sono già a 1.000m di quota, circondato, ancora una volta, da splendidi maggiociondoli in fiore. In questa amenità l’ultima cosa a cui penso è la fatica della scalata, ci penseranno poi i dati del gps a decretare che per più di 10km (su 12,3km totali) la pendenza è rimasta sopra 8%. Iniziano i primi alpeggi e fortunatamente anche il primo breve falsopiano in corrispondenza della chiesetta di Santa Croce, solo un centinaio di metri e si risale a 10%. Poco prima dell’ottavo chilometro un’altra contropendenza, questa volta più lunga, quasi cinquecento metri. Il panorama si fa sempre più ampio man mano che salgo, si iniziano a scorgere il Cornone di Blumone e la vetta dell’Adamello anche se oscurata dalle nuvole.

Prima del passo (e me lo ricordo bene dallo scorso viaggio!) la strada per qualche decina di metri si snoda sullo stretto crinale dei monti. Mi fermo per una ripresa incantevole e spaventosa assieme! Il lato sud verso il Garda scosceso, uno strapiombo di quasi 400m sugli alpeggi sottostanti; Il lato nord, dolce, verde, erboso e fiorito (con un neologismo lo definirei “pratoso”) con le cime delle Alpi in lontananza a fare da sfondo.

Arrivo al passo Tremalzo (1.702m) il tempo di alcune didascalie, di sgonfiare gli pneumatici a 2,0 bar e riparto in discesa.

L’idea è di fermarmi per mangiare i panini in mezzo ai prati sottostanti. La discesa si presenta subito “tecnica” o meglio difficoltosa per una bici ghiaiosa. A parte alcuni brevi tratti lastricati, il fondo è molto mosso e con sassi piuttosto grossi per i miei copertoni da 40mm. Sono costretto a scendere sempre a freni tirati per non superare i 10-15km/h e non rischiare di compromettere i cerchi in uno dei tanti larghi e profondi scoli dell’acqua piovana o su uno dei sassi più grossi ed appuntiti.

Arrivo al passo della Cocca, decido di fermarmi lì, luogo incantevole, consumo il mio pranzo e riparto. Poco dopo sono costretto ad una nuova fermata, l’alpeggio con le creste sovrastanti quasi a semicerchio crea un gigantesco teatro naturale. Obbligatorio un video a 360°.

Confessate che avete proseguito anche voi con: “le caprette ti fanno ciao!”. Ancora un chilometro ed eccomi di fronte alla magnificenza della cascata del Pra di Lavino, detta del Pisù, con le ripetute piogge di questi giorni è carica di acqua come in pochi altri momenti dell’anno. Il fragore, il profumo umido, le goccioline nebulizzate nell’aria ancor fresca di primavera ne fanno un luogo magico, d’obbligo una lunga sosta.

Tutte queste pause, in realtà, oltre che rallentarmi, mi confortano in quanto consentono ai miei cerchi di non surriscaldarsi eccessivamente durante le lunghe frenate. Riparto, una contropendenza di un chilometro mi porta a Bocca Lorina (1.431m) bivio per la strada che sale al Monte Caplone entrando nel territorio della Valvestino. Io, invece, scendo verso la valle del San Michele. Sono 7km di terribile discesa con pendenza media di 11%, ma spesso tra 15% e 18%, fortunatamente ora il fondo è molto più compatto ed i tornanti spesso sono cementati. Il panorama è impressionante: sono nel mezzo, guardo  in su e vedo le creste aguzze sopra di me, guardo in giù e vedo un bosco a strapiombo nella valle del torrente San Michele.

Una meraviglia! Oggi l’aria così limpida e pura dona una profondità di campo da restare senza fiato. Ovviamente mi fermo più di una volta per fotografare. Finalmente giungo in fondo alla ripida discesa, arrivo alla piccola diga sul torrente. Accosto la bicicletta e ne approfitto per scendere sul ghiaioso letto del corso d’acqua.

Mangio, bevo, riempio le borracce alla vicina fontana, rigonfio gli pneumatici fino a quasi 3bar e riparto, poco più di tre chilometri e ritorno sull’asfalto all’incrocio con la provinciale Tignalga, svolto a destra e mi accingo a rientrare nella civiltà. La strada è nota, tre chilometri di discesa, tre di risalita con pendenza impegnativa ed eccomi nel comune di Tignale, oltrepasso alcune delle sue frazioni, inizio la discesa, fermata d’obbligo al “Panorama del Fil”, purtroppo quasi immancabile con strade nuove il messaggio di ritardo a casa, fotografo e riparto.

Come settimana scorsa mi aspetta la “Hidden Road” e la vecchia gardesana che mi conducono a Gargnano. Troppo traffico in paese e dopo soli due chilometri mi infilo a destra nelle stradine del golf di Bogliaco, a Cecìna (non Cécina, quella è in Toscana) mi fermo per riempire nuovamente le borracce, il sole picchia forte anche se l’aria non è ancora calda come in piena estate ed io sto già bevendo come un cammello. Scatto una fotografia ad una splendida bouganville che si arrampica sul muro di pietre di una casa e via si riparte!

Attraverso Toscolano, Maderno e Fasano in statale e a Gardone rientro a destra per la frazione di Sopra; il rumore delle motociclette mi stava dando troppa noia dopo tutte quelle ore passate nella pace e tranquillità dei monti. Ridiscendo da Morgnaga a Barbarano, ma rientro subito a destra per il centro di Salò, solite Zette in risalita e Valtenesi. Anche oggi la lieta sorpresa della Citroën 2CV Charleston, questa volta la incrocio prima di Puegnago.

Sorrido, è il degno suggello ad una giornata veramente indimenticabile per i luoghi visitati e per le condizioni meteo che hanno saputo donar loro ancor più splendore. Grazie LinaBatista con i tuoi ultimi miglioramenti tecnici mi stai portando “là dove non ero mai stato!”

Per la cronaca: ⇔ 152,6km,  ⇑ 3.082m,  τ: 8h42’56”

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!Ghiaiosi@ La Ponale, Passo Tremalzo Extreme

TremalzoGravelExtreme

Videogallery: Video integrale (10’40”) (se potete trovate il tempo per guardarlo, merita tutto, non per le mie riprese, ma per i luoghi incredibili)

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Monte Puria e le strade militari

Sabato 6 giugno 2020, tra un temporale e l’altro, colgo l’occasione per portare la mia LinaBatista alla scoperta di nuove ghiaie militari. Alle 6.09 si parte in direzione alto lago. La giornata è fresca (15°C) scendo a Salò e percorro il lungolago.

Fa strano vedere tutti questi cartelli giallo-blu che indicano i sensi unici di marcia a causa dell’emergenza Covid. Proseguo e attraverso Gardone R., Maderno e a Gargnano mi fermo per un paio di istantanee sul lungolago.

Imbocco la vecchia gardesana e proseguo fino all’incrocio per Tignale. Svolto a sinistra ed inizio a salire, il cielo è terso ad occidente mentre ad oriente, e soprattutto sopra il monte Baldo, è piuttosto offuscato con le solite nuvolette sulla cima. Mah, speriamo che la giornata tenga! – penso io. Il giro in programma è piuttosto lungo ed impegnativo. Procedo, giungo al balcone di Tignale chiamato “Panorama del Fil”, mi fermo per un video.

Sono le 8.00 quando riparto, attraverso le frazioni di Gardola e Olzano, bellissima con la sua ripida ed angusta strada acciotolata, e mi dirigo verso Cima Piemp.

La salita per il Piemp (vedi Cima Piemp, uno splendido balcone sull’alto Garda.) è sempre incantevole e impegnativa, quest’anno grazie alle copiose piogge degli ultimi giorni il bosco in cui si snodano i suoi sinuosi tornanti cementati è particolarmente lussureggiante.CimaPiempdaGardola

Poco più di 6km con numerosi tratti su cemento e la pendenza che si inasprisce sempre più man mano che ci si avvicina alla vetta. Di contro paesaggi stupendi impreziositi in questi giorni di inizio giugno dai gialli maggiociondoli in fiore.

La temperatura scende fino a 11°C, l’umidità del mattino esalta ulteriormente i profumi del sottobosco, io salgo con relativa tranquillità, dalla mia oggi ho la tripla con il piccolo 24 anteriore. In vetta al Piemp mi concedo una sosta fotografica e ne approfitto per mangiare, sono da poco passate le 9.00.

Riparto, inizia il divertimento, da qui in poi la strada sarà sterrata, o meglio ghiaiosa, per un bel po’. Ripercorro l’itinerario del giro Andata Gardesana, ritorno creste! fino al Passo d’Ere. Mi ricordo che lo scorso anno giunto all’inizio della salita per il Passo Segable dovetti scendere a piedi a causa del fondo sdrucciolevole e della mancanza di un rapporto adeguato della mia AliMat (34×34 e gomme 40mm slick).StrappoSegable

Oggi LinaBatista dotata di un più agile 24×29 e dei Continental TerraTrail da 40mm leggermente tassellati aggredisce con vigore la ghiaia, non slitta e con agilità (ho tirato a manetta!) supera questo chilometro. Sono soddisfatto, sento che con questo assetto, anche in salita posso andare quasi ovunque. Da Passo Segable in breve si scende a Ere, dove, al bivio, svolto secco a destra per entrare nella magnifica strada che conduce al Passo di Scarpapè, già percorsa l’anno scorso in Cima Rest da Passo Scarpapè.

Il passaggio della vecchia galleria militare è sempre incredibilmente affascinante.

Ora proseguo verso il passo, subito dopo, un ulteriore bivio separa la strada che scende a Cadria (la presi lo scorso anno) e quella che sale al Passo della Puria obiettivo di giornata.

Davanti a me si presenta un nuovo tratto, circa un chilometro, di salita impegnativa e con fondo molto mosso, ma anche stavolta LinaBatista fa il suo dovere.

Giungo al passo (1.380m), ma la cima del Monte Puria e soprattutto la sua anticima sono distanti meno di un chilometro, per cui devio dalla strada militare su un sentiero, oltrepasso la sbarra e mi dirigo verso il monte.

Arrivato ai piedi dell’anticima appoggio la bici ad un giovane pino e salgo a piedi verso il cocuzzolo, circa una trentina di metri sopra di me. Mentre salgo un capriolo si avvicina alla LinaBatista osservandola incuriosito, decido quindi di iniziare il video panoramico anche se mancano alcuni metri alla vetta.

Sono piuttosto emozionato, è la prima volta che mi spingo così oltre con la mia ghiaiosa, soprattutto non ero mai stato letteralmente su una vetta isolata! vedere la striscia di ghiaia della strada 30/40m in verticale sotto di me, il vuoto tra la mia anticima e le vette attorno, il Monte Tremalzo così vicino, mi regalano brividi ed adrenalina. Un misto di pace, vuoto, senso di inadeguatezza, stupore mi pervade. Il soffio del vento è l’unico rumore che si sente.

Decido di scendere, con grande cautela, arrivo alla bicicletta, la vedo lì, appoggiata al giovane pino, quasi stesse riposando per la fatica. La fotografo e decido che questa sarà l’immagine simbolo del mio primo giro culminato su una vetta.

puria26

Riparto, visti i temibili nuvoloni neri che ricoprivano le cime del Tremalzo, decido che la scelta più saggia sia quella di rientrare al passo d’Ere per la medesima rotta, per poi scendere verso Bocca Paolone, questa è senza dubbio la via più veloce e mi consentirà di evitare i temporali che sono previsti nel primo dopopranzo. Gongolo perché questo vuole anche dire che ripasserò nella splendida galleria militare a ritroso. Abbasso il reggisella telescopico di qualche centimetro. Sì, perché tra le novità di quest’anno LinaBatista si è dotata di un canotto sella regolabile per darmi più sicurezza e confidenza nelle discese sopra il 20% dove mi sentivo sempre catapultare in avanti. Così è tutta un’altra storia! Scendo il primo chilometro della Puria con molta più confidenza. No, non velocità! Semplicemente mi sento più sicuro. Arrivo alla galleria e devo fermarmi a scattare un paio di fotografie all’orrido.

Riparto, al passo d’Ere proseguo verso Bocca Paolone, un primo tratto di leggera discesa su strada ben battuta, poi dopo il passo della Colomba, un altro chilometro di ripida discesa su sconnesso conduce all’inizio dell’asfalto.

Asfalto che, per quel che mi riguarda, dura pochissimo in quanto poco prima di Bocca Paolone incontro il bivio per il Passo della Fobbia che conduce direttamente a Piovere di Tignale, senza fare tutto il giro dalla Costa di Gargnano come feci lo scorso anno. Anche questa è, per me, una strada nuova. Da subito si capisce che il paesaggio e il manto stradale sono decisamente cambiati. Sono sotto quota 1.000m la ghiaia delle strade militari scavate nella roccia lascia il posto alla terra battuta scavata nel fitto bosco, di tanto in tanto qualche piccola radura seganala la presenza di una malga. Io scendo piano, sia per prudenza, sia per non sollevare troppo fango da dietro.

Quando la pendenza si fa troppo impegnativa la strada viene cementata per agevolare la risalita dei mezzi, io ne sono felice perché l’aderenza migliora decisamente.

In circa cinque chilometri perdo quasi 600m di dislivello e mi ritrovo, oltrepassato Piovere, al bivio della provinciale Tignalga da cui ero risalito stamattina. Discesa impegnativa, soprattutto per le mani, ma la bellezza del fitto sottobosco, i continui guadi sui torrenti carichi di acqua dei temporali scorsi, mi fanno dimenticare quel poco di sofferenza articolare che mi hanno procurato. Al solito dalla provinciale mi stacco per non entrare sulla ss45 ed attraverso la “hidden road” mi ricongiungo alla vecchia gardesana.

Oltrepasso la frana, che quest’anno è decisamente peggiorata, e ne approfitto per fermarmi sul tornante a contemplare il lago mentre mangio un’ultima barretta.

Riparto, a Gargnano rientro in statale. Oggi, a differenza della settimana scorsa, in cui il ponte aveva portato numerosi turisti con le immancabili code sul lago, la strada è praticamente vuota. L’orario certo aiuta sono quasi le 12.30. Decido di rimanere sulla gardesana per accelerare i tempi di rientro, ma niente, all’inizio di Gardone Riviera, dopo circa 10km sono già ampiamente “stufo” e decido di concedermi almeno il passaggio per Gardone sopra, ripercorrendo le antiche strade di Gabriele d’Annunzio. Un paio di fotografie ad una bellissima piscina e ad una villa incredibile poco prima di Morgnaga giustificano ulteriormente la piccola deviazione.

 Rientro in statale all’altezza del centro di Barbarano, ma solo per un chilometro, allo svincolo tengo la destra ed entro nella mia amata città natale. Le Zette, la Valtenesi, al solito, mi riportano a casa, ma stavolta ho un piacevole imprevisto poco prima della rotonda di Polpenazze a due soli chilometri dall’arrivo: una Citroën 2CV Charleston (me lo ha spiegato il mio amico Carlo, per me era un Dyane) mi sorpassa.

Un’ultima ciliegina su una torta riuscita perfettamente, grazie anche agli “upgrade” della mia LinaBatista. (⇔101,2km  /  ⇑ 2.360m  /  τ: 5h59’30”)

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!Ghiaiosi@ Monte Puria (Cima Piemp, Passo Segable, Passo Puria, Passo della Colomba, Passo Fobbia)

MontePuria

Videogallery: Video integrale 8’45” (prendetevi il tempo e guardatelo merita davvero♥)

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Cima Rest da Passo Scarpapè

Domenica 18 agosto, sono da poco passate le sei del mattino quando cavalco la mia AliMat per una nuova escursione sulle strade ghiaiose dell’alto lago. Subito lo spettacolo della luna che appare come una lampadina in alto nel cielo mi mette di ottimo umore.

Mi dirigo con una certa rapidità verso Gargnano, la temperatura, a quest’ora, è ottima  anche nel torrido Ferragosto. Inizio a salire verso Navazzo, il sole è ancora nascosto dietro il monte Baldo anche se la sua luce rischiara ampiamente tutto il paesaggio. La luna sta calando, ma prima di scomparire definitivamente mi concede un ultimo regalo all’uscita di uno dei tanti tornanti della salita: io, lei ed il monte Castello.

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Arrivo a Navazzo dopo poco più di 1’30” di pedalata. Oggi, per me, la salita è ancora lunga, svolto a destra e prendo per Costa di Gargnano, mi aspettano ancora dieci chilometri tra salita e qualche breve discesa. Appena lascio il versante che si affaccia sul lago per entrare nelle valli l’aria si rinfresca, 14°C la minima. Sono le otto e mezza quando, alla fontana prima di Costa, mi fermo per riempire le borracce e mangiare un poco. Sto per entrare nel vivo del giro odierno, mi attende la salita a Bocca Paolone (947m) e Passo della Colomba (1.109). La prima parte della salita è tutta asfaltata (2,5km) ed è anche relativamente facile (8% – 12%), dall’ultimo chilometro inizia lo sterrato, la pendenza resta sopra il 10% con dossi a 15%.

Io fatico, stamattina la gamba non gira come dovrebbe e sui dossi molto sconnessi faccio molta fatica, sul più impegnativo sento che anche la bicicletta perde aderenza e per sicurezza scendo e lo oltrepasso a piedi. Sono alla Colomba, ora la strada si muove pressoché piana fino al passo d’Ere (1.131m) immersa nel fresco ed odoroso bosco. Mi passano due biker, ci salutiamo, vanno leggermente più veloce di me, ma fino a quando il fondo è compatto non guadagnano molto. A Passo d’Ere il bivio, a destra si prosegue per Passo Segable e Cima Piemp, che avevo percorso a ritroso solo un mese fa (Andata Gardesana, ritorno creste!), a sinistra prosegue per Passo Scarpapè, la parte nuova del mio itinerario che mi porterà a Cima Rest. Da subito lo scenario si fa incantevole e suggestivo con rocce e pareti scoscese. Presagio di un’altra ottima scelta di percorso. Poco pù avanti la vista si apre su un ampia e vertiginosa parete sovrastante la strada. Uno spettacolo quasi dolomitico, oserei dire, e la strada si perde all’interno di una galleria militare, di pregevole fattura.

Sono letteralmente estasiato, all’uscita della galleria mi devo fermare per scattare anche alcune fotografie di questo luogo (a lungo sono stato indeciso se usare questa come didascalica del giro).

Riparto, raggiungo lo Scarpapè, vedo i due bikers che stanno già affrontando i tornanti del Passo di Puria per raggiungere Cima Rest o il Tombea. Mi fermo al bivio, dovrei salire anch’io, ma non mi sento pimpante e decido di non rischiare, prendo a sinistra la mulattiera che scende a Cadria e poi risalirò a Cima Rest dalla strada. So, per informazioni prese, che questa via è un po’ abbandonata, quindi non escludo di dover farne pezzi a piedi, ma resta il fatto che sarà tutta in discesa. All’inizio il fondo è discreto, dal momento che la mia bici non è una mtb scendo con cautela. Si  intuisce subito che questa strada non viene più utilizzata da mezzi a quattro ruote già da molto tempo in quanto, dove ha potuto, la vegetazione si è mangiata parte della sede stradale.

Il percorso, dal punto di vista paesaggistico, è fantastico: un susseguirsi di entrate ed uscite dal bosco con ampie vedute sulla valle del Droanello. Purtroppo spesso sono costretto a concentrarmi solo sulla guida. Ad un tratto un grosso albero, caduto sicuramente durante la tempesta Vaia di quest’autunno, blocca ancora la strada. Ciò avvalora la tesi che oltre ad escursionisti e ciclisti di qui non passa ormai più nessuno da tempo. Lo scavalco e proseguo. Giungo ad un fitto bosco di alti pini silvestri che creano un’ansa su cui la mulattiera si appoggia con ripida discesa. Fermata fotografica obbligatoria, ma, soprattutto, il soffice letto di aghi che copre tutto il sentiero mi indica che per le mie Gravelking slick da 1’50 questa discesa a 20% non è il massimo e quindi la percorro a piedi per non scivolare direttamente a Cadria “culo a terra”.

Cinquanta metri e sono di nuovo in sella, manca oramai poco ai primi alpeggi, la mulattiera è tornata ad essere una carrareccia, segno che è ancora utilizzata da veicoli a quattro ruote. Attraverso il primo alpeggio e vedo in lontananza il borgo di Cadria.

Per un chilometro e mezzo entro ed esco dalle radure fino a quando mi ritrovo davanti ad una sbarra, così mi spiego come mai il sentiero a monte degli alpeggi è lasciato al suo destino. La oltrepasso ed una parete strapiombante fa da cornice ad uno splendido fontanile, quale luogo migliore per una sosta “merenda di metà mattina”!

Riparto, attraverso Cadria, è strano arrivare da sotto, ritorno su asfalto e risalgo verso Cima Rest, circa tre chilometri e mezzo e sono arrivato, ma oggi è il giorno in cui, per la prima volta, voglio raggiungere il celebre osservatorio astronomico. Quindi proseguo sulla cementata, un’altro chilometro (pendenza media 5% max 19%) con il solito muretto di un centinaio di metri prossimo a 20% di pendenza. Giunto all’osservatorio mi scateno in una sessione fotografica. La giornata sufficientemente limpida, il panorma sul crinale dei monti Tombea e Caplone e gli splendidi e numerosi cespugli di cardi fioriti mi ripagano ampiamente delle fatiche odierne.

È quasi mezzogiorno, mi siedo su una panchina e con tutta calma consumo il mio pranzo contemplando i monti della Valvestino. Oggi non ho fretta, ho la giornata per me. Dopo una ventina di minuti circa riparto ed inizio la fase di rientro. Scendo prima verso Magasa  e poi verso il lago di Valvestino. All’altezza del vecchio mulino ad acqua di Turano, ora trasformato in museo degli antichi mestieri (link a VisitValvestino), scendo dalla strada per costeggiare il canale e fermarmi davanti alla costruzione per qualche fotografia.

Nuovamente in sella, costeggio il lago di Valvestino, me lo godo tutto, l’aria oramai è calda, ma non afosa. Oltrepasso la diga ed arrivo alle porte di Navazzo da nord, devio a destra ed entro in zona industriale, scenderò dal famoso “sentiero delle Camerate” una carrareccia ghiaiosa, cementata solo laddove la pendenza si attesta attorno a 20%. In questo modo arrivo dritto nella valle del torrente Toscolano, che in questi luoghi scava un vero e proprio canyon. Scendo con cautela, sia perché è la prima volta che la percorro, sia per le ripide e scivolose pendenze.

Anche qui il paesaggio è di sicuro spessore, il monte Pizzoccolo mi sovrasta imperioso e la forra del torrente Toscolano e di una incredibile bellezza. Arrivo alla fine della discesa e mi immetto nella valle delle cartiere. Mi fermo sul vecchio ponte che portava al palazzo Archesane ed alla valle di Campiglio per uno shoot fotografico. Sotto di me, vacanzieri in costume si rinfrescano nelle gelide acque del torrente che qui forma una grande ansa con piccole spiaggette ghiaiose. In questa forra la temperatura all’ombra è ancora di 25°C nonostante sia già l’una passata.

Sono sceso fino a 250m s.l.m. ed ora devo risalire un po’ per arrivare al borgo di Gaino, da dove riprende la strada asfaltata. Un pizzico di tristezza mi pervade nel lasciare lo sterrato, la parte migliore del giro è alle mie spalle. Davanti ho ancora la splendida discesa con vista lago dalla balconata di questa frazione e poi la gardesana. Sono le  due del pomeriggio quando attraverso Salò, la mia città, brulicante di turisti e bagnanti. Oltrepasso le Rive, inizio a salire le Zette, guardo il lago, il golfo e mi scatto un “selfie on-action”.

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Un degno suggello per questo fantastico nuovo itinerario percorso in virtù delle ruote cicciotte (⇔:115km — τ:6h46min — ⇑: 2.536m — T:14°C/35°C).

Grazie AliMat!

Scarpapè-Rest

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!Ghiaiosi@ Bocca Paolone, Passo Scarpapè, Cadria, Cima Rest, Lago Valvestino, Camerate

Videogallery: Video YouTube con commenti (5’33”)

Video YouTube versione integrale (7’23”)

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Pedalando sulla neve!

Sabato 14 dicembre, quest’anno il meteo ci ha regalato nevicate sopra i mille metri di quota, già ad inizio mese. L’ultima, l’altro ieri, ha lasciato altri venti centimetri di neve fresca anche a bassa quota. Sono le 6.51 quando aggancio il pedale della mia AliMat, per l’occasione gommata 650bx40 con battistrada tassellato (Conti TerraSpeed e TerraTrail). L’obiettivo di giornata è quello di dirigermi il più velocemente possibile a Gargnano, salire al lago di Valvestino per pedalare nella neve. Da lì vedrò se riuscirò a realizzare uno dei miei sogni ciclistici. Il cielo è ancora scuro, appena uscito di città la temperatura crolla a -2°C, oltrepassato Rezzato mi immetto nella “Gavardina”, la ciclovia che conduce a Salò fiancheggiando il naviglio grande bresciano. I miei due potenti fanali anteriori illuminano a giorno la strada davanti a me, la brina depositata sulle foglie riflette la luce e conferma le mie sensazioni di gelo.

Alle porte del paese di Prevalle mi fermo per un paio di fotografie atte ad immortalare il passaggio dal crepuscolo all’alba.

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Riparto, oltrepasso lo svincolo dei Tormini dall’alto del ponte della vecchia tramvia e procedo seguendo i cartelli ciclabili per Salò. Per la prima volta decido di seguirli e percorro un breve tratto di sterrato che scende direttamente nella frazione di Volciano. Rientro sulla ss45bis, oltrepasso l’abitato di Salò e mi dirigo verso Gardone Riviera. Il cielo è terso ed il sole, anche se ancora basso, inizia ad irradiare calore. Sono le 8.30 e decido di approfittare della splendida luce per fermarmi sul lungolago di Barbarano/Gardone per alcune fotografie, per mangiare una barretta e per riscaldarmi al riverbero del lago.

Riparto verso Gargnano, a Maderno decido di percorrere tutta la ciclabile che costeggia il lago seguendo il delta del torrente Toscolano.

Proseguo, solita deviazione a Villa di Gargnano per il suo spettacolare porticciolo e finalmente inizio la salita del Navazzo, che mi porterà all’imbocco della Valvestino. Sono da poco passate le nove del mattino, la temperatura è già risalita a 6°C e soprattutto il sole scalda che è una meraviglia! Già a metà salita a bordo strada nei punti meno soleggiati fa capolino qualche traccia di neve, cosa inusuale in quanto la neve tende subito a sciogliersi in prossimità del lago. Il Garda, essendo un enorme bacino d’acqua dolce, è noto per avere un clima particolarmente temperato ed assimilabile a quello mediterraneo. Infatti sui pendii delle coste bresciane, esposte al sole fino dall’alba, si coltivano ulivi e con qualche accorgimento, un tempo, si riusciva a coltivare anche limoni ed altri agrumi, attività ormai non più remunerativa. Io tolgo il gilet, abbasso completamente la cerniera del giubbino e tolgo i guanti. Desidero espellere più sudore possibile per non trovarmi bagnato quando entrerò in Valvestino. Mi godo la salita, il paesaggio ed il caldo sole. Tra poco mi aspettano la neve ed il gelo.

Giungo nella piana antistante il borgo di Navazzo, mi fermo per una rapida sosta: fotografie, barrette e vestizione, la neve è ormai una presenza costante a bordo strada.

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Riparto, attraverso il centro abitato, svolto verso occidente, ultimi raggi di sole mentre entro nella valle, il monte Pizzoccolo sta per oscurare il sole che basso all’orizzonte in inverno non riesce a superarlo.

Ancora un paio di chilometri, la strada piega nuovamente verso destra e volge a nord, il sole non c’è più, l’asfalto si imbianca repentinamente, i mezzi spazzaneve hanno già pulito il grosso, ma non completamente. Altre volte ho percorso queste strade in inverno (Valvestino tra i ghiacci!), ma mai avevo trovato l’asfalto così già all’imbocco della valle.

La temperatura è scesa a -2°C, la neve caduta i giorni scorsi mi circonda rendendo il paesaggio fiabesco. Giungo al ponticello posto prima della breve risalita alla diga, il paesaggio è maestosamente glaciale. Innesto il rapporto più agile 34×34, l’asfalto sembra ghiacciato e mi preparo a slittare a causa della salita, aumento dolcemente la cadenza ed inizio a salire. Sono solo cinquecento metri, ma con pendenza 8%, lo pneumatico tiene bene e la AliMat procede senza tentennamenti. Primo test superato! Dopo la diga, la strada prosegue per circa cinque chilometri affiancata al lago che resta per lo più in ombra. Sul primo lungo ponte non posso che fermare la bicicletta ed effettuare una ripresa a 360° per testimoniare il fascino spettacolare delle montagne innevate.

Riparto, sono al settimo cielo, speravo di poter pedalare circondato dalla neve, ma non mi aspettavo di farlo sulla neve! Soprattutto non da così in basso mentre sto ancora costeggiando il lago. I pensieri scorrono veloci, all’entusiasmo si alterna il timore per le salite che mi aspettano. Inizio a pensare a quale strada sia meglio percorrere una volta giunto al Molino di Bollone: la più sicura salita diretta per Capovalle, soleggiata e sicuramente con asfalto facile ed ascitutto o la vera salita di Valvestino attraverso i borghi di Turano, Persone, Moerna, quasi tutta all’ombra, ma indubbiamente più ghiacciata e spettacolare. Sono le 10.30 quando arrivo al bivio, ragiono sulle diverse tempistiche di percorrenza e credo di poter affrontare la salita da Turano senza incidere troppo sull’orario di arrivo a casa. Tengo la destra sulla strada principale e mi dirigo verso quello che io chiamo “The frozen place” un meraviglioso stagno naturale formato dal torrente ad un chilometro dall’abitato Turano. Un luogo fresco e rigoglioso in estate e gelido in inverno. È qui che due inverni fa vidi la temperatura più bassa sul mio gps -9°C.

Con sorpresa la temperatura non scende e resta a -2°C, ma il fascino di ” Frozen place”e della strada completamente imbiancata da un sottile strato di neve mi costringono alla solita fermata fotografica.

Riparto, al bivio per Magasa e cima Rest per alcune centinaia di metri ricompare il sole che mi riscalda un poco e dona nuovi colori alle montagne innevate.

Da qui inizia la parte più complicata del mio giro, quella che più mi preoccupa e di cui stamattina alla partenza dubitavo di più. La strada ora sale per poco meno di tre chilometri con pendenza media vicino a 10% e con un paio di strappi a 14%. In queste condizioni di asfalto semi-innevato il dubbio sulla possibilità di salire in sella senza scivolare e slittare è più che lecito. In compenso il paesaggio si fa sempre più suggestivo ed incantato, ora anche i rami degli alberi sono carichi di neve ed aumentano la sensazione di trovarsi in una favola di Walt Disney. La AliMat sale, io cerco di sentire ogni piccola vibrazione, pedalo come se fossi su un tappeto di uova, e tutto procede al meglio.

I Continental Terra mi stanno dando un grande feeling, 40mm di battistrada gonfiati a 2 bar che si schiacciano ed impaccano sulla neve, io procedo senza esitazioni e mi godo lo spettacolo, l’aria che respiro è fredda ed umida, la sento, ma non mi da fastidio, non sento neanche il gelo, quasi non percepisco neanche la fatica da tanta adrenalina ho in corpo. Ogni tanto, dai rami, casca qualche mucchietto di neve, un paio si spiattellano sul mio casco e sul mio giubbino in Event scivolando via. Io gongolo, quando si indossano i materiali giusti e si pedala con l’attrezzatura giusta (gomme tassellate e freni a disco) anche strade insidiose come queste diventano percorribili in sicurezza. Nonostante tutto non abbasso mai la guardia, l’attenzione è sempre al massimo, basta poco per trasformare una splendida giornata in un brutto ricordo. Arrivo a Persone, borgo dai sapori antichi.

Lo oltrepasso e dirigo verso Moerna, la strada torna al sole, sono ormai oltre quota 800mt. e la vista si apre sui monti Tombea e Caplone, sui fienili di Rest e sotto di me sulla valle appena attraversata. Inizio ad avere fame, decido di oltrepassare il borgo di Moerna e di fermarmi, come altre volte, sul rettilineo di uscita per una sosta fotografica ed un breve spuntino.

Guardo l’orologio sono le 11.30, solo ora capisco di aver sbagliato clamorosamente la previsione del tempo di percorrenza, anzi non mi capacito di come abbia potuto commettere un errore così grossolano, ma si sa è il subconscio che ci guida ed il mio voleva che oggi pedalssi nella neve. Mando un messaggio a casa per segnalare che non arriverò prima delle 14.00 e riparto in direzione della vecchia dogana austro-ungarica, punto più alto del giro odierno a quasi 1.000m di altitudine.

Entro in Capovalle, mi fermo alla fontana a riempire la borraccia e lesto riparto in salita, ancora cinquecento metri e sarò a passo San Rocco da dove inizierà la lunga discesa verso il lago d’Idro, poco più di otto chilometri.

So che la discesa sarà per lo più in ombra, ma non sono particolarmente preoccupato per le condizioni dell’asfalto. Questa è l’arteria principale di comunicazione ed è solitamente tenuta molto ben pulita anche a ridosso di forti nevicate. Infatti, nonostante l’ombra, la sede stradale è completamente sgombra da neve, credo che ci sia sull’asfalto tanto sale da rendere impossibile la formazione di ghiaccio anche a -10°C!

Già dal primo tornante capisco che anche la discesa sarà spettacolare e di rara bellezza. Una lingua di asfalto nera che si snoda sinuosa come un serpente circondata dal bianco candore della neve che tutto ricopre, rami, alberi, prati, monti, tetti. Mentre scendo sento il freddo farsi pungente nonostante la velocità sia sempre molto controllata, sempre al di sotto dei 40 km/h. In effetti il gps segna -4°C, arrivo al ponte sul rio Vantone, la leggera salita seguente mi consente di riscaldarmi prima di entrare nella galleria che conduce agli ultimi tornanti con vista sul lago d’Idro. Ovviamente “uscito dal tunnel” non posso che fermarmi ad immortalare lo spettacolo della piana di Idro ancora imbiancata.

Ora la strada torna al sole, la temperatura risale, l’asfalto è asciutto ed io posso lasciar correre AliMat e superare finalmente i 50km/h. Entro in paese, arrivo sul lungolago, un folto gruppo di anatre sta camminando nel prato adiacente al lago ed io mi sento obbligato a fotografarle mentre zampettano nella neve.

Un’altra barretta e riparto, sono così in ritardo che oggi non mi posso concedere più nessuna delle mie solite deviazioni anti-traffico. Peraltro l’ora di pranzo aiuta ad avere meno veicoli sulle strade. Oltrepasso in rapida successione Lavenone, Vestone, Nozza e Barghe, la neve continua, comunque, a fare da cornice anche se non in presenza così massiccia come in Valvestino. Evito anche la salita di Preseglie e mi dirigo a Sabbio Chiese, salirò dalla strada del bosco, sicuramente l’itinerario più veloce per arrivare alle Coste. Inoltre la scarsamente trafficata strada del bosco con la neve non l’ho mai fatta. Alle 13.10 sono sul lungo rettilineo per le Coste in uscita dal comune di Odolo. Risalgo il “Groppo” sono un po’ stanco, cerco di tenere un discreto passo, bevo un energetico ed un sorso d’acqua. Dopo il “Groppo” il sole sparisce, è già nella sua fase calante e la maggior parte della salita al colle di Sant’Eusebio è ritornata all’ombra. La temperatura ritorna vicino allo zero ed il paesaggio simile a quello di Valvestino. Stamattina sarebbe bastato salire qui, a pochi chilometri dalla città, per immergersi nel fascino della neve.

Ad un chilometro dalla vetta la suggestiva vista della valle di Vallio Terme con sullo sfondo una piccola porzione del lago di Garda cattura il mio sguardo, immediata la sosta con fotografia didascalica.

Scollino, sono le 13.30, mi getto in discesa, ancora l’ombra, l’aria è nuovamente gelida, guardo il gps, all’altezza della val Bertone sono sceso a -2°C. Fortunatamente a Caino torna il sole, spingo anche in discesa, oltrepasso Nave, continuo a spingere per quel che ne ho. Sono le 14.04 quando apro il portone di casa. 140Km, 2.500m di dislivello a 22km/h e 2°C di temperatura media (-4°C / +10°C). Questi sono i numeri, ma non dicono nulla sulle intense emozioni vissute nella neve e nel ghiaccio della Valvestino. Soprattutto non rendono l’idea di un sogno che si avvera: partire da casa, costeggiare il mio lago in una splendida giornata invernale di cielo terso, guardarlo dall’alto, infilarmi nell’innevata Valvestino, pedalare sulla neve per 30km, giungere al lago d’Idro imbiancato a festa e ritornare in città attraverso le Coste anche loro innevate. La giornata Perfetta!

Valvestino innevata

Dettagli su Strava: Cicloturisti!@ Valvestino innevata ❄️❄️❄️🏔️

Videogallery: Video integrale 7’42” (guardatelo, i paesaggi meritano davvero)

Photogallery:

Coppa Asteria 2019

Sabato 1 giugno 2019, è giornata di Coppa Asteria, dall’articolo II del regolamento: “Coppa Asteria è una coincidenza ciclistica per salitomani, sadici di salite e gente messa mediamente male dalla vita.” organizzata da “La Popolare Ciclistica” in quel di Bergamo. Una manifestazione facente parte del “Trittico” assieme al “Martesana van Vlaanderen” e alla “Muretti Madness”. Oggi è anche il D-Day il giorno in cui finalmente le mie ruote incontreranno quelle del “Randonneur sciopà” Matteo. Incuriosito dallo stile ironico del suo blog in cui racconta il suo peregrinare in bicicletta, ho iniziato a seguirlo sui social ed in breve siamo diventati amici virtuali. Ora, dopo due anni, riusciamo a partecipare ad un evento insieme. Matteo indosserà il completo Mapei da ciclo-nonno (con il quale porterà a termine il Trittico), io la nostra meravigliosa maglia Cicloturisti! Impossibile non vederci. Infatti, appena entro nel parco Edonè, sede dell’evento, vedo Matteo già in coda per la consegna della liberatoria. Corro a salutarlo, ho una sorpresa per lui. Dopo la stretta di mano estraggo dalla tasca posteriore il cap dei Cicloturisti! dicendo: “Questo è per te, so che hai dei dubbi sulla tua partecipazione (qualificazione già fatta) alla Paris-Brest-Paris, ma se andrai, indossalo!” Matteo è sinceramente sorpreso, chissà forse questo berrettino sarà di sprono per quest’ulteriore avventura.

 

Mi metto in coda anch’io, scorgo anche la sagoma di Claudio, uno dei tre bergamaschi con cui avevo condiviso buona parte del BresciaGravel. Sbrigate le procedure burocratiche, firmato il tabellone come quelli veri e attaccato il Garibaldi sulla canna della bicicletta, sono pronto per partire.

 

Con Claudio c’è anche Diego, lì per lì ci guardiamo sapendo entrambi di esserci già conosciuti. Certo! Alla Gravel sul Serio dell’amico Simone dove abbiamo bevuto una birra a fine gita. Io, Claudio e Diego decidiamo di partire, ma non prima di aver bevuto un caffè. Incrocio Matteo con i suoi amici, vuole sapere che fine farà la Lynskey, a lui svelo il segreto. Claudio e Diego mi portano il caffè (a proposito grazie! Nella concitazione della partenza credo di non avervelo detto) e partiamo. Sono quasi le nove del mattino, al primo semaforo rosso ci voltiamo e vediamo che sta sopraggiungendo un folto gruppo capeggiato da alcuni membri della nefasta “Popolare”. Ripartiamo, saremo almeno in sessanta, (dati ufficiali danno per 300 i partenti).

Sant'Alessandro - Coppa Asteria

Iniziamo la salita verso Bergamo Alta, saliamo dai ciottoli di via Sant’Alessandro ed entriamo da porta San Giacomo.

 

Erano anni che non salivo in città alta, in bicicletta è sicuramente più suggestivo. Io e Diego perdiamo di vista Claudio, scendiamo a ovest della città e tramite stradine e ciclabili ci dirigiamo verso la val Brembana, nella quale si svolgerà la quasi totalità del tracciato. A Villa d’Alme attraversiamo il fiume Brembo e ci spostiamo sulla riva di sinistra. Io e Diego intanto chiacchieriamo di biciclette e altro, siamo ancora in tanti, un lungo treno di biciclette. Ad Ubiale il primo vero strappo di questa coppa Asteria, solo un piccolo assaggio di quello che ci aspetterà. Un chilometro e mezzo di salita con un paio di strappi con pendenza in doppia cifra.

Ubiale - Coppa Asteria

Scendiamo nuovamente sulla provinciale, oltrepassiamo Zogno. Guardo il Gps sono quasi due ore di pedalata, interrogo Diego: “Fame no?” Sì, anche per lui è giunto il momento di sgranocchiare qualcosa, alla prima panchina in ombra sulla ciclabile ci fermiamo.

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Mentre ci rifocilliamo, vedo il completo Mapei avvicinarsi, è Matteo con i suoi, mi saluta e prosegue. Ripartiamo, attraversiamo San Pellegrino Terme. Vedere lo splendore ed i fasti dei primi anni del ‘900 nelle bellissime costruzioni liberty fa sempre piacere, ma mette anche un po’ di nostalgia per i fasti ormai passati.

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Ci siamo! La coppa Asteria entra nel vivo, inizia la prima vera salita che condurrà in località Alino. Sono 3km alla media di 11%, Diego mi abbandona subito consigliandomi di mantenere il mio passo, ci rivedremo in vetta.

Alino - Coppa Asteria

La strada parte subito cattiva, pendenza attorno a 15%, dopo alcune centinaia di metri su un tornante stretto che sembra più un cavatappi, il mio Xplova segna 18%, si prosegue così, dopo un chilometro di salita due tornanti sopra di me intravedo la maglia del ciclononno Mapei. Ecccolo! Sto per raggiungere Matteo. Gli arrivo alle spalle di soppiatto ed urlo nel mio Gps/videocamera suscitando l’ilarità di tutto il gruppo.

 

Proseguo la salita con loro, assieme a Matteo c’è un altro Matteo (Garofalo) e Davide. In vetta, al ristoro idrico, ritrovo Claudio. Una menzione la meritano anche quegli sciagurati della “Popolare” che riempiono pistole d’acqua fanciullesche con vino bianco o rosso per poterci meglio circuire. Comunque, chi voleva, poteva usufruire anche di una fresca fontanella del sindaco. La sosta è lunga, si scherza e si ride, arriva anche Diego, una bella ”revolverata” rossa anche per lui e si riparte.

 

Che giornata! Il cielo è terso, la valle verde e lussureggiante, la compagnia incredibile!

 

Finita la discesa siamo a San Giovanni Bianco, neanche il tempo di rifiatare e siamo nuovamente con la ruota impennata. Seconda erta di giornata, il Portiera, un versante poco conosciuto che porta a Dossena passando accanto alla vecchia miniera di ferro, luogo adibito a ristoro dall’organizzazione della Popolare.

Portiera - Coppa Asteria

Sono 5,15km con pendenza media 11%, a differenza della prima mancano i lunghi tratti al 18%, in compenso non si scende mai sotto 8% di pendenza. All’inizio dell’erta davanti a me Claudio, che aveva preso qualche centinaio di metri di vantaggio nell’attraversamento del centro abitato. Anche per lui stesso servizio che per Matteo, attivo la mia videocamera ed urlo al mio ciclocomputer.

 

Saliamo, io e Matteo Ga. Facciamo meglio conoscenza, nel frattempo i chilometri passano ed entriamo nel bosco. Le video-riprese ed i luoghi incantevoli mi distraggono. Scatto istantanee in bianco e nero, ma non per far concorrenza a Claudio fotografo vero, bensì perché, da pirla, ho sfiorato lo schermo mettendo l’impostazione “monochrome”.

 

Prima della vetta mi ritrovo solo, Matteo Ga. è a qualche centinaio di metri. Inizia lo sterrato, è bello, poche centinaia di metri e mi ritrovo in un enorme spiazzo da cui si ha una splendida vista. Il ristoro è avanti trecento metri, fuori traccia, di fronte alla miniera abbandonata. Il suono sgarbato di un megafono della “Popolare” annuncia l’arrivo al convivio.

 

Un gigantesco paiolo gira la polenta taragna e di fronte numerose griglie cuociono salamelle a volontà. Ci sono 32°C, è circa l’una del pomeriggio ed il sole di giugno finalmente scotta come è giusto che sia. Le condizioni climatiche ideali per questo tipo di integrazione! Comunque poco più avanti ci sono anche albicocche, arance a spicchi e dolci a volontà. Per il bere oltre l’immancabile vino, scopro che “La Popolare” ha un debole per il Cynar che viene offerto a tutti come ottimo digestivo ed integratore. Scatto qualche fotografia ed aspetto l’arrivo dei miei compagni di viaggio.

 

Sosta lunga, arrivano tutti per ultimo Diego che pare già stravolto, da uomo della bassa bresciana ha qualche difficoltà ad allenarsi in salita durante la settimana. Carpisco un suggerimento ad un ragazzo della Popolare e quando decidiamo di partire, bici a spalla, percorriamo un sentiero di una cinquantina di metri che ci porta direttamente sulla traccia senza tornare indietro.

 

Attraversiamo Dossena e iniziamo la discesa, bellissima anche questa, il percorso è proprio di quelli del Mog, su e giù per montagne stupende. Arrivati a San Giovanni Bianco, attraversiamo il vecchio ponte di pietra, qui scatta il temutissimo “momento selfie”.

 

Si riparte, c’è poco da scherzare, quegli infami della Popolare hanno preparato per noi una terza terribile salita, il o la Pianca, ancora 5,55km di erta oltre il 9% di media.

Pianca - Coppa Asteria

Siamo io, i due Matteo e Davide, si ride ancora sulle prime rampe. Matteo mi fa vedere la sua arma segreta.

 

Avvicina il viso al suo Garmin e dice: “Garmin aggiungi 200w di potenza”, accelera, ci stacca di una decina di metri e urla nuovamente: “Garmin stop potenza aggiunta.”, rallenta e ci aspetta. Prosegue così per un chilometro parlando al suo Garmin per prendermi in giro. In realtà, non aveva capito che io devo avvicinarmi ad Xplova quando faccio le riprese perché altrimenti X5evo registra solo il rumore dell’asfalto avendo il microfono posizionato sul retro protetto dalle piogge. In località Capatelli un lungo rettilineo sopra il 15% mi fa ricordare Malga Ciapela, certo lo scenario è diverso, ma la fatica simile. Mi alzo sui pedali e proseguo, anche nelle precedenti salite mi sono alzato di frequente sui pedali e per lunghi tratti per non affaticare troppo la spina dorsale. Ora tutto ciò lo pago. Ad un chilometro dalla cima, l’ennesima pedalata fuori sella, attiva la contrazione di entrambi i quadricipiti, sicuramente anche il primo caldo ha fatto la sua parte. Sta di fatto che sono decisamente a rischio crampi, mi risiedo, mi concentro su una pedalata regolare, arrivo a Brembella, dove il drone della “Popolare” mi attende per le riprese.

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Una freschissima fontana raccoglie attorno a se una ventina di ciclisti “Asteriani”. Mi fermo anch’io bevo, riempio le borracce, scatto qualche fotografia alla valle.

 

Arriva Matteo Gr. mi dice che aspetta gli altri e che, se ho più gamba, faccio meglio a proseguire, ci rivedremo all’arrivo. Gli confesso che ho avuto un inizio di crampi e che preferisco muovermi subito per sciogliere le gambe in discesa. Con calma ritorno a San Giovanni, ora non mi resta che ripercorrere tutta la valle in discesa seguendo la bellissima ciclovia della val Brembana realizzata sul percorso della vecchia ferrovia. Ci sono ancora due piccole asperità da superare. La prima nei dintorni di Zogno porta nella frazione di Stabello. Poco prima di iniziare la salita, mi passa un ragazzo di origini meridionali, ma che, per lavoro, ha vissuto sette anni a Bergamo, conosce un poco la zona e mi descrive il percorso che ci ricondurrà in città. Mi confida anche che non ne può più di salite e che andrà dritto al pasta party senza affrontare per la seconda volta l’erta di città alta. Procediamo insieme, a Clanezzo scendiamo dalla provinciale per attraversare il fiume Brembo sul “Put che bala” (ponte che balla). Ovviamente scatta il “momento selfie”.

 

Mentre risaliamo i gradini dalla parte opposta dell’argine ci raggiunge anche un gruppetto di bikers. Insieme proseguiamo verso Bergamo, entriamo nel Parco dei Colli di Bergamo e tramite delle bellissime ciclabili iniziamo a risalire verso Città alta, attraverso quella che sul mio Garibaldi è segnata come salita di Ramera.

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Sfortunatamente X5evo ha raggiunto il fine corsa della batteria ed io, da pirla, stamattina ho dimenticato il powerbank per i giri lunghi a casa. Non mi perdo d’animo e seguo le orme di chi mi supera, arrivo in città alta. Inizio a scendere, ma mi ero auto-convinto che prima di tornare all’Edonè avrei dovuto attraversare un’altra porta e che doveva essere in cima, così svolto a destra credo in via Sottoripa e risalgo a San Vigilio, ritrovandomi al punto di prima. Estraggo il telefono per impostare su maps un itinerario per l’arrivo. Proprio in quel momento sento urlare da dietro: “Garmin abbiamo ripreso Marco!” ed ancora “Garmin abbiamo superato Marco!” Mi fiondo all’inseguimento e spiego ai tre che sono rimasto senza traccia. Scendiamo insieme verso Bergamo bassa e ci dirigiamo all’arrivo felici e goliardici più che mai. Ultima foto di rito con il mio nuovo amico, non più virtuale.

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Purtroppo, per me, è tardissimo devo tristemente rinunciare al pasta party e rientrare subito a Brescia dove mi attende la mia famiglia e quella di mia sorella venuta da Venezia. Claudio e Diego? Li stanno ancora cercando in mezzo al Parco delle Colline, ma non li troveranno mai, hanno tagliato l’ultima salita, sembra che almeno uno dei due non ne potesse più.

Grazie Claudio, Davide, Diego, Matteo Ga, ma soprattutto Matteo nuovo amico non più virtuale! Purtroppo, grazie anche a “La Popolare” impeccabile in tutto!

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Dettagli tecnici su Strava: Coppa Asteria 2019

Videogallery: Coppa Asteria 2019 (3’12”)

Photogallery:

 

Passo Maniva tra neve e primule (versante Bagolino)

20 aprile 2019, quest’anno l’inverno è stato clemente con temperature poco rigide, ma soprattutto con scarsità di neve. Questo mi ha concesso di anticipare le tappe ed affrontare le salite prealpine già da fine febbraio. Ora, alla prima occasione utile, sono  pronto per un grande giro. Boom! Oggi è quel giorno! È sempre emozionante dopo la pausa invernale progettare la traccia del primo 3K (3.000m di dislivello). Sono le 5.43 quando la catena della bicicletta si tende sotto la spinta dei miei quadricipiti ed inizia a muovere la mia Lynskey. Il cielo è ancora buio, la direzione sempre quella, verso nord, verso le Alpi. Risalgo le Coste con la strada illuminata solo dal mio nuovo potente faro Trelock. A metà salita il cielo inizia a schiarire lasciando intravedere solo poche nuvole, segno che la giornata sarà limpida. Sul secondo tornante dopo l’abitato di Caino una sfolgorante e luminosa luna piena non si rassegna a calare ad ovest oltre l’orizzonte.

 

Ancora pochi chilometri e sarò in vetta. Il sole è sorto da pochissimo e non posso non immortalarmi con lui. Inizio la discesa, indosso anche la mantellina lunga sopra al gilet antivento, la temperatura è di 5°C, ma so già che scenderà ancora. Prima della piccola risalita di Preseglie mi ritrovo a 1°C, cerco di riscaldarmi un poco in salita. I nuovi guanti leggeri invernali GSG stanno facendo egregiamente il loro dovere. Decido di non togliere la mantellina e proseguo. Scollino, scendo a Barghe, risalgo la valle, Nozza, Vestone, Lavenone e, finalmente, Idro ed il suo lago. La temperatura non cambia, sempre al di sotto di 5°C. Mentre costeggio la sponda di ponente dell’Eridio, il sole si alza oltre il monte Stino, ora irraggia calore favorito dal cielo terso. Mi balena l’idea di fermarmi ad un bar per una colazione. L’unica altra volta che mi successe fu all’inizio del grande giro Dall’Eridio al Sebino e ritorno a tutt’oggi il mio dislivello maggiore durante una pedalata. Dal momento che ho imparato a capire le mie sensazioni, le assecondo e all’uscita del borgo di Anfo mi fermo al bar-trattoria “La Lanterna” posto al bivio della salita per il passo Baremone. “Un latte caldo, una brioche e un caffè lungo, per favore.” mi tolgo la mantellina, i guanti invernali, lì ripongo ordinati nella mia grande borsa sottosella e, con grande calma, mi gusto la mia seconda colazione. Esco dal bar, l’aria è ancora frizzante, il sole è già alto, riparto, mi sento decisamente meglio. Oggi non salirò dal Baremone, una delle mie ascese preferite, ma da Bagolino verso passo Maniva (1.626m). Giunto nei pressi della Rocca d’Anfo, complesso militare fortificato eretto nel secolo XV dalla Repubblica di Venezia, rifletto sul fatto di non averla mai fotografata, nonostante i ripetuti passaggi. ‘This is the day!’ mi fermo e le dedico uno shooting fotografico. Voglio mettere alla prova il mio nuovo Nokia 9 con cinque fotocamere Zeiss che scattano in simultanea su focali diverse. La forte luce del sole, le zone in ombra sotto le montagne, chiaroscuri complessi, vediamo come li saprà rendere.

 

Riparto, sono già felice così, ed il bello deve ancora iniziare. Arrivo a Sant’Antonio, bivio per Bagolino, alla rotonda tengo la sinistra ed affronto la prima parte di salita, quella che scollina all’inizio della valle del Caffaro. Pochi chilometri con pendenze dolci. I panorami verso le valli Giudicarie a nord e sull’Eridio a sud mi costringono ad altre fermate fotografiche.

 

Una volta scollinato si apre di fronte a me lo scenario della valle con la strada per il passo Crocedomini che fa da sfondo, purtroppo la vista spazia anche sulle pinete devastate dalla tempesta di ottobre/novembre. Gli alberi abbattuti a centinaia dalla furia del vento sembrano bastoncini pronti per giocare a Shangai. Riparto con un poco di malinconia.

 

Dopo il ponte sul torrente Caffaro la strada riprende a salire, un lungo rettilineo di quasi 4 km porta all’innesto con l’erta per il Maniva. Questa volta la pendenza è tutt’altro che facile. Tratti più agili al 5/6% si alternano a strappi in doppia cifra. Poco prima del bivio, una bellissima zona parco, dove siamo usi sostare, mi consente il reintegro idrico; già perché nonostante il freddo io sudo tanto e devo stare attento e continuare a bere per non incorrere in bruschi cali. Riparto ed inizio la vera grande scalata di giornata. Il Maniva da Bagolino non è uno scherzo, tant’è che assieme al Baremone, nel nostro gruppo, lo consideriamo la prima vera salita dell’estate.PassoManivaBagolino Quest’anno lo sto affrontando con un mese di anticipo! Si presenta così 10,7km 900m dislivello con pendenza media superiore a 8% ed un chilometro finale sempre sopra 10% con punta di 16%. Una salita lunga ed impegnativa in cui i tratti dove rifiatare bisogna inventarseli perché non ci sono, eccezion fatta per due brevissimi finti falsipiani (si passa dal 10% al 4%). A suo favore, oltre il fascino della salita alpina da grimpeur su una stretta strada di montagna, l’incredibile e vario paesaggio che la circonda. Oggi, sotto questo aspetto, è “la giornata perfetta”: la primavera è già arrivata ed i pascoli che si alternano alla pineta sono traboccanti di fiori (premere HD in basso a destra per vedere il video in alta definizione)

 

La brusca corrente fredda di lunedì ha portato più neve che tutto l’inverno e le montagne sopra i 1.500m sono completamente bianche. Il cielo è blu cobalto, l’aria frizzante rende l’orizzonte trasparente e lo sguardo salendo spazia anche a chilometri di distanza lungo la dorsale dei ghiacciai alpini. Io salgo, né troppo piano, né troppo forte, voglio godermelo questo spettacolare paesaggio a cavallo tra primavera ed inverno.

 

Più volte sfoderò il mio telefono per fotografare “in movimento”, anche il mio Gps Xplova X5 e costretto agli straordinari con il mio pollice che freneticamente lo accende e spegne per dei microfilmati.

 

 

Così facendo arrivo agli ultimi 3km quasi senza accorgermi (non è vero, ma fa “bello” scrivere così). Qui iniziano le piste da sci, la neve inizia a comparire a grandi macchie nei prati ed anche a bordo asfalto nei luoghi in ombra. Sono questi i chilometri più impegnativi, sulla montagna ormai scoperta dal bosco il vento soffia forte e infastidisce la scalata che, dal canto suo, ora non scende più sotto a 10% di pendenza. A mitigare il tutto l’incredibile scenario ormai aperto a 180°.

 

Ci siamo, l’ultimo lungo drittone, pare quasi che il geometra che ha progettato la strada vedendo il passo così vicino (ma la montagna inganna) abbia dimenticato che un paio di tornanti in più avrebbero reso l’ascesa più agevole. Di fronte a me, subito a sinistra del valico, si erge maestoso il Dosso Alto, oggi sarà lui il protagonista del mio shooting fotografico.

 

Io innesto il rapporto più leggero e mi alzo sui pedali, il sole scalda, ma la temperatura quassù è ancora fresca 10/12°C.

 

Sono al passo, scendo dalla bicicletta, giro un poco attorno, a nord la valle del Caffaro e le vette alpine, a sud la val Trompia con il monte Guglielmo nuovamente imbiancato dalla neve. Scatto numerose fotografie in tutte le direzioni, mangio qualcosa, chiudo lo smanicato e rimetto i guanti lunghi per la discesa.

 

Guardo l’ora sono le 10.45, oggi ho chiesto più tempo alla famiglia per il mio giro e non ho l’assillo del tempo. Inizio a scendere, alcuni tratti sono stati riasfaltati di recente, tutto sommato la discesa è in discrete condizioni.

 

Arrivo a San Colombano prima frazione abitata ai piedi del Maniva. Proseguo, la strada è ancora in discesa, ma con una giornata così tersa, il vento termico che risale la valle non può che essere ai suoi massimi. A Bovegno, come ormai mi capita spesso da quando ho riscoperto la Vaghezza, svolto a sinistra e inizio la seconda lunga salita di giornata. Questa stradina comunale porta prima alla frazione di Zigole e poi di Magno entrambi piccoli centri rurali dove il tempo sembra essersi fermato al secolo scorso. La salita è incostante, ma mi accoglie subito con pendenza in doppia cifra lungo l’abitato. In 4 km circa si arriva al comune di Irma, dove in una piccola piazzetta con un fontanone circolare decido di effettuare la mia sosta pranzo. Sono solo le 11.45, ma per me che pedalo da prima delle 6.00 è il momento giusto. Tolgo i gambali e li ripongo assieme ai guanti lunghi nella mia borsa. Ripongo il casco ed il berretto sulla panchina e mi do una sciacquata anche al viso. Mi siedo e mangio due barrette ed un ciucciotto al caffè. Mi ricompongo e riparto. Dopo una brevissima e ripida discesa oltrepasso il torrente Tesolo, che qui forma delle graziose cascatelle e riprendo a salire.VaghezzaDaZigole Ora non si scherza più, per arrivare in vetta ai piani di Vaghezza mancano 6,3 km, la pendenza è spesso in doppia cifra, soprattutto i primi due chilometri che mi aspettano presentano un lungo rettilineo costantemente attorno al 14%. Io salgo corroborato dal pranzo, ma stanco per le ore già passate in sella. Dopo un paio di chilometri sono al bivio di Dosso di Marmentino, potrei semplicemente tenere la strada principale e scendere subito a Tavernole, ma mi perderei lo spettacolo a 360° del punto panoramico sopra lo skilift abbandonato. Quindi proseguo, non curante della fatica, guardandomi attorno mentre guadagno quota ed attraverso un’altra magnifica pineta profumata.

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Arrivo all’ingresso dei piani, la pendenza si fa dolce, un chilometro abbondante di falso piano e sono pronto per l’ultima erta cementata di giornata che mi porta ai 1.200m della cima. Sono poco più di 500m con una punta massima di 14%. Sono nuovamente in mezzo al cielo, ma stavolta la vista può spaziare veramente a 360°, dal monte Guglielmo fino all’opposto monte Baldo che fa capolino sopra i tetti di una cascina. Che meraviglia! I piani di Vaghezza mi hanno conquistato un anno fa ed oggi riescono ancora una volta a stupirmi.

 

Dopo aver mangiato qualcosa riparto, ora sarà tutta discesa fino a casa. Prima lungo i bellissimi tornanti che mi conducono fino a Tavernole, poi lungo la noiosa e trafficata bassa val Trompia. Al solito dopo Ponte Zanano svolto a destra in direzione della frazione di Noboli e scendo la valle lungo strade laterali che attraversano le frazioni di Cailina e San Vigilio. Qui mi tuffo sulla ciclabile del Mella che mi conduce fin quasi sull’uscio di casa senza dovermi preoccupare del traffico veicolare. Quando giungo a destinazione sono da poco passate le 14.00, ho percorso 145km e 3.177m di dislivello portando a casa il primo 3K dell’anno in un giorno che può soltanto essere definito come la “Giornata Perfetta!”

Grazie meteo pazzerello che ci hai donato neve sui fiori primaverili!

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Piani di Vaghezza ed il disastrato bosco di Bongi

È sabato 17 novembre, mi alzo con propositi piuttosto bellicosi. Ad eccezione di un giro da 80km, è dalla BresciaGravel di metà settembre che, per svariati motivi, non riesco a realizzare un bel lungo. Le previsioni danno, per oggi, una bella giornata soleggiata e fresca; proprio quella che serve a me. Appena alzato guardo fuori dalla finestra della cucina in direzione val Trompia, vedo nuvoloni scuri muoversi nel cielo prima dell’alba. Mi sposto in soggiorno guardo verso il monte Maddalena e lì il cielo è molto più libero, nuvoloni bianchi stanno diradandosi per lasciar spazio al sorgere del sole. La temperatura esterna è di 5°C, opto per salire verso le Coste, da lassù capirò quale ispirazione scegliere. Sono le 7.32 quando inizio a pedalare, il mio gps conferma la temperatura del termometro sul davanzale. Faccio girare veloce le gambe per produrre calore e far andare i muscoli in temperatura il prima possibile. Mentre risalgo la valle del torrente Garza controllo le nuvole in ogni direzione per capire quale sia l’itinerario migliore. Dopo un’ora esatta sono al valico e decido di scendere ad Odolo per poi proseguire in costa nella Conca d’oro attraversando Agnosine e Bione. In fondo alla discesa mi aspetta il temibile Groppo. Questa volta non per la pendenza, ma per la temperatura! In questo angolo di strada, perennemente all’ombra nei mesi invernali, si gela. La velocità della discesa unita al freddo intenso creano sempre qualche problemino a mani e piedi. Fortunatamente, subito dopo, inizio a risalire e ritorno velocemente in vista del sole che mi intiempidisce un poco. Le salite fino ad ora sono sempre state dolci e mi hanno consentito di scaldarmi senza sudare troppo. Il sudore in inverno è il mio nemico principale! Quando sei bagnato anche la più breve discesa diventa una ghiacciaia. Oltrepassato Bione devo salire al valico della Madonna della Neve per poter arrivare nella valle di Casto. La salita è breve, poco meno di un chilometro, ma la pendenza è costantemente sopra il 10% con due “strappetti” al 15%.Muro della MadonnaNeveIo la affronto con calma per sudare il meno possibile.

Arrivato in vetta inizio la ripida discesa del versante nord, completamente in ombra, subito il vento freddo si fa sentire. La temperatura scende a 3°C, fortunatamente al primo tornante c’è un punto panoramico ed oggi merita una sosta fotografica che divide in due la discesa.

Il cielo  diviene sempre più terso, ora dopo ora, e questo mi conforta. Il giro ora è chiaro nella mia mente. Da Casto risalgo a Mura, altra salita dolce di 6,6km con pendenza media 4%. L’idea è di percorrere la strada che da Mura porta al lago artificiale di Bongi attraverso un bellissimo bosco. Due settimane fa la terribile tempesta che si è abbattuta sul nord Italia ha lasciato i suoi segni anche qui. Alcuni grossi alberi sono caduti sulla provinciale che è stata chiusa al traffico. Spero che a distanza di quindici giorni perlomeno il passaggio in bici non sia precluso. Prima di uscire dal borgo, inizio a vedere i cartelli gialli che preannunciano la chiusura della strada in direzione Pertica Alta. Io proseguo, confido che, in un modo o nell’altro, sulla due ruote si riesca a passare.

Prima di giungere al valico, all’inizio del bosco, vedo alcuni grossi tronchi adagiati in modo composto sul fianco della strada. Oggi è sabato ed i lavori di pulizia della pineta sono sospesi, fortunatamente la strada è già stata ripulita. Dentro di me penso che, tutto sommato, il danno al bosco è molto contenuto, forse dieci o venti alberi in tutto. Passato il valico inizia la discesa verso Bongi, anche questa sul versante nord, freddo e umido. Lo scenario cambia subito ed ahimè in peggio. Ad ogni venatura della montagna cumuli di tronchi e rami si accatastano sui ponticelli della strada, decine di alberi sono piegati con le radici parzialmente esposte all’aria.

A metà discesa il sole di fronte a me fa capolino tra i rami spogli creando giochi di colore fantastici sul tappeto di foglie che ricopre il manto bituminoso stradale. Non posso che fermarmi per il primo shooting fotografico. La temperatura è scesa nuovamente a 2°C, ma questi paesaggi meravigliosi e la pace del luogo mi scaldano il cuore.

Riparto, alcune centinaia di metri e sono in vista del lago. Sotto di me, attraverso i rami spogli degli alberi, illuminato dal sole, sta il lago di Bongi con tutte le gradazioni del blu e con la montagna prospiciente riflessa splendidamente dalle sue acque ferme. Alzo lo sguardo verso la montagna e vedo l’eccidio di alberi provocato dalla tempesta. Non dieci, non cento, ma forse migliaia di alberi abbattuti dalla furia di Eolo.

Un panorama struggente quanto affascinante che ci ricorda, ancora una volta, che chi comanda è lei, Madre Natura, e noi siamo solamente suoi ospiti. Inevitabile una sequenza di fotografie ad immortalare questa strage di alberi.

Un gruppo di tre ciclisti sta scendendo da un sentiero verso il lago per poi risalire e venire verso di me. Utilizzano delle splendide “gravel” con borse da viaggio: chissà quale interessante percorso stanno facendo. Ci salutiamo con simpatia. Prima di partire un cartello cattura la mia attenzione e porta nuovamente il sorriso sulle mie labbra. In primavera dal lago centinaia di piccoli rospi partono per invadere tutto il territorio del bosco. Purtroppo, quando noi passiamo in bici la mattina, ne vediamo tanti spappolati a terra.

Il  comune ha così deciso di sensibilizzare tutti i conducenti di veicoli con quest’inusuale cartello. Giungo al termine della discesa e ritorno al sole imboccando la salita verso la frazione di Lavino. Tra lunghe soste fotografiche e discesa mi sono completamente raffreddato, la temperatura ha raggiunto il minimo di giornata a 1°C. Ora ripartire è un poco più complicato, il sole però mi aiuta. Dal lago fino ai 954m del passo del Termine ci sono quasi 6km di salita, intramezzati da due brevi discese di 250m e 500m rispettivamente.PassoTermineDaBongi Nei primi due chilometri la pendenza si attesta tra 8% e 10%, poco dopo il primo chilometro il muro di sostegno di una vecchia cascina è stato di recente dipinto con le figure di un gruppo di ciclisti, impossibile non fermarsi a fotografarlo.

Riparto, dopo le due corte discese, la strada ritorna a salire con pendenza 8%. Arrivo all’innesto con la provinciale per il passo Termine e giro a sinistra, un ultimo rettilineo di un chilometro mi separa dalla vetta, la pendenza torna in doppia cifra (11%). Scollino, senza indugio inizio a scendere, anche qui il bosco che mi sovrasta ha subito danni. Arrivo nella frazione Dosso di Marmentino devio a destra verso Vaghezza. Sì la meta finale di oggi sono loro, i piani di Vaghezza ad oltre 1.200m di altitudine. Li ho riscoperti solo questa primavera. Vi ero salito un’unica volta ormai quindici anni fa. Ricordo poco di quel giro, se non che era una giornata grigia e umida. Una volta giunto nel piazzale alla base dei piani, mi ero guardato intorno e non avendo notato nulla di interessante, causa anche il tempo bigio, me ne ero tornato indietro. Errori di gioventù, non ero ancora soprannominato Mog (master of Gps).

Al contrario, a maggio di quest’anno, in una splendida e fresca mattina una volta giunto nel piazzale ho fiutato che avrei dovuto salire ancora lungo le carrozzabili delle cascine per arrivare ai panorami fiabeschi. Da allora quella di oggi è la quinta scalata a Vaghezza, ma oggi con un clima quasi invernale, il fascino è sicuramente differente. Inizio la salita, da Dosso non è per nulla lunga, i piani distano poco meno di 4km.VaghezzaDaDossoL’erta di snoda tutta all’interno di un bellissimo bosco di pini, larici ed abeti. Il sole a Marmentino mi ha riscaldato e la temperatura è risalita fino ad 8°C. Ora nel passare nuovamente al lato nord della montagna, sotto la chioma protettiva dei pini, la temperatura crolla nuovamente a 2°C.

Per i primi 2,5km la pendenza si attesta a 9% con punta di 11% proprio all’inizio. Successivamente, poco prima del cartello di ingresso ai piani, scende sotto 4%. Per poco più di un chilometro continuo così, con il sole che fa capolino dietro ai pini e la strada che si snoda in falsopiano. Giungo al grande piazzale del parcheggio, da qui tenendo la destra mi infilo nella carrareccia che porta verso il vecchio traliccio dismesso dello skilift. Poco meno di 700m mi separano dal punto panoramico, ma sono i più duri.

A dispetto della pendenza media di 9%, questa stradina per lo più cementata nasconde al suo interno due temibili rampe sopra il 15% di pendenza ed un corto tratto in sterrato.VaghezzaCementata Sono ormai le 11.30 quando scendo di bicicletta “at the top”. Il sole è alto nel cielo ancora terso. L’aria frizzante (6°C), la vista a tutto tondo sui monti limitrofi, la pace e la tranquillità di un luogo poco frequentato, mi ripagano  ampiamente della fatica e del freddo accumulato. Mi dirigo verso il punto più alto nel prato per poter scattare delle fotografie panoramiche.

Ritorno alla mia Lynskey per mangiare qualcosa, poi decido di immortalare anche lei in questo luogo incantevole. Cambio i guanti ed aggiungo un anti-vento per la discesa.

Da qui a Tavernole ci sono più di 10km da percorrere e temo di avere freddo. Come esco dai piani ed inizio la veloce discesa del lato nord la temperatura ritorna a 2°C, nonostante sia mezzogiorno. Fortunatamente le cose cambiano nettamente una volta giunto a Dosso, dove mi fermo ad una fontana per bere e riempire la borraccia. Ci sono più di 10°C ed io tolgo l’anti-vento confidando nel sole. Faccio bene, nonostante la discesa tecnica e veloce non sento freddo, arrivo a Tavernole sul Mella e proseguo in direzione Brescia. Da qui la strada è sempre quella, percorrendo il più possibile le strade laterali per evitare la statale della val Trompia. Poco prima delle 13:30 sono a casa con 100km in saccoccia, ma soprattutto quasi 2.000m di dislivello, percorsi per le prime quattro ore e mezza ad una temperatura media inferiore a 5°C. Per me, che fino a due anni fa non sopportavo il freddo, un grande risultato. Piani di Vaghezza siete entrati di diritto tra le mie salite preferite!

Bongi,Vaghezza

PianiDiVaghezza

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Piani di Caregno

Domenica 25 novembre 2018, ore 7.37 del mattino; perché io mi ostini a partire così presto anche con temperature rigide non lo so, o forse sì. Sta di fatto che dopo i primi chilometri il termometro del mio gps si è acclimatato attorno ai 4°C e può solo peggiorare. L’itinerario prevede la risalita della val Trompia fino al confine con il comune di Marcheno. Oggi pedalo sulla LinaBatista, la mia “bici ghiaiosa”, già perché gravel in inglese significa ghiaia. Vogliamo mettere quanto sia più incisivo e veritiero parlare di “bici ghiaiosa” piuttosto che di “gravel bike”?!? Fortunatamente a quest’ora del mattino di un gelido giorno festivo il traffico automobilistico è pressoché inesistente ed io posso tranquillamente transitare sulla ex statale ss345 delle Tre valli. Con ritmo volutamente blando arrivo all’ingresso di Gardone. Alla rotonda, come sempre, tengo la destra sulla strada che costeggia il fiume Mella. Questo tratto di un paio di chilometri è sempre fresco ed umido, subito la temperatura scende a 2°C e l’umidità penetra nelle mie ossa. Fortunatamente la salita sta per iniziare. Attraverso il nuovo ponte sul corso d’acqua e mi ricongiungo alla ex statale, pochi metri e svolto a sinistra seguendo il cartello per i piani di Caregno. È passata quasi un’ora dalla mia partenza e finalmente inizio la scalata. Adoro la salita anche in inverno! Cerco di prepararmi per le discese con la borsa sottosella piena di intimo e antivento asciutti per poter scalare le montagne di casa anche nella stagione fredda. Caregno in realtà è una salita, relativamente nuova per me. Questa è la seconda volta che la affronto; dopo averla provata con Francesco a maggio del 2017. Anche allora la temperatura era freddina tra i 6°C ed i 10°C a causa di una pessima giornata di cielo coperto dopo un sabato piovoso. Oggi le previsioni danno ampie schiarite durante la mattinata ed io confido che in quota il cielo sia piuttosto limpido. CaregnoLa scalata è abbastanza lunga, sette chilometri, e per nulla banale, anzi direi di tutto rispetto con una pendenza media di 9,2% e punte di 15%. I primi 2,5km si snodano con frequenti tornanti lungo l’abitato di Magno, il paesaggio non è ancora un granché, la pendenza si assesta attorno a 8% con qualche breve strappo a 10%. Giunto in centro a Magno la prima rampa a 12%. Strappo breve, ma presagio che uscito dal paese non sarà più uno scherzo. Infatti dopo alcune centinaia di metri al 7% la strada si stringe assumendo la tipica conformazione delle vie di montagna. I tornati si fanno stretti, la pendenza è costantemente sopra il 10%. Ogni volta che l’occhio cade sul mio Xplova vede numeri tra il 10 ed il 15. Ora l’asfalto sotto le mie gomme “cicciotte” (700×38) sembra molle e appiccicoso, la velocità è ridicola. Tutto gioca contro di me, l’attrito dei copertoni larghi, i miei tre chilogrammi di troppo già messi su da quest’estate, e il pesante borsone sottosella per il cambio prima della discesa. Non sto certo salendo per fare il tempo, ma la sensazione è proprio quella di essere un “bradipo-missile”. Fortunatamente anche il paesaggio è cambiato, le case hanno lasciato il posto ai boschi e dai tornati posso vedere a sud la conca di Gardone ed a nord le Alpi.

Oltrepassati i 700m di altitudine su un tornante si gode di un ottima vista in entrambe le direzioni. Cosa curiosa anche più di un anno fa scattai una foto in direzione nord-est, verso il comune di Lodrino. Riguardando, la foto con più attenzione ed ingrandendola ho notato che il monte già innevato che si vede, non è altri che il Baldo! Mai avrei pensato di vederlo mentre salivo ai piani di Caregno.20181125111834_IMG_0367 Proseguo nella scalata e giungo all’ingresso dell’altopiano, oltrepasso il parcheggio e la trattoria “La fabbrica”. Da qui la strada diventa cementata, finalmente inizio a giustificare l’uso della ghiaiosa. Nel frattempo il cielo si è aperto ed il sole intiepidisce l’atmosfera. L’idea è di arrivare fino a dove inizierà lo sterrato fangoso. Ho studiato la traccia, esiste un bellissimo percorso che si congiunge a Pezzoro, ma dopo tutta la pioggia di ieri sicuramente oggi sarà un pantano.Caregno_cementata Il paesaggio ora è meraviglioso, sono a 1.000m di altitudine, da qui partono le escursioni al monte simbolo della val Trompia, il  Guglielmo, el Gölem in dialetto. Ovviamente mi fermo per un primo breve shooting fotografico, so che tornerò ancora da quella strada, per cui potrò scattare altre istantanee, forse con una luce migliore.

Il sole fa ancora un poco i capricci dietro ad alcune velature. Riparto, passo un’impegnativa rampa al 15% di duecento metri circa, svolto a destra e “sta il cacciator fischiando sull’uscio a rimirar”. Lo saluto, risponde con tono un poco burbero, ma si sa i montagnini sono così. Incrocio alcuni gruppi di escursionisti, ci salutiamo tutti. La montagna è anche questo, compartecipazione delle avventure ed escursioni altrui. La strada prosegue diventando a tratti ghiaiosa, salvo poi tornare cementata quando la pendenza supera il 10%. Ora il panorama che ho di fronte è decisamente cambiato, la visuale libera è quella verso nord. La neve è scesa in abbondanza ieri ed i giorni scorsi sopra ai 1.600m per la felicità degli operatori sciistici del Maniva che apriranno i loro impianti durante il ponte dell’Immacolata.

Io, intanto, mi godo questo panorama, dove all’azzurro ed al bianco di cielo e creste montuose fanno da contraltare i caldi colori pastello dei boschi autunnali. Mi fermo e fotografo, la strada cementata è ormai finita, ho superato quota 1.100m, da qui lo sterrato correrà in falsopiano fino al rifugio degli Alpini, ma io sento già la terra molliccia sotto al fogliame e l’orologio segna le 9.45, devo pensare al rientro.

A malincuore giro la bicicletta, ripasso davanti al cacciatore, come prima lo saluto, come prima lui abbozza una risposta. Mi fermo per altre fotografie nella conca creata sotto la vetta del monte Bifo e riparto.

Giunto al parcheggio all’inizio dei piani, mi fermo, una fotografia all’allevamento di cervi, una barretta, un sorso d’acqua, un intimo asciutto a fare da intercapedine sotto la giacca invernale, il gilet antivento ed un paio di guantoni invernali asciutti.

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Scendo senza mai acquisire troppa velocità per non raffreddarmi eccessivamente. Se all’andata il traffico veicolare era ridotto a qualche 4×4 di cacciatori che salivano ai piani, ora al ritorno, sono numerose le autovetture che salgono con a bordo coppie o famiglie. Arrivato a valle, mi fermo e cambio i guanti, la temperatura ora è di 7°C ed il pallido sole riscalda un pochino. Una ventina di chilometri mi separano da casa, come sempre, li percorro utilizzando strade secondarie e a tratti la pista ciclabile del Mella. Arrivo a Brescia. Manca poco alle 11.30. Piani di Caregno, salita intensa, che sa donare panorami spettacolari, da me colpevolmente poco conosciuta, ora diventerai meta fissa delle mie prossime scorribande ghiaiose.

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Antica via Ponale e passo Tremalzo (Giro dei 4 laghi)

Sono le 5.36 del mattino di domenica 4 agosto ed io inforco la mia specialissima per un nuovo giro. È passato un mese dalla Maratona delle Dolomiti, questo è il periodo migliore per compiere i tour più lunghi. La gamba è ben allenata, cuore e polmoni hanno resistenza in abbondanza. Parto da Polpenazze mentre il sole sta sorgendo dietro il monte Baldo, un alone rossastro ben definisce il contorno del suo crinale.

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Oggi devo risalire tutta la gardesana fino a Riva. Poche distrazioni, una foto in Salò al duomo in cui sono stato battezzato, una a Villa di Gargnano per le celebri “bisse” (lunghe e affusolate imbarcazioni lacustri con voga veneta), una lungo la vecchia gardesana per mangiare anche un boccone e l’ultima a Limone per la ciclopista.

 

Poco più di cinquanta chilometri e giungo al bivio per il sentiero del Ponale posto all’inizio dell’abitato di Riva del/G. Un’ultima sosta barretta e prima delle otto attacco la prima salita di giornata. Questa primavera il sentiero è stato chiuso per lavori alle tubazioni che giacciono sotto di esso. Con l’occasione è stato rifatto lo sterrato, ora ben compatto e facilmente percorribile anche in bdc (bici da corsa). A quest’ora del mattino il traffico è pressoché nullo e posso scegliere le traiettorie migliori evitando tutte le buche.  Tra meno di due ore pullulerà di MTB elettriche e sarà tutta un’altra storia. Attivo la mia videocamera e riprendo il sentiero nelle sue parti più emblematiche (video integrale 9’28”). Mi fermo in un paio di occasioni per fotografare, ma la giornata è un po’ fosca e non limpida come due anni fa quando la percorsi con Rick (link).

 

Finito lo sterrato ancora un paio di chilometri mi separano dalla provinciale che sale in galleria da Riva, nel complesso 4,5 km di salita piuttosto pedalabili.

 

Mi immetto sulla via principale in direzione lago di Ledro. Ancora quattro chilometri di salita con pendenza compresa tra 5% e 8% e sono davanti al museo palafitticolo di Molina d/L.MolinaDiLedro Qualche didascalica istantanea a suggellare l’importanza di questo sito preistorico che ci ricorda l’evoluzione della nostra razza.

 

Una sosta nel parco alberato di fronte al lago per mangiare qualcosa e via seguendo la ciclabile sul lato sud del lago. Meravigliosa, un susseguirsi di saliscendi nel bosco a bordo lago, alcuni tratti di sterrato ben battuto, la impreziosiscono ancor di più. Alla fine del lago rientro sulla statale dell’Ampola, vedo la ciclabile alla mia sinistra una, due volte e decido infine di prenderla. In genere le piste in Trentino sono ben fatte anche per noi stradisti e così è anche stavolta. Ad un certo punto compare anche l’indicazione per passo Tremalzo, io la seguo pedestremente e mi ritrovo dentro una bellissima pineta. D’un tratto, la strada inizia a salire con pendenza ragguardevole, guardo la mappa del mio GPS e capisco che questa rotta mi immetterà sulla salita del Tremalzo ben dopo il primo tornante.

 

La pendenza continua a crescere fino al 25%, l’asfalto lascia il posto al cemento e nonostante questo il manto, ancora bagnato dal forte temporale notturno, è sdrucciolevole. La ruota posteriore slitta parecchio, sono costretto a scendere e percorrere un centinaio di metri a piedi. In totale saranno cinquecento metri prima di immettermi sulla classica salita del Tremalzo. Nonostante questa scorciatoia mi abbia fatto risparmiare più di un chilometro la salita è ancora lunga,  quasi dodici chilometri nel complesso. La pendenza è piuttosto regolare tra 7% e 10%. Questo significa che bisogna affrontarla con il rispetto che si porta alle lunghe ed impegnative erte alpine. Ad alleviare la fatica il meraviglioso panorama che si gode durante tutta l’ascesa. La prima metà della salita si snoda completamente sotto una pineta fresca ed ombrosa dove la temperatura scende fino a 17°C.

 

Dopo quattro chilometri abbondanti il bosco cede spazio ai primi alpeggi, la visuale si apre verso le montagne circostanti, il sole inizia a riscaldare l’aria ed io mi guardo estasiato attorno.

 

La sottile e sinuosa striscia di asfalto continua così, tra boschi e radure, con il suono dei campanacci delle mucche ad allietare le mie orecchie. Non è che non faccia fatica, ma pedalare su queste salite è così appagante che il tempo vola e mi ritrovo ad un paio di chilometri dal passo, immerso negli alpeggi, tra malga Tiarno di Sopra e Malga Tremalzo, senza accusare la minima stanchezza.

 

Ormai il passo è vicino, subito dopo l’ultimo tornante una piacevole sorpresa, la strada segue il crinale che si fa sottile, poco più di una decina di metri, alla mia destra il monte Baldo ed il lago di Garda, già offuscato dall’umida calura agostana, alla mia sinistra il Dosso dei Galli, il Cornone di Blumone ed infine l’Adamello. Sì, proprio il ghiacciaio dell’Adamello! Dai quasi 1.700m del Tremalzo l’orizzonte nord spazia fin lì!

 

Purtroppo, la vetta è già nascosta dalle classiche nuvole che si formano intorno a mezzogiorno sulle cime alpine. Arrivo al passo e proseguo un centinaio di metri sulla strada sterrata; è la strada militare che aggirato il monte scende a passo Nota, voglio dare un’occhiata, sogno di percorrerla con la gravel bike appena avrò più dimestichezza con i terreni ghiaiosi.

 

Ritorno sui miei passi mi fermo al rifugio ed osservo questo meraviglioso panorama a 360°. Faccio conoscenza con una coppia di emiliani in soggiorno sul lago di Ledro, sono saliti con le e-MTB (elettriche) e si accingono a scendere verso passo Nota per poi rientrare lungo le mulattiere a Molina di Ledro, bellissimo giro anche il loro. Intanto ne approfitto per mangiare e dissetarmi. Riprendo la bici e scendo a valle, sono passate da poco le undici del mattino, ma per me la giornata è ancora lunga. La discesa è ancora fresca e la mia splendida maglia manica corta in bioceramic (by GSG cyclingwear) mi consente di affrontarla senza antivento. Mi immetto sulla statale all’altezza del passo d’Ampola e dopo un corto falsopiano proseguo la discesa verso Storo. L’aria si fa sempre più calda, percorro la ciclabile del Chiese, splendida anch’essa, non fosse altro che mi evita la strada statale. Prima di Ponte Caffaro mi perdo un attimo e anticipo l’uscita dalla ciclabile, questo mi costringe a percorrere qualche chilometro in più, ma poco importa, ora la temperatura ha superato i 30°C ed io penso che, una volta costeggiato tutto il versante ovest dal lago d’Idro, dovrò affrontare la salita di Capovalle, quasi completamente esposta al sole. A mezzogiorno e mezzo, oltrepassato l’abitato di Idro, inizio la salita, celebre presso i triatleti in quanto percorso del temibile IdroMan. Al primo tornante sono costretto a fermarmi per un’istantanea didascalica, d’altronde se questo è il “giro dei quattro laghi” li devo fotografare tutti.

 

Salgo, Capovalle da Idro è abbastanza impegnativo, in tutto poco più di otto chilometri con media del 6%, ma quello che mi preoccupa un pochino è il lungo rettilineo dopo la galleria con pendenza costante tra 11% e 16% completamente esposto al sole.

 

La temperatura sale fino a 36°C, io procedo lentamente, ma con decisione. All’inizio dei tornanti raggiungo un ragazzo (di una volta come me) con una gravel.  Rompo il ghiaccio con un: “Credevo di essere l’unico pirla a salire a mezzogiorno sotto il sole da qui!” Mi risponde con simpatia: “Tranquillo, io sono sicuramente più matto ho anche già fatto un infarto (ndr in passato) e salgo comunque!” Vince lui a mani basse. Chiacchieriamo un poco, è partito da vicino Bergamo per venire a Gargnano, di chilometri ne farà tanti anche lui. Nonostante la simpatia sono costretto a lasciarlo, il suo passo è troppo lento, spero di ritrovarlo dopo la sosta in vetta per la discesa. Purtroppo, nonostante una lunga sosta alla fontanella di Capovalle per mangiare e idratarmi, non lo vedo scendere o mi sfugge, la fontana, in realtà, è leggermente defilata. Riparto, mi attende la discesa ed il lungo e stupendo falsopiano che costeggia il lago di Valvestino, il quarto del giro. L’aria resta calda, intorno a 30°C, anche mentre scendo. Giunto al lago mi fermo ad uno dei miei punti panoramici preferiti, da cui ho decine di scatti fotografaci presi in tute le stagioni.

 

Ancora qualche chilometro e sono a Navazzo, nuovamente in vista lago di Garda, il giro si sta per chiudere. Scendo veloce, l’aria è calda come quella che esce dagli asciugacapelli. Sono a Gargnano, finalmente in riva al lago, ci sono 34°C, giusto il tempo di attraversare anche Bogliaco e mi infilo, come sempre, nella “strada del golf” che mi porta a Cecina, sotto l’ombra di un boschetto. Ritorno sulla ss45bis poco prima di Toscolano, è molto tardi, già ho dovuto scrivere che sarei giunto a casa oltre il previsto, ma vorrei evitare di arrivare nuovamente lungo. Quindi via, pedalare a testa bassa, in meno di mezz’ora sono a Salò all’attacco delle Zette, è qui, dove la velocità cala sensibilmente ed il sole del primo pomeriggio picchia più forte, che raggiungo la temperatura più alta 38°C.  Bell’escursione termica dai 17°C della pineta del Tremalzo di stamattina ad ora ci sono più di 21°C di scarto! Ma io adoro il caldo ed anche a questi livelli ci convivo bene.

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Ora non mi resta che percorrere a ritroso anche la Valtenesi fino a Polpenazze, mia meta d’arrivo. Sono le 15.45 del pomeriggio con un quarto d’ora di anticipo sull’ora e mezza di ritardo entro dal cancello di casa. Sono quasi duecento chilometri (194) per 3.300m di dislivello in poco più di nove ore di pedalata, ma questi sono solo numeri, quello che resta è la meravigliosa strada del Ponale e soprattutto la scoperta di un’altra incredibile salita con panorami mozzafiato, il passo Tremalzo!

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!@Giro dei 4 laghi (Garda,Ledro,Idro, Valvestino) Ponale,PassoTremalzo,PassoSanRocco

Giro dei 4 laghi

Videogallery: Sentiero del Ponale integrale (9’28”) – Passo Tremalzo (2’09”)

Photogallery:

 

 

BresciaGravel 2018

Sono le 6.40 quando scendo da casa, ad aspettarmi Francesco che in bdc (bici da corsa) mi accompagnerà lungo il primo tratto di questa avventura gravel. Già, perché oggi sono iscritto alla prima edizione della BresciaGravel di 260km. Per me è un’esperienza inedita  e non so dove arriverò. Ci dirigiamo verso Gussago, luogo di partenza. Alle 7.00 precise siamo al centro sportivo, firmo e partiamo, chi la fa in gruppo aspetterà le 8.30, ma essendo “partenza alla francese” noi ci portiamo avanti, la giornata sarà lunga. Il percorso descrive un ampio cerchio attorno alla bassa bresciana costeggiando il fiume Chiese ad est e l’Oglio ad ovest; le asperità altimetriche si trovano tutte nella prima parte. Infatti, pronti via, si sale al Santuario della Madonna della Stella di Gussago.StellaDaGussago

Circa 2km, ma nell’ultimo chilometro la pendenza resta spesso tra il 12% e il 16%, saliamo con calma, la strada è ancora lunga. In vetta il primo di una serie indicibile di “momento selfie” che allieteranno questo mio percorso.

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Ripartiamo in direzione dei Campiani, un breve sterrato, non troppo rovinato, e si riprende l’asfalto. Scendiamo, Collebeato, Concesio, Nave e si inizia la seconda e più lunga salita di giornata, le Coste di S.Eusebio, salita lunga (9km) e pedalabile, da “rapportone”, ma non oggi con pneumatici da 700×38 e circa 15kg tra bici e borse.costenave

Arriviamo al passo con un tempo similare a quello che abbiamo nei nostri giri lunghi su strada e questo mi conforta. Scatta, ovviamente, il MS (momento selfie).

Si iniza a scendere verso Odolo e la val Sabbia, in paese prima sosta idrica. Raggiungiamo Sabbio C. e ci innestiamo nella ciclabile del Chiese che costeggia l’argine immersa in un bel bosco, il fiume qui è ancora impetuoso ed il suo fragore ci accompagna nella pedalata, la strada è quasi completamente asfaltata e dove non lo è, lo sterrato è molto bello, liscio e compatto. A Roè Volciano oltrepassiamo il Chiese su un ponte ciclabile, nuovo MS.

Ora siamo pronti per dirigerci verso la Valtenesi, a Villanuova sul Clisi si lascia la ciclo-pedonale e a sinistra si sale verso Soprazzocco. Torniamo sopra i Tormini in vista lago, purtroppo la mattinata è umida, afosa ed uggiosa ed il golfo di Salò, sotto di noi, si intravede appena. La traccia GPS ci riporta alla dura realtà buttandoci in mezzo ad un campo, attraversato quest’ultimo, ci troviamo di fronte un single-track che sale nel bosco. Per Francesco, in bdc, impensabile affrontarlo in sella, sono solo cinquecento metri e decido di farlo a piedi con lui, rientriamo sull’asfalto alle porte di Soprazzocco, poche centinaia di metri e si gira a sinistra nuovamente su sterrato ghiaioso, saliamo un tratto e decidiamo di separarci. Io proseguo lungo la traccia, Francesco ritorna sull’asfalto sperando di incontrarmi sulla cima del laghetti di Sovenigo. In realtà anche dopo i laghi la mia traccia abbandona velocemente la ciclabile della Valtenesi per insinuarsi in boschi e campi.

Siamo costretti a salutarci telefonicamente. Mi rimetto in viaggio certo che, lungo il percorso, troverò nuova compagnia. D’altronde siamo partiti per primi proprio per questo e già alcuni gruppetti mi hanno sorpassato. Questa zona la conosco bene, riesco ad orientarmi nonostante sia su sentieri che non posso percorrere con la bdc, oltrepasso il sito palafitticolo di Lucone di Polpenazze, attraverso le vigne di groppello, la traccia è molto precisa (complimenti all’organizzazione #bresciagravel e #lakivatrail).

Scendo a Castelletto e qui una sosta idrica al lavatoio mi consente di conoscere tre bergamaschi: Claudio, Stefano e Simone. Prima di Padenghe ritorniamo sulla ciclopista. Si chiacchiera ed intanto entriamo nell’omonimo castello, lo percorriamo per intero in senso orario.

Ci dirigiamo ora verso la salita della tenuta “Calvino” nel comune di Lonato. Qui, quando meno te lo aspetti, una voce da dietro chiede: “Tu sei Marco?” Mi volto, guardo il ragazzo con maglia di un team della val Trompia e replico: “E tu sei Salvatore!” Ci eravamo scritti su Strava già due anni fa ed un paio di volte aveva cercato di aggregarsi alle uscite di Cicloturisti!, ma per la mala sorte non ci era riuscito. Il gruppetto si è infoltito, la traccia prevede il passaggio da Drugolo, Sedena, Bedizzole, Ponte S.Marco e Calcinato, tutte zone che conosco ancora abbastanza bene, la strada ora è quasi sempre asfaltata o bianca. Io e Claudio siamo in testa e facciamo meglio conoscenza, scopro che è un fotografo e che la gravel lo ha riavvicinato alla bicicletta dopo che le granfondo lo avevano stancato anni fa; c’è subito sintonia tra noi. Manca poco alle 13.00 e nella piccola “mandria” al pascolo è cresciuto l’appetito. Vediamo un altro iscritto fermo ad una pizzeria da asporto, non esitiamo a fermarci e concederci una pausa per il pranzo. Io e Salvatore dobbiamo commemorare questo primo incontro con un MS.

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Entrambi abbiamo panini in abbondanza, ordiniamo solo il bere e finiamo il nostro pasto quando stanno per uscire le pizze dei bergamaschi. Decidiamo di comune accordo di partire e portarci avanti, tanto ci raggiungeranno. Da Montichiari inizia la parte a me meno nota, è vero che in automobile ho percorso tutte queste strade, ma gli argini e le piste della bassa non le conosco proprio.

Costeggiamo il Chiese fin quasi a Remedello, sono 18km di argine, saliscendi ripidi e ghiaiosi sotto le provinciali, e attraversamenti di campi di mais. In poche parole raggiungere i 20km/h senza spingere come dei forsennati è pressoché impossibile. In cambio godiamo della vista del fiume Chiese, che di tanto in tanto si increspa in corte roboanti rapide, dei suoi boschi e della loro ombra. Ci fermiamo più volte a fotografare e per un MF.

In questo frangente ci sorpassa il trio dei bergamaschi. Ci ricompattiamo poco fuori Isorella, ad un bar in zona industriale. Curioso vedere, come ogni volta che un iscritto, contraddistinto da una targa rosa sul manubrio, si fermi ad un bar, molti di quelli che ivi giungono si fermino anch’essi, rendendo il posto una sorta di check-point improvvisato. Che sia parte dello “spirito gravel” di cui tanto si parla nei social? Non lo so, ma penso che il bello stia proprio nel non voler definire e canonizzare questo movimento, per cui lascio queste sterili elucubrazioni esoteriche ad altri. Si procede ancora per venti chilometri attraversando Isorella, Gottolengo, Pralboino. Io e Salvatore notiamo un “tipo”, maglia bianca con “punti” rossi e blu, barba, non troppo alto, con il polpaccio sinistro completamente tatuato da disegni geometri, ma, decisamente con una gran gamba. Ci sorpassa più volte con scatti fulminei, salvo poi sbagliare uscita alle rotonde nella troppa foga. Anche un altro ragazzo effettua un doppio giro di rotonda a Gottolengo e chiosa: ” Mi piaceva e l’ho fatta due volte!” Lo affianco, guardo la bici, una splendida Salsa in titanio da gravel. Già mi è simpaticissimo! Chiacchieriamo, gli dico che io ho una Lynskey da corsa. Abita a Treviso, ma come Salvatore è di origine campana, si forma un terzetto e tale rimarrà per gran parte del percorso. Passiamo il 130km, un urlo di gioia ci accompagna, siamo a metà percorso e sono solo le 17.00!!! Arriviamo al fiume Mella che oltrepassiamo su un ponte ciclabile, ovviamente MS!

Dopo Seniga, lo sconfinamento in terra cremonese, oltrepassiamo il fiume Oglio sulla provinciale e ci ritroviamo a Scandolara Ripa d’Oglio, che scopro essere un borgo interessante con un bellissimo palazzo/castello circondato da un fossato. Ci fermiamo per fotografare e ripartiamo.

Abbiamo raggiunto il punto più meridionale del giro, ora risaliamo seguendo il corso del fiume Oglio, dopo Robecco al nuovissimo ponte in legno della ciclabile (Po-Tonale) rientriamo in provincia di Brescia. Sul ponte a schiena d’asino, ovviamente, un altro MS!

Eccoci al fatidico 161km qui si trova la trattoria Rosa Rossa di Monticelli d’Oglio, dove è organizzata la cena e la sosta notturna per chi vuole compiere l’impresa in due giorni. Noi ci fermiamo una mezz’ora per mangiare e sciacquarci, ritroviamo i tre bergamaschi, e molti altri ragazzi, tra cui il “tipo” che sta bevendo birra per reintegrare le maltodestrine. Leggo finalmente sul dorso della maglia la scritta “La popolare”, questo mi ricorda immediatamente dell’amico di penna Randonneur S’cioppàa che ha una diatriba aperta con gli acerrimi nemici della Popolare forse senza sapere neanche lui il perché. D’istinto mi viene da chiedergli se conosce Matteo (Randonneur), poi rifletto un attimo e per la paura di attirare, anche su di me, tutte le ire della Popolare me ne sto zitto e lo osservo mentre si scola le sue birre. Ripartiamo, attraversiamo Quinzano d’Oglio, il passaggio, stretto ed angusto, su di un ponticello vicino ad un mulino all’uscita del paese è occasione per un altro MS, questa volta nella foto siamo tutti e tre!

La traccia ora ci porta verso il castello di Padernello. Lungo queste strade asfaltate o bianche, si può fare un minimo di velocità ed io arrivo anche a 27km/h! Pier resta attardato, io ne approffitto per un nuovo MS.

Ci ricompattiamo e subito dopo appaiono davanti a noi due meravigliosi ponti di tronchi che ci stregano, ed è nuovamente MS!

Ripartiamo, Borgo San Giacomo, giù verso Villagana, qui al 168km il punto invisibile, segnalato, fortunatamente, molto bene da lunghe strisce arancio fluo appese ai rovi. Ci intrufoliamo sotto i rovi nel sottobosco, attraversiamo un ponticello e risaliamo dall’altro lato, il tutto a piedi, per non rischiare, il terreno è ancora un poco fangoso.

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Un bel campo arato ci si para davanti, noi, sempre a piedi, lo attraversiamo, scendiamo nel canale, riattraversiamo un altro ponticello e risaliamo su un prato da cui parte un bellissimo, quanto lentissimo, single-track in mezzo all’erba del sottobosco. Per fare 400m in linea d’aria avremo percorso più di un chilometro! Sono già le 19.30 e la luce fioca del crepuscolo, mi rende questi tratti particolarmente ostici sotto il profilo della vista. Finalmente usciamo da questo toboga, siamo ormai alle porte di Orzinuovi, un filare di pioppi lungo la strada bianca sovrastato dallo spicchio di luna appena sorta mi costringe all’ennesimo MS.

Entriamo in paese, la gente “normale” si appresta alle luculliane cene del sabato, noi, invece, abbiamo ancora una settantina di chilometri da percorrere.

All’uscita del borgo svoltiamo a sinistra verso la ciclovia che riprendiamo. Un chilometro dopo la traccia GPS dice che dobbiamo abbandonarla a sinistra per un altro toboga sull’argine. Ormai è buio i nostri fari illuminano comunque bene l’asfalto. Io esprimo le mie perplessità, ma i miei compagni di viaggio, già avvezzi a questo tipo di percorso, anche in notturna, non hanno esitazioni. Provo a seguirli, ma dopo trecento metri mi accorgo che perdo le loro ruote nonostante non stiano certo correndo. Non ce n’è! Faccio troppa fatica con gli occhi e perdo sicurezza, per non rallentarli e per la mia incolumità li saluto e torno sulla ciclabile. Ho bisogno di maggior dimestichezza, sull’asfalto sono abituato a pedalare anche nel buio profondo, ma nel bosco è proprio tutta un’altra cosa. Pazienza la mia traccia non sarà quella originale. Rientro culla ciclopista, in un paio di occasioni vedo la luce dei fari di Salvatore e Pier alla mia sinistra fare capolino nel fitto bosco, quasi fossero due lucciole impazzite.

A Rudiano, mi fermo sul marciapiede nella via principale, sono quasi le otto e tre quarti, mangio, scrivo qualche messaggio per rassicurare Moglie ed amici. Aspetto ancora un attimo nella speranza che arrivino i fari dei miei amici, da qui mi sembra di ricordare che la traccia prosegua fino a Palazzolo seguendo la ciclabile. Purtroppo sono ancora indietro, riparto seguendo i cartelli marroni della ciclovia Po-Tonale, evito le deviazioni per i municipi di ogni borgo. Sì, perché strada facendo, abbiamo scoperto che il percorso è sempre entrato nei centri dei paesi fino a raggiungere la casa del sindaco. Ora è veramente tardi, la mia traccia è già inficiata e non ritengo più necessarie queste deviazioni, passo anche Urago d’Oglio e Pontoglio, uno spicchio di luna rischiara flebilmente il cielo. Mi fermo in mezzo alla ciclo-pedonale, nel nulla e nel silenzio più completo, so solo che sono tra Pontoglio e Palazzolo nuovamente in traccia. È il MS con la luna, io e lei da soli, nella nostra intimità e nei nostri pensieri.

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Eccomi a Palazzolo, dovrei entrare in piazza sotto la torre, ma è transennata, sono passate le nove di sera, è allestita a festa con tavoli e panche, le persone “normali” si stanno già abbuffando. Decido di passare a dritta, ma dopo alcuni destra, sinistra, perdo un poco la direzione, decido di seguire la strada che conosco meglio “automobilisticamente” parlando. Arrivo a San Pancrazio, alla rotonda dell’autostrada prendo a destra per Adro. In paese ritrovo la traccia dell’organizzazione, ma vorrei accorciare il mio ritorno a casa passando dal Bellavista di Erbuso. Peccato che con il buio, non vedo l’incrocio a destra e proseguo anch’io verso Nigoline di Cortefranca su una parallela a quella della BresciaGravel. Ivì giunto svolto a destra per Timoline, mi fermo ad una fontana per riempire le borracce, mangio qualcosa, ma soprattutto bevo un “ciucciotto” al caffè, per mantenermi lucido. Per ora non ho avuto cali di concentrazione e vorrei evitarli anche in questi ultimi chilometri. Oltrepassata la cantina “Barone Pizzini” di Timoline la BresciaGravel devia a sinistra scendendo sulle passerelle delle torbiere d’Iseo, penso a quanto sarebbe stato bello attraversarle con la luce del tramonto o con la luce del mattino per quelli che ripartiranno domani da Monticelli. Io no, a quest’ora tarda, ormai abbandonato il percorso, ritorno a casa per la via che più mi si confà, non che siano meno chilometri, ma è quella che preferisco.

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Salita all’uscita di Provaglio d’Iseo

Provaglio d’Iseo, Monticelli Brusati, Ome, Padergnone, Ronco di Gussago si susseguono rapidi sotto le mie ruote, viaggio veloce ora in leggera discesa anche 35 km/h a volte.

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Eccomi all’ultima asperità di giornata lo strappo del cimitero di Gussago, mi alzo sui pedali e spingo, la gamba c’è ancora, 250w poi 300w. Sono contento, averla affrontata con questo ritmo pacato mi ha mantenuto in forze fino a qua e per me sono già 280km! Arrivo al GuSport, ci avevano chiesto di firmare comunque all’arrivo per far sapere che eravamo ripassati di lì. Firmo, anche se la mia non è esattamente la BresciaGravel, vorrei quasi scrivere qualcosa per segnalare il taglio, ma lo spazio sulla riga non c’è, ho un poco di fretta addosso, la testa sta pensando ai fatti suoi ed io riparto immediatamente verso Brescia. Arrivo alla Fantasina, evito la provinciale e mi infilo in ciclabile giusto il tempo di affrontare la salita, non voglio sentire le autovetture che mi passano a pochi centimetri perché la strada è stretta.

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Scollino rientro sulla strada. Pochi minuti, pochi chilometri e sarò a casa. Non ho completato la BresciaGravel, ma poco importa il giro lo ho fatto! Caspita se lo ho fatto 290km e 15h di bici! Non mi ero mai spinto così in là! Dall’alba a notte fonda! Sono felice come poche altre volte, pienamente soddisfatto! In più ho conosciuto nuovi pedalatori che, come me, hanno più passione che gamba! Grazie a Salvatore e Pier in primis, dai quali mi è spiaciuto separarmi; a Claudio, Simone e Stefano; al “tipo” della Popolare e alla perfetta traccia GPS dell’organizzazione. Come Cenerentola a mezzanotte sono davanti a casa. È l’ora dell’ultimo MS!

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Dettagli tecenici su Strava: Cicloturistiforever!@ BresciaGravel (o quasi…)

Videogallery: BresciaGravel 2018 (2’51”)

Fotogallery:

Monte Baldo e giro del Garda

Sono le 5.54 di sabato 8 settembre quando parto da Polpenazze per una nuova inedita salita, il rifugio Graziani sul monte Baldo salendo da Mori. Questa volta la traccia è già impostata sul mio gps; si tratta solo di seguirla e di confermare la bontà del tracciato scelto. Giusto il tempo di partire e l’irresistibile fascino della luna prima dell’alba mi costringe ad una repentina fermata.

Uno spicchio di luna è illuminato dal sole, ma il cielo limpido fa sì che il riflesso luminoso che la terra produce su di lei ne definisca tutta la circonferenza con un nitido anello. Spettacolo di rara bellezza che la fotocamera di un cellulare non riesce a cogliere appieno. Dentro di me penso che questo sia il segno premonitore di un giro solitario indimenticabile. Scendo le Zette verso Salò e mi affaccio al mio lungolago appena rischiarato dai bagliori solari alle spalle del Baldo. Lo osservo e penso: “Tra qualche ora sarò lì a percorrere il tuo crinale!”

Riparto e proseguo spedito verso Riva del Garda, cerco di tenere un ritmo regolare senza mai affaticarmi in modo da giungervi il prima possibile, ma abbastanza riposato. Dopo la consueta deviazione di Gargnano per evitare la prima stretta galleria mi reimmetto sulla statale, qui incontro un tirolese di Brunico che scopro sta andando ad affrontare la temibile Punta Veleno; già mi è simpatico! Discorriamo di itinerari e luoghi da visitare in bicicletta e, dopo aver attraversato la fantastica ciclabile di Limone, ci ritroviamo all’ingresso di Riva d/G. Lo saluto, per me è giunto il momento della prima sosta, sono appena passate le otto del mattino e faccio la mia prima colazione a base di barrette e fruttini.

Riparto, arrivo a Torbole, proseguo in direzione sud qualche centinaio di metri giusto per scattare un paio di istantanee didascaliche al monte Brione e al tunnel che porta l’acqua dell’Adige nel lago di Garda.

Ritornato sui miei passi seguo le indicazioni della ciclabile Torbole/Nago – Rovereto. Mi intrufolo nei vicoli acciottolati di Torbole e salgo con pendenza massima di 15% verso Nago.Su un curvone leggo la scritta “punto panoramico” che invita a salire alcune decine di gradini per giungere sulla sommità di uno sperone roccioso. Non esito, bici in spalla, salgo i gradini, arrivato in cima mi si offre uno splendido panorama di tutto l’alto lago, mi fermo contemplo e fotografo.

Ripenso al segno premonitore. Ritorno sulla rotta e salgo un lungo rettilineo al 12% con vista notevole sulla piana di Arco, alla fine del quale la strada si immette sulla statale per Rovereto, ma io inseguo i segnali della ciclabile e svolto a destra in centro a Nago. All’uscita del borgo la segnaletica mi porta in mezzo ai vigneti, si sale ancora un poco prima della dolce discesa verso Rovereto. Praticamente la ciclabile e costituita dalle strette stradine asfaltate dei vigneti collegate tra loro da veri e propri tratti di ciclabile costruita ad hoc.

Scopro che molti ciclisti in bici da corsa la percorrono per raggiungere il lago, in effetti data la difficoltà altimetrica del tracciato (da 65m si sale a 260m) non è esattamente idonea alle passeggiate con bambini piccoli. Anche questa deviazione si è rivelata una scelta vincente: zero traffico e paesaggio stupendo. Giungo alla periferia di Mori e svolto bruscamente a sinistra come indica il mio gps. Avevo trovato una strada alternativa per affrontare i primi chilometri che conducono a Brentonico in modo da evitare la provinciale sp3 che sale da Mori. Da qui il computer dice che mancano 20,5km ai 1.617m del rifugio Graziani. Il primo chilometro e mezzo sale lungo la montagna con pendenza tra 7% e 10%, arrivo nella frazione di Sano e capisco che dovrò faticare parecchio, il pendio del monte di fronte a me è completamente terrazzato a vigne, la strada che esce dal paese sale dritta come un fuso in mezzo ad esse.

Sono quasi 800m con pendenza media da Punta Veleno, il ciclo-computer segna più di 20% di inclinazione più di una volta e non scende mai sotto 15%.

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Su una curva più larga, intravedo lo spazio per fermarmi e poter ripartire, voglio immortalare questa strada e questo splendido paesaggio.

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Fortunatamente, da qui in poi, le pendenze della strada alternativa non saranno più così cattive, comunque quasi sempre attorno a 10%. Mi ricollego alla strada secondaria e poi alla sp3 proprio in procinto di entrare nel centro di Brentonico. Un piccolo saliscendi in paese mi consente di rifiatare un poco ed un incoraggiante cartello all’uscita del borgo con la scritta “pendenza 16%” mi fa subito ricordare che la salita al Graziani è nota per non essere una cosa semplice, bisogna conquistarsela! La strada è molto larga, in inverno è utilizzata per portare le autovetture degli sciatori a San Valentino dove ci sono i primi impianti, d’estate è preda delle automobili degli escursionisti che salgono al monte Altissimo e di un orda indescrivibile di motociclisti, soprattutto tedeschi. Forse sono più infastidito dal rombo dei motori che affaticato dalla salita che, comunque, continua a regalarmi splendidi panorami su Rovereto e sulla Vallagarina. Su un ampio tornante mi fermo all’ombra di alcune piante per fotografare il Baldo dal basso ed osservare la strada che devo ancora percorrere.

Ho percorso circa 8km di salita ed ho passato quota 800m da poco, la salita è ancora lunga. Riparto oltrepasso la piccola frazione di S.Giacomo, che scopro essere meta per lo sci di fondo, affronto una piccola discesa che mi fa perdere quasi cinquanta metri di quota, e riprendo a salire, d’ora in poi non ci saranno più tratti in contro pendenza per rifiatare.

Arrivo a S.Valentino e dopo l’innesto con la provinciale sp208 che sale da Avio la strada diventa stretta e si addentra in uno splendido faggeto. Ci siamo! Inizia la salita vera quella dai profumi e dalle viste di montagna. Alla fine del bosco la lingua di asfalto si fa largo scavando il suo percorso nella roccia, la similitudine con il tratto di gardesana che sale a Tignale mi viene spontanea. Mi fermo ancora per immortalare questo luogo di rara bellezza.

Riparto ormai ho oltrepassato i 1.200m e la vista si apre sugli alpeggi, sul monte Altissimo (2.078m), sulla cima Valdritta (2.218m) e su punta Telegrafo (2.200m), entrambe già attorniate dalle nuvole.

Una serie di tornanti mi portano al rifugio, la pendenza negli ultimi chilometri è sempre rimasta tra 7% e 10% a conferma che questa salita di venti chilometri è veramente tosta.

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Mi fermo davanti al rifugio giusto il tempo di qualche istantanea e di bere un “ciucciotto”.

Voglio arrivare il prima possibile alla bocca di Navene per poi scollinare il valico sotto a cima Valdritta. Conosco bene il Baldo (catena montuosa di origine vulcanica) la sua forma e, soprattutto, l’essere l’unico isolato rilievo sopra i 2.200m nella zona lo rendono un parafulmine eccezionale. Anche nelle giornate più terse durante la mattina l’umidità si accumula sopra le sue vette per creare temibili nuvoloni neri che dopo mezzogiorno possono dare luogo a temporali in quota. Arrivo a bocca di Navene, fotografo e mi gusto il panorama su Limone, sull’altopiano di Tremosine, sul monte Tremalzo e purtroppo distinguo perfettamente la macchia rosso bruna dell’incendio di due settimane fa in val di Bondo.

L’aria è frizzante sono sceso a quota 1.420m e devo risalire oltre i milleseicento metri in poco meno di quattro chilometri, preferisco ripartire subito e restare caldo, ma sarebbe stato fantastico soffermarsi a mangiare un panino proprio lì, al rifugio di bocca Navene, contemplando il lago. La strada sale dolcemente dapprima immersa nel bosco e poi sugli alpeggi assolati. Mandrie di mucche al pascolo, impreziosiscono il paesaggio, già di per sé incantevole, e allietano con il suono dei loro campanacci le mie orecchie. Io attraverso, mi fermo, osservo, fotografo, respiro e annuso il profumo di monte.

Il crinale e gli alpeggi del Baldo sono un vero spettacolo della natura è la tersa giornata settembrina li sta valorizzando appieno. Manca un chilometro al valico e la strada ricomincia ad incattivirsi sotto le mie ruote, la pendenza torna sopra il 10% con punta del 15% per poco più di cinquecento metri.

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È l’ultimo vero sforzo, poi sarà un infinita discesa fino a Peschiera d/G. Scollino, mi fermo su uno spiazzo ghiaioso, fotografo, mangio, indosso l’anti-vento senza maniche.

Sono all’ombra dei nuvoloni e la temperatura è scesa a 13°C. Il primo tratto di discesa è stretto, scavato sul fianco roccioso della montagna con pendenza compresa tra 13% e 15%. In queste condizioni di lugubre luce la strada intimorisce non poco. Passati i primi due chilometri di curve e contro curve il pendio roccioso lascia il posto a lunghi rettilinei immersi negli alpeggi, supero agevolmente i 65km/h, ma si sa il mio inconscio ha il limitatore di velocità inserito ed inizio a frenare. Le braccia e le mani iniziano a sentire il fresco nonostante sia tornato al sole. Il corpo invece è ben protetto dal gilet Breeze di GSG che ogni giorno che passa scopro essere sempre più versatile. Prima di Ferrara, al bivio, lascio la sp8 per tenere la destra e scendere verso Spiazzi da una strada più ombreggiata e per nulla trafficata.

Ce l’aveva fatta conoscere quasi vent’anni fa Francesco nell’ultima mia visita al monte Baldo salendo da Pazzon. Giunto a Spiazzi, famoso per essere il punto di partenza per le escursioni al santuario della Madonna della Corona, mi tolgo l’anti-vento, riparto, resto sulla destra su un’altra via laterale che mi fa evitare ancora un paio di chilometri di provinciale. Alle porte di Braga devo cedere e rassegnarmi a percorrere un tratto di strada principale. Il sole inizia a scaldare, a Pazzon tengo la sinistra ed invece di avvicinarmi al lago attraversando Caprino Veronese, punto diritto verso Rivoli Veronese dove la mia traccia mi consentirà di percorrere un tratto della celebre ciclabile Verona-Resia.

È quasi mezzogiorno e mezzo e questo fa si che il traffico sia minimo anche sulle provinciali. Dopo alcuni chilometri entro in ciclabile, nuovamente immerso nel bosco e nel nulla, come sempre le ciclabili vicino agli argini dei fiumi aumentano il dislivello del percorso con continui saliscendi, e questa non fa eccezione. A metà della salita più significativa su una curva è posto un cartello: “Punto panoramico”. Appoggio la bicicletta alla panchina e a piedi salgo lo sperone roccioso, di fronte a me la Vallagarina e l’Adige, fotografo e riparto.

Una piccola deviazione di un centinaio di metri mi porta sotto ad una delle pale dell’impianto eolico della bassa valle. Resto ipnotizzato dall’apparente lento incedere delle tre pale per un paio di minuti, poi dopo alcune istantanee riparto.

Percorro ancora alcuni chilometri di questa bellissima ciclabile ed all’altezza di Pastrengo la lascio per riportarmi sulle vie tradizionali. Sono costretto per alcuni chilometri, fino a Sandrà, su una strada che potrebbe essere trafficata, ma che l’orario del pranzo e la calura estiva, ci sono già più di 30°C, rendono scarsamente affollata. Seguendo la traccia svolto a destra su una strada secondaria immersa nuovamente nei vigneti, ma questa volta sono in pianura e non rischio brutte sorprese. Arrivo a Castelnuovo, passo a fianco del Gardaland Resort e sbuco a Cavalcaselle sulla ex-statale Verona Brescia. Attraverso Peschiera e non posso che fermarmi e fotografarmi sul ponte della fortezza.

Il centro brulica di turisti, l’estate sul lago non è ancora finita! Dopo tante ore passate nella pace e nella tranquillità vedere un poco di vita e di vivacità non guasta! Giusto qualche minuto ed all’uscita di Peschiera, lascio nuovamente il traffico per dirigermi verso Monzambano, obiettivo arrivare a Desenzano per le vie senza traffico delle prime colline moreniche. Passo davanti al santuario del Frassino, ma è troppo presto, riapre alle tre del pomeriggio ed io mi accontento di fotografare l’esterno.

Seguo la traccia, durante questo traverso percorro due brevissimi tratti di strada bianca, le colline moreniche sono piene di strade di questo tipo, lasciate senza asfalto, ma ben tenute e utilizzate soltanto da gente del luogo. Arrivo alla torre di San Martino della Battaglia celebre monumento che ricorda le guerre di indipendenza dall’Impero austriaco e dalla cui sommità, nelle giornate più limpide, si possono vedere distintamente, sia gli Appennini, sia i ghiacciai alpini. Mi fermo, cerco l’angolazione migliore con l’esposizione al sole della torre e mi scatto un vanitoso “selfie” di soddisfazione.

In fondo mancano pochi chilometri a casa ed è già tempo di resoconto. Lungo gli ultimi chilometri che da Desenzano mi conducono a Polpenazze attraverso la poco frequentata strada di Maguzzano, inizio a ripercorrere questa splendida giornata nella mia mente.

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Il segno premonitore ha avuto conferma, l’itinerario si è rivelato perfetto, senza traffico, con panorami sempre spettacolari, il meteo favorevole con cielo limpido, aria frizzante in montagna (13°C) e caldo afoso (34°C) sul basso lago. Alla fine, 190km e 3.123m di dislivello per uno spettacolo che è durato 8h 44′. Tutto gratuito, gentilmente offerto da madre Natura! Unico requisito richiesto un poco di allenamento e tanta determinazione. In assoluto uno dei miei giri meglio riusciti.

MonteBaldo

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!@ Riding around Lake Garda, Climbing up to Mount Baldo

Videogallery: Ciclabile Torbole Rovereto (1’06”) Ciclabile Verona-Resia (0’52”)

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Passo Vivione e Croce di Salven

Oggi venerdì 24 agosto con Carlo partiamo in automobile verso la media valle Camonica, la meta di giornata è il passo del Vivione, una delle salite più belle dell’intera zona. Purtroppo per motivi logistici e di tempo sono trascorsi già cinque anni dall’ultima scalata. Il giro è collaudato, ma quest’anno voglio percorrere la ciclabile “TonalePò” per risalire la valle, in modo da evitare completamente il traffico stradale. Alle 8.13 siamo a Malegno dove ci sta già aspettando Marco U. (aka Furi) che ha preferito parcheggiare a Pisogne e scaldare un po’ la gamba. Scendiamo a Cividate Camune alla ricerca di un bar adiacente ad uno degli ingressi alla pista ciclabile. Due caffè, un cappuccio, una brioches e siamo pronti per partire. Ho impostato la traccia del percorso sul mio Xplova X5 in caso i cartelli fossero poco visibili. Il percorso ci accoglie subito con una meravigliosa e stretta galleria e con un suggestivo ponte sull’Oglio che ci sposta sulla sponda occidentale del fiume.

Proseguiamo, la giornata è di quelle autunnali, cielo plumbeo quasi ovunque e foglie sull’asfalto. La ciclabile si sposta a zig-zag tra campi e boschi con continui saliscendi. Fin da subito ci lascia intuire che non sarà una semplice strada di avvicinamento al passo, ma ci scalderà per bene i quadricipiti (video). Io, Carlo e il Furi chiacchieriamo e disquisiamo sul meteo, dovrebbe piovere nel primo pomeriggio e noi stiamo cercando di calcolare se riusciremo a rimanere asciutti. Prima di Capo di Ponte ancora un paio di sorprese ci aspettano, il guado su grandi pietroni di un piccolo torrente ed una splendida vista sulla Concarena, unico monte quasi sgombro da nembi e sovrastato dal cielo azzurro.

Nell’abitato di Capo di Ponte attraversiamo l’Oglio e ci riportiamo sul versante orientale, qui inizia una breve salita, ma con pendenza a tratti prossima a 18%. Al termine, mentre siamo immersi nel sottobosco, l’asfalto lascia il posto allo sterrato per un breve tratto. Un incanto! Nonostante la fatica di queste prime corte rampe di garage ci stiamo divertendo!

Arriviamo a Sellero, qui la strada ritorna sulla sponda occidentale e attraversa il centro storico del borgo con rampe decisamente impegnative, ad alleviare il tutto lo splendido fontanone di acqua fresca e gli scorci sul torrente Re, teatro del magnifico presepe con statue e abitazioni a grandezza naturale durante il Santo Natale.

Oggi noi ci accontentiamo di fotografare il corso d’acqua e le capanne, ma è facile immaginare quale spettacolo sia in inverno. Dopo aver rabboccato le borracce ripartiamo, la salita non è ancora finita e gli ultimi strappi già al di fuori della frazione di Novelle ci portano ad una caratteristica “Cima Coppi” posta a 500m s.l.m. Si tratta del punto più alto della parte di fondo valle della ciclabile. Noi non perdiamo certo l’occasione per un selfie irriverente e simpatico.

Si scende ora verso Forno Allione, qui lasciamo la ciclopista ed iniziamo la salita clou di giornata, il Passo del Vivione. Salendo dalla val Camonica è un’erta decisamente impegnativa, sia per la lunghezza 20km, sia per il dislivello totale poco più di 1.300m con pendenza media di 6,7%. Questo, però, non deve trarre in inganno, dopo alcune rampe sopra il 10% nella prima parte, sono gli ultimi 6km quelli più impegnativi. Quì la strada, attraversata tutta la valle seguendo il corso del torrente, inizia ad inerpicarsi sul costone della montagna con pendenze sempre sopra 8% e spesso in doppia cifra.PassoVivione Fino all’abitato di Paisco stiamo insieme chiacchierando, in seguito Carlo a qualche difficoltà in più e si stacca, lo aspettiamo al termine della splendida pineta di fondo valle alla fine di un rettilineo che termina con pendenza prossima a 15%.

Siamo pronti per lo shooting fotografico! Al termine di questo giro, in effetti, Carlo avrà un bel album di istantanee che lo ritraggono nei punti più panoramici e difficili delle salite. Ma quanto siamo bischeri! Proseguiamo, nuovamente compatti per qualche tratto, al passaggio della cascata una nuova fermata obbligatoria per fotografie. Difficilmente a fine agosto la si trova ancora così rigogliosa d’acqua, ma si sa quest’anno è stato particolarmente piovoso.

Si riparte, a due chilometri dal passo si sale sull’altopiano, di fronte a noi un piccolo stagno in cui si specchiano le nuvole ed il cielo blu. Alle sue spalle cumulonembi coprono le vette innevate del ghiacciaio dell’Adamello, peccato! Comunque, anche così, la vista è uno spettacolo!

Io ed il Furi percorriamo il lungo rettilineo che porta al rifugio del passo commentando che questi due chilometri ingannano sempre. Si vede il passo e sembra vicino, ma in realtà la pendenza non scende mai sotto 8% e duemila metri di strada sono lunghi! Arriviamo, le nubi si fanno più scure e minacciose, mangiamo una barretta, scattiamo qualche foto, arriva Carlo, lo immortaliamo con altre foto.

Decidiamo, con un poco di rammarico, di ripartire. Ci fermeremo per il panino in fondo alla discesa, quando saremo un poco più sicuri di non prendere acqua. La discesa verso Schilpario, è meravigliosa ed allo stesso tempo pericolosa, la strada nei primi chilometri è molto stretta, ci passano una bici ed un’auto, non di più. Le curve spesso sono cieche e bisogna usare molta prudenza.

Arrivati nel bosco la carreggiata si allarga un poco e ci dà più sicurezza, la velocità aumenta. Io mi attardo, al solito devo scattare alcune fotografie.

Ci ricompattiamo ad una fontana nel centro di Schilpario, un borgo molto frequentato in inverno da sciatori alpini, ma, soprattutto, dai fondisti. Anche d’estate l’escursioni in alta montagna e in arrampicata portano comunque turisti. Il Furi riparte, Carlo lo segue, io sto ancora riempiendo la seconda borraccia quando alzo la testa ed ho dei dubbi su dove siano. Chiamo Carlo, per sicurezza, e riparto. A Dezzo di Scalve inizia la seconda salita, ma prima di affrontarla ci fermiamo a mangiare un panino e bere un caffè; Carlo aveva proprio fame e non avrebbe mai iniziato la seconda salita senza aver mangiato qualcosa di un poco più sostanzioso di una barretta.

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Ripartiamo, attraversiamo il ponte ed iniziamo nuovamente a salire, la Croce di Salven è il punto più alto (1.108m) della strada che riporta in provincia di Brescia nel comune di Borno. Non è un’erta difficile, sono 8,8km con pendenza media di 3,8%, anche qui un lungo tratto in falsopiano maschera molto le reali pendenze che nei primi ed ultimi chilometri sono comunque da salita vera attorno a 7%.CroceSalven Circa a metà una coppia di amatori affiancano me ed il Furi, Carlo si era staccato di poco e saliva “del suo passo”. Ci avevano visti alla partenza della ciclabile a Cividate, hanno parcheggiato l’auto a Lovere, sul lago d’Iseo, ed hanno risalito per intero la valle. Mentre discorriamo amabilmente arriviamo in vetta. Io giro la bici e scendo un tratto incontro a Carlo, mi fermo in un punto che reputo panoramico per fotografare la valle di Scalve ed il passo. Scorgo da lontano la nostra splendida maglia da “Cicloturisti!”, decido di aspettare lì, e di ultimare lo shooting a Carlo.

Poco dopo lo “scollinamento” ci ricmpattiamo con il Furi, iniziamo la discesa attraverso Borno e Ossimo. La strada è molto larga, si scende in velocità, di fronte a noi lo spettacolo della valle e dell’Adamello. Io inevitabilmente mi fermo e fotografo, giunti a Malegno Carlo e Marco mi aspettano.

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Un saluto al Furi che prosegue in bici verso Pisogne cercando di scoprire se anche la parte a sud della ciclabile è bella ed interessante come quella che abbiamo percorso in mattinata. Io e Carlo siamo arrivati, carichiamo la bici in automobile, ora in valle il sole è tornato a splendere. Sono poco più di 90km con 2.300m di dislivello: corto ed intenso, ma soprattutto oggi abbiamo scoperto una bellissima ciclabile la “TonalePò”!

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Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!@ Ciclabile Camuna ↗️↘️, Passo Vivione, Croce Salven

Videogallery: Ciclabile Camuna (2’30”)  –  Passo del Vivione (2’18”)  –  Croce di Salven (32″)

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Punta Veleno

Sono le 5.15 del mattino di sabato 28 luglio quando parto da Polpenazze per affrontare una tra le salite più “arrabbiate” d’Italia: la temibile punta Veleno in località Prada Alta, un piccolo altopiano a mille metri di quota sopra la sponda veronese del lago di Garda. Da alcuni anni, ormai, la tengo sott’occhio, ma per un motivo o per l’altro durante i miei soggiorni estivi lacustri non sono ancora riuscito a trovare il momento giusto. Oggi lo è! La giornata inizia con gli ultimi scorci dell’eclissi totale di luna, alla partenza una rapida istantanea al nostro satellite è un tributo dovuto.

Rapido scendo a Salò, mentre il sole inizia a rischiarare il cielo dietro al monte Baldo. Le luci ancora accese sul lungolago e nelle vie danno un sapore magico al mio golfo. Qualche fotografia e si riparte, il primo obiettivo è di risalire tutto il lago fino a Riva d/G nel minor tempo possibile, ma senza affaticare troppo la gamba.

E’ così che prima delle 7.30 sono nella cittadina trentina senza avere subito il traffico estivo della gardesana. La giornata è piuttosto afosa, l’orizzonte non è limpido, guardando il basso lago si vede già molta foschia. Mi fermo in piazza dell’imbarcadero, dove sono ancora ormeggiati metà della flotta dei battelli di Navigarda (l’altra metà è a Desenzano e Peschiera). C’è l’Italia, il battello a pale dei primi del novecento, il mio preferito, quello che mi porta alla mia adolescenza. Inevitabile un reportage fotografico a lui dedicato.

Faccio la mia colazione e riparto, attraversando le vie del centro, giungo a Torbole. La quantità di negozi e noleggi di biciclette in questa zona è incredibile e molti sono già aperti a quest’ora. All’uscita del paese mi fermo su un pontile per qualche scatto verso la magnifica strada del Ponale e verso monte Brione che separa i due comuni del Garda trentino.

Issate le vele riparto verso sud con un notevole vento a favore, senza nessuno sforzo spesso supero i 30km/h a volte raggiungo i 40km/h. Proprio quello che  mi ci vuole per arrivare a Castello di Brenzone con la gamba calda, ma ancora piuttosto riposata. Sono le 8.10 ho già percorso 81km ad un media per me inusuale di 27km/h, per forza, ho solo 500m di dislivello nelle gambe, ma ora si recupera! Seguendo pedissequamente le indicazioni del mio Xplova X5 salgo a Castello dalla peggiore delle strade, il muro di via del Dosso, una cementata di trecento metri tutta sopra il 20%! Giusto per preparare la gamba a ciò che sta per arrivare (ndr scartabellando su Strava solo 153 rincitrulliti sono passati di lì ed io sono 14imo!). Altri cinquecento metri nell’abitato di Castello e con svolta secca a sinistra parte punta Veleno, annunciata da un grande e dettagliato cartello.

Si trovano scritti il tracciato altimetrico, le pendenze medie di ogni mezzo chilometro, il totale della salita per giungere a Prada Alta, 8km, la quota di partenza 164m, la quota di arrivo 1.156m e la pendenza media dei primi 6km “solo” il 15,3%, ma soprattutto quattro fotografie di ciclisti di cui una con un amatore che mestamente sale a piedi. Insomma “lasciate ogni speranza voi che entrate”. La catena sale immanentemente sul pignone da 32 denti e credo che lì starà per un bel po’. Il primo chilometro in realtà non sembra così terribile, qualche rampa intorno al 12% si alterna a pendenze normali di 8% e 10%, io procedo con circospezione. Dopo cinquecento metri il primo tornante, il 20°, la numerazione è decrescente come è giusto che sia per dare l’idea di quanto manchi all’arrivo. Alla fine del primo chilometro il tornante 18°, davanti a me un bel rettilineo con pendenza tra il 15% e il 18%.

La velocità ha del ridicolo tra i 4,5km/h ed i 5km/h la cadenza di pedalata tra le 36 e 42 battute al minuto. Scopro così, dopo anni, che il mio Joule gps sotto i 5km/h non aggiorna la pendenza istantanea. Poco male ho imparato a conoscermi ed ho una personale tabella; fino al 14% posso salire seduto in posizione arretrata per utilizzare anche i muscoli posteriori, sopra al 14% la ruota anteriore inizia ad impennare e devo, forzatamente, mettermi in punta di sella con la schiena bassa e la testa davanti all’attacco manubrio. La posizione in fuori sella è da escludere, a quella velocità diventa più un esercizio di equilibrismo poco ergonomico, alzare la cadenza e la potenza significherebbe scoppiare dopo massimo un chilometro e non vedere la cima. Proseguo, passano i tornanti, il terzo chilometro è un rettilineo unico e non mi sposto mai dalla posizione in punta di sella, i reni stanno scoppiando, la schiena fa più male delle gambe, ma con caparbietà e sempre al minimo insisto.

Dal quarto chilometro ricominciano i tornanti, almeno lì per qualche secondo riesco a rilassare la schiena. Prima del quinto chilometro al tornante 9° si apre la vista sull’orrido della valle di Trovai o Berton. Niente da fare, complice il fatto che sul tornante la strada spiana e mi consentirà un’agevole ripartenza, devo fermarmi a scattare un paio di fotografie. Sto fermo il minimo indispensabile, durante queste ascese è sempre una brutta idea interrompere il ritmo della pedalata.

Riparto, fortunatamente tra i 5,5km e i 6,5km la pendenza è leggermente più dolce, riesco a portarmi in posizione arretrata più di una volta. Arrivo ai primi alpeggi, sono ormai sopra quota 900m, il più è fatto. Ancora pendenze cattive fino a poco oltre il settimo chilometro, poi finalmente si comincia a rifiatare, distendo la schiena, inserisco anche il 28 per un breve tratto e mi godo il bosco di Prada Alta.

La strada è quasi piatta, o così sembra, dopo questa salita verticale. Ecco! Vedo finalmente la fine della valle di Trovai, quella che crea l’orrido verticale sul lago. Attraverso un ponticello e mi porto sull’altro versante, da qui una vista suggestiva sulla nuda montagna che sovrasta verticalmente la strada per gettarsi a capofitto verso il lago. Ovviamente mi fermo e fotografo, peccato per la foschia sul lago, ma come dice Giorgio #nevalsemprelapena!

Questo era il mio premio per la fatica, questo passaggio da solo vale il viaggio! Ora ancora qualche centinaio di metri e mi trovo su un bel prato erboso da cui si erge il cartello di “fine salita” di Punta Veleno. Questa volta mi fermo ed il selfie è obbligatorio, come lo è l’istantanea pubblicazione su Instagram.

Mangio e me la godo un poco. Riparto, venti chilometri di lunga discesa, su ampia carreggiata, mi condurranno sino a Torri del Benaco. Scendendo, scopro che San Zeno in Montagna (500m s.l.m.) è una località turistica viva e densamente affollata al pari delle più rinomate cittadine a bordo lago. La vista su gran parte del basso Garda è incantevole e la temperatura leggermente più fresca e sicuramente meno umida la fanno sicuramente apprezzare agli amanti delle vacanze un poco più tranquille.

Arrivato sul lungolago di Torri scopro che il traghetto sta già arrivando, quindi niente fotografie e lesto verso la biglietteria; 8€ il costo per una bicicletta sul traghetto per Maderno. Oggi per me li vale tutti perché questo mi consentirà di evitare il giro del basso lago affollatissimo in questo primo fine settimana di ferie per le grandi aziende. Salito sul battello, mi rilasso, mangio e scatto altre istantanee dal lago.

Sbarco a Maderno alle 11.20, pochi chilometri di gardesana trafficata ed al bivio per il Vittoriale non ci penso  troppo, svolto a destra e salgo a San Michele. La gamba è buona, si è riposata nel trasferimento. Tutto sommato, per eccesso di prudenza, non si è mai affaticata troppo neanche salendo a punta veleno, quella che stava urlando di dolore in effetti era la schiena. Spingo sui pedali, ne vien fuori addirittura un buon tempo con 205w di media, anche perché avevo avvisato casa che ero, stranamente, in anticipo e sarei riuscito ad arrivare per le 12.30 a pranzo. Scendo rapido a Salò e prendo la via che reputo più veloce per giungere a Polpenazze. Ore 12.35 apro il cancello, missione compiuta!

Oggi il grazie me lo tengo tutto per me, ma soprattutto per le mie gambe e per i miei reni!

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!@PoisonEdge😱 (Punta Veleno)

Videogallery: video (5’09”)

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Lago d’Endine e le sue piccole valli

Da un paio di anni desidero scoprire le salite delle valli bergamasche. Oggi sabato 21 aprile è il giorno giusto per percorrerne alcune. Alle 6.15 del mattino, con l’amico Giorgio, parto da Adro in direzione del Sebino. Oggi è il suo compleanno e, “ciclisticamente” parlando, uno dei modi migliori per festeggiarlo è quello di accompagnarmi alla scoperta di alcune delle sue strade preferite. Passano un paio di chilometri e già il naso guarda all’insù verso il Belvedere di Capriolo; poco meno di un chilometro con 8% di pendenza media. Giorgio dice che serve per scaldare la gamba?!? Dal momento che sono previsti più di 2.700m di dislivello non vedo tutta questa necessità, comunque accetto di buon grado (#lapianuranonesiste). Giungiamo al lago, attraversiamo il ponte sull’Oglio e ci troviamo in provincia di Bergamo. Il cielo è limpido presagio di una bella giornata. Il vento soffia forte da nord, come sempre a quest’ora sul lago. Noi lo costeggiamo fino a Tavernola Bergamasca, qui svoltiamo a sinistra ed iniziamo a salire verso Vigolo per poi prendere la strada verde che ci condurrà fino ai colli di San Fermo.

La salita è lunga e dai paesaggi meravigliosi (vedi Colli di San Fermo (da Vigolo, Bratta)), noi la affrontiamo ad un buon ritmo, almeno per me. Giorgio,invece, deve spesso tenere a freno la sua gamba per non scapparmi avanti. Dopo Vigolo entriamo nella valle e risaliamo gli alpeggi che portano a Bratta. Impossibile non fermarsi ed immortalare anche oggi questi scenari incredibili.

Sono passate quasi due ore dalla partenza e mancano ancora circa 6 km alla vetta, ci troviamo di fronte le rampe più dure quelle con pendenze attorno al 15%, ma chiacchierando amabilmente la fatica si sente meno. In breve siamo sopra ai 1.000m di altitudine e il primo tratto di sterrato è davanti a noi, da qui la vista all’orizzonte spazia anche verso nord e verso il ghiacciaio dell’Adamello, oggi leggermente offuscato, nonostante il cielo abbastanza limpido. Gli ultimi 2,5 km sono i più facili, lunghi falsopiani si alternano a brevi rampe.

Il punto più alto, salendo da Bratta, è il colle di Caf (1.246m), da lì si domina il paesaggio della val Cavallina e delle Alpi bergamasche. Ci fermiamo, un rapido scatto fotografico ed una barretta energetica. Riapartiamo una breve discesa ci conduce al valico di San Fermo dove non possiamo evitare il selfie con il campanile della chiesa per commemorare il compleanno di Giorgio (San Fermo è la sua salita di allenamento preferita).

Il sole scalda, la temperatura è di 17°C e decido di scendere senza indossare la mantellina. Pazzesco! Solo un mese fa, qui come al Cavallino della Fobbia, c’era la neve e noi ci pedalammo sopra (vedi Passo Cavallino della Fobbia mon amour). A Grone, finita la discesa, optiamo per la sponda destra del lago d’Endine, molto meno trafficata della statale ss42 dell’altro versante. Possiamo godere, in tranquillità, delle incantevoli viste sul lago. Giunti a San Felice obbligo Giorgio ad una fermata, ho individuato un piccolo pontile da cui immortalare lo specchio d’acqua.

Proseguiamo girando attorno al lago, appena giunti ad Endine svoltiamo a destra in via Panoramica, questo ci consentirà di evitare la statale anche nel tratto a sinistra del lago e di congiungerci con la salita che porta alla forcella di Bianzano essendo già a mezza costa. La via è Panoramica di nome e di fatto, subito una rampa ci fa guadagnare quota, in questo modo lungo tutta la salita abbiamo una splendida vista sul lago e sulla val Cavallina. Oltrepassiamo Ranzanico e poco dopo esserci ricongiunti con la strada principale che sale dai Bianzano, ci fermiamo nuovamente per uno scatto e perché no anche per una barretta; anche oggi i kom su Strava li lasciamo agli altri 🙂

Ripartiamo, mancano ancora tre chilometri alla Forcella, la salita in tutto misura poco più di 6 km con pendenza media di 5%, sempre piuttosto pedalabile con alcuni

ValleRossaDaViaPanoramica

piccoli strappi ed alcuni tratti in leggera discesa. Arrivati alla Forcella iniziamo la discesa in valle Rossa, un centinaio di metri e sul tornate a sinistra troviamo la fontana meta obbligatoria per tutti i ciclisti, ovviamente ci fermiamo e rabbocchiamo le borracce. Ripartiamo la discesa è veloce e rettilinea in pochi minuti entriamo nell’abitato di Cene. Teniamo sempre la destra e siamo già sulla terza scalata di giornata. Il Santuario di Monte Altino si trova a 850m sul livello del mare. Sono poco meno di 5 km con pendenza di 9%, molto costanti, praticamente sempre in doppia cifra e con una rampa finale attorno al 15%.

MonteAltinoDaCene

La salita è stupenda, dapprima sale a tornati immersi nel bosco, poi prosegue con un lungo traverso fino al santuario. Talvolta si aprono radure e pascoli dai quali, guardando verso nord, si possono osservare le Alpi bergamasche ancora innevate. Io sono piuttosto stanco, e sono costretto a calare il ritmo. Giorgio invece ha sempre il solito passo, così mi stacca, avanza, e mi scatta qualche fotografia. Io ringrazio e pubblico.

Arriviamo al santuario ed io chiedo di poter salire fino al piazzale per scattare qualche foto. Così mi siedo sui gradini della scalinata e mi godo il paesaggio.

Ripartiamo, da qui per giungere al colle Gallo (763m) in realtà è quasi tutta discesa, attraversiamo ancora meravigliosi alpeggi e boschi per circa tre chilometri.

Siamo al Colle Gallo, anche qui un Santuario ricorda un’apparizione della Beata Vergine del 1690, ma questa è famosa per essere protettrice dei ciclisti, quindi siamo obbligati a fermarci e scattarci una fotografia a memoria di questo splendido giro.

Iniziamo la discesa che ci riporta in val Cavallina attraverso il borgo di Gaverina Terme, bella, ampia, con numerose curve e tornanti che invitano a lasciar correre la bicicletta per divertirsi. Dopo otto chilometri siamo nuovamente sulla temibile ss42 in direzione sud. Fortunatamente dopo solo tre chilometri Giorgio devia a destra verso Case Benti, prendiamo una parallela alla statale che ci permette di fare rifornimento idrico e di evitare un paio di chilometri di traffico, già perché la temperatura è salita fino a 30°C e io sto bevendo come un cammello! Si torna sulla via principale, ma per pochissimo, passato il paese di Entratico deviamo a sinistra in direzione Zandobbio.

SanGiovanniFormicheDaZandobbio

Dopo circa quattro chilometri, ed aver attraversato la frazione di Selva, inizia l’ultima erta di giornata, San Giovanni delle Formiche. L’ho già scalata un paio di anni fa e ricordo che a fronte di una modesta lunghezza (meno di 3 km con pendenza media di 8%) racchiude in sé un insidioso chilometro costantemente tra 11% e 15%. Affronto la temibile rampa con cautela e le gambe girano meglio di quanto avessi immaginato, nel frattempo Giorgio è andato avanti al suo ritmo. Scolliniamo, oggi non c’è il tempo per arrivare all’ex monastero di San Giovanni (ora ristorante) dal quale si ha un ampio panorama sul lago d’Iseo. Ci accontentiamo di fotografare Foresto Sparso attraverso il bosco.

In fondo alla discesa attraversiamo l’abitato di Villongo prima e di Credaro poi. Ora ci infiliamo in una bellissima e stretta stradina che porta al ponte sull’Oglio di Castelli Caleppio. Attraversiamo il fiume e siamo di nuovo nel bresciano.

Capriolo, Adro, arriviamo al parcheggio dove ho lasciato l’auto. Sono 118 km per quasi 2.800m di dislivello, la velocità media non arriva a 20km/h, ma considerato che è il primo vero giro lungo della stagione posso solo essere soddisfatto. Contento di aver scalato due nuove bellissime salite (Forcella e Monte Altino) in una splendida e, finalmente, calda giornata di sole. Felice di aver accompagnato Giorgio nel giorno del suo compleanno.

Tanti di questi giorni in bicicletta Giorgio!

BrattaValleRossaColleGallo

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!Bratta,ColliSamFermo,ValleRossa,MonteAltino,ColleGallo,SanGiovanniFormiche

Videogallery: LagodEndineValleRossaColleGallo (3’30”)

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Passo Cavallino della Fobbia mon amour

Sabato 14 aprile alle 6.38, prima che sorga il sole, parto direzione Coste e passo Cavallino della Fobbia da Vobarno. Luci accese quasi fossi un albero di Natale. Le previsioni sembrano essere buone, ma questo 2018 ci ha già riservato parecchie sorprese dalla neve in pianura di Marzo alle ultime copiose piogge. La temperatura è ancora di quelle invernali, 6°C in partenza. Passo Cavallino ed il mio pensiero inizia il suo “stream of consciousness” ancor prima che io inizi a pedalare. Era il 25 aprile del 1997 quando lo scalai per la prima volta e fu subito sofferenza ed amore. All’epoca si calcolava ancora il chilometraggio con il compasso sulla cartina del TCI ed il dislivello per differenza tra la sommità dei passi e le quote dei paesi di fondo valle. Per capire le pendenze ci si affidava al simbolo “>” una freccia meno di 6%, “>>” fino a 11%, “>>>” più di 12% di pendenza, ma quelle della Fobbia non erano indicate, stradina secondaria e poco rilevante. Così, al mio terzo anno ciclistico, dopo aver scalato Lodrino mi trovo davanti la salita dal versante di Vestone; magnifica, ma capii subito che sarebbe stata dura e indimenticabile. Dopo Treviso Bresciano, all’altezza del Santuario della Madonna delle Pertiche, vidi Lei, tutti gli Angeli, gli Arcangeli e i Santi del Paradiso! La mia più colossale crisi di fame, mi fermai, mangiai tutte le merendine che avevo e stetti seduto a riposare sotto il portico della chiesa sperando che gli zuccheri entrassero in circolo per più di venti minuti. Da allora il versante di Vestone ha il mio perenne rispetto. Fu, però, amore immediato, tanto affascinante, varia, spettacolare era quell’erta. Sono già a Nave, tempus fugit, il rimembrar emozioni passate fa scorrere l’orologio a doppia velocità. Codesto è il motivo principale per cui la Fobbia è in assoluto tra le mie salite preferite. Inoltre rappresenta, ogni anno, la prima vera scalata alpina oltre i 1.000m di quota e con lunghezza di gran lunga sopra i dieci chilometri da entrambi i versanti. Scollino le Coste di Sant’Eusebio con tranquillità e mi dirigo verso Vallio, attraverso alcuni tratti della ciclabile ed alle 8.15 in centro a Vobarno svolto a destra in direzione Valdegagna. Inizia finalmente il

Cavallino della Fobbia (13,7km al 6,1%), il fondo valle si distende in direzione nord-est lasciandomi all’ombra per i primi quattro chilometri, la temperatura scende fino a 3°C.

PassoCavallinoFobbia(daVobarno)

Finalmente dopo l’abitato di Degagna il sole inizia a fare capolino da dietro le montagne. Il cielo si rasserena sempre più, guardando verso nord è completamente terso, presagio di una splendida giornata. Dopo sei chilometri si inizia a fare sul serio, due tornanti secchi e ravvicinati, un cavatappi, con pendenza sopra il 12% mi ricordano che l’erta è di quelle toste. Cinquecento metri per rifiatare e si inizia a salire con decisione, da qui la pendenza sarà costantemente in doppia cifra per quasi sette chilometri. Contemporaneamente lo spettacolo della Valdegagna cresce ad ogni metro di altitudine guadagnato. Ormai l’ultimo borgo è vicino, all’ottavo chilometro oltrepasso Eno, da qui fino alla vetta la strada si snoda sul versante occidentale e soleggiato della valle.

Ho superato i 600m di quota la vegetazione iniza a cambiare, i pascoli si alternano ai primi boschi di pini cembri, il sole mi sta scaldando, la temperatura è salita fino a 10°C, ma, confesso, mi sembrano molti di più, l’aria è asciutta, il clima ideale. Dopo il bivio per la scorciatoia per Treviso B. mi devo fermare per scattare alcune foto, il panorama è stupendo e me lo voglio godere appieno.

Continuo a salire e c’è spazio anche per un poco di narcisismo con un paio di autoscatti “on action”, a volte mi piace far finta di essere “uno di quelli forti”.

Sono felice, quasi non sento la fatica, sono così immerso nello splendore di questa giornata finalmente baciata da un caldo sole dopo un interminabile inverno che mi ha dato tanto “ciclisticamente” parlando. Arrivo al passo Cavallino (1.090m), ma non mi fermo, proseguo lungo il “traverso”, un chilometro circa che volgendo a nord collega il valico alla cima Fobbia (1.120m). Solo tre settimane fa l’asfalto era coperto di neve e con l’amico Giorgio ci siamo improvvisati piccoli Omar Di Felice che danzavano sulla neve.

Già perché quest’anno, nel primo sabato (24 marzo) dopo l’equinozio scalammo il passo dal versante di Vestone in una giornata che di primaverile aveva solo il calendario. Temperatura costantemente sotto i 6°C e minima a 0°C lungo tutto il tratto innevato e per il primo tratto di discesa verso Vobarno. Fu un’emozione ed un giro fantastico anche se gelido e ne serbo un vivido ricordo. Passare nuovamente qui, dopo sole tre settimane, in una clamorosa giornata di sole e cielo limpido mi sta regalando grande gioia e divertimento.

Raggiungo la vetta, mi fermo per il consueto e meritato ristoro e scatto alcune didascalie di questo incredibile paesaggio in cui le cime dei monti, ancora abbondantemente innevate, fanno da contrasto ai boschi sottostanti che germogliano verdi e rigogliosi.

È ora di ripartire, ci sono 14°C sono quasi le 11.00 ed il sole irradia calore, decido di scendere senza indossare l’antivento per asciugare più rapidamente la maglia. Scendo piano, mi godo il paesaggio degli alpeggi e delle vallate, mi asciugo e non sento freddo.

Passato Treviso Bresciano opto per la discesa verso Idro, leggermente più lunga di quella per Vestone, ma decisamente più veloce e soprattutto più panoramica. Sapevo che uno dei miei posti preferiti per guardare l’orizzonte oggi non mi avrebbe tradito e ivi giunto mi siedo e mi fermo a meditare un’attimo.

A malavoglia riparto, discesa con sede stradale ampia, ma tortuosa, che invita a pieghe esagerate anche chi, come me, “discesita” non è! Arrivo ad Idro, scatto un paio di istantanee, a pelo d’acqua, a questo meraviglioso specchio azzurro circondato dalle prime vette alpine e chiuso all’orizzonte dal gruppo dolomitico del Brenta.

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Riparto, sono le 11.20 circa, mi mancano una quarantina di chilometri per giungere a casa attraversando la val Sabbia e risalendo nuovamente le Coste. La spettacolare giornata mi ha distratto e nell’osservare luoghi e paesaggi ho perso la cognizione del tempo, rimanendo colpevolmente in ritardo sulla mia tabella di marcia. Ci provo, spingo sui pedali e nonostante le salite arrivo per le 13.00, sinceramente non ci speravo. Sono 105km per quasi 2.000m di dislivello a 22,6km/h di media. Per essere una delle prime uscite lunghe neanche male, ma quello che più importa è che anche oggi il Cavallino della Fobbia si è confermata come una delle erte più belle e difficili da scalare. Una salita che, da vent’anni, mi dona ricordi importanti e che quest’anno per la prima volta si è vestita a festa prima di immacolato bianco candore nevoso e subito dopo di lucente, caldo e rigoglioso verde primaverile.

Passo Cavallino della Fobbia mon amour!

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturistiforever!Coste,P.soCavallinoFobbia(Vobarno),Coste🏞️🌺🌷🌱🌲🌳🏵️🌼💐🌻Cicloturistiforever!@Lodrino,PassoCavallinoFobbia,Coste❄️❄️❄️

2018-05-09

Videogallery: Video innevato (3’33”)Video primaverile (3’17”)

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Monte Tesio pasquale

È il primo aprile, domenica di Pasqua, anche quest’anno mi voglio regalare un piccolo giro. Ore 6.19 parto alla volta del colle Sant’Eusebio, la temperatura è ancora rigida. In città il gps segna 8°C che rapidamente scendono a 3°C non appena inizio la salita all’uscita del paese di Nave. Il cielo è ancora buio, dopo Caino inizia ad albeggiare, verso oriente si intravedono ancora nuvoloni bassi che copriranno il sorgere del sole, al contrario ad occidente il cielo sembra terso. La prima sorpresa è al penultimo tornante oltrepassato il quale la strada volge di nuovo verso est e sopra le montagne si intravede la luna quasi piena che volge al desio. Meravigliosa! Subito la mente corre a René Magritte, il mio surrealista onirico preferito, ai suoi paesaggi notturni con la luna che spicca nel cielo blu come volesse uscire dalla tela.

Non posso che fermare la bicicletta e cercare di catturare quest’immagine con il mio telefono, già così il giro di oggi è riuscito! Una vista, un paesaggio, una foto che da sola vale la partenza prima dell’alba. Rimonto in sella, la temperatura è scesa a 1°C, quasi non la sento: sarà colpa della sindrome di Stendhal! Scollino ed in vetta alle Coste il panorama verso oriente è di quelli rari a vedersi!

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L’aria gelida e cristallina dona alla vallata di Vallio una colorazione inusuale. Il monte Baldo, sulla sinistra, svetta con il suo abbagliante bianco candore da dietro  le vicine colline. La neve è caduta copiosa sopra i 1.200 metri per tutta la giornata di ieri e stamattina se ne godono i piacevoli effetti visivi. Riparto lesto e scendo verso Vallio, i primi tre chilometri sono ripidi e gelidi, poi, fortunatamente, le dolci pendenze che conducono fino a Gavardo mi consentono di pedalare e generare nuovo calore per riscaldarmi. Gavardo, fine discesa, inizio salita e zero pianura, proprio come piace a me. Inizia il Tesio, la salita che dal paese conduce verso Serle prende il nome dall’omonimo monte e frazione abitata. Un’erta che incute rispetto e timore a molti ciclisti a causa della sua pendenza in doppia cifra e talvolta sopra il 20%. Oggi la affronto con tutta la calma possibile, con queste temperature fare dei fuori soglia per me significherebbe bronchite assicurata!MonteTesio

Il Monte Tesio non arriva a cinque chilometri di lunghezza con una media prossima al 10%, ma questo non deve ingannare. Appena si svolta a destra ci si trova davanti una strada che per quasi due chilometri non scende mai sotto il 14% sfiorando più volte il 20%. Lunghi rettilinei caratterizzano questa parte, il cielo è azzurro ed anche verso est le nuvole si stanno diradando, segno che a breve il sole riscalderà il monte donandogli colorazioni meravigliose.

Dopo i primi due chilometri la strada spiana un poco, giusto il tempo di un sorso d’acqua e parte la prima scala, circa duecento metri  al 17% seguiti da altri trecento più facili intorno a 8%. Una piccola discesa consente un’altra bevuta e mi porta alla seconda temibile scala. Lì, davanti a me, un “drittone” di cinquecento metri, la prima metà più semplice intorno a 14% poi una finta pausa di qualche decina di metri a 10% ed infine una sorta di crescendo che culmina in una gobba in cui si vede comparire il numero 24 nel riquadro della pendenza del gps. Oltrepassata indenne la schiena d’asino la strada si assesta su pendenze più ragionevoli tra 7% e 10%. Inoltre si inizia a percepire il cambio di paesaggio, sono entrato ormai nell’altopiano delle Cariadeghe (il Lido) anche se dal versante opposto rispetto a quello che percorro solitamente. Il sole si è alzato ed alla mia destra, al di là dei rami ancora spogli del bosco, vedo distintamente il lago di Garda, riconosco la sagoma tozza della rocca di Manerba, peccato il forte controluce non consenta di fare una fotografia di questo spettacolo. Non mi ero mai accorto che si potesse vedere il lago durante la salita, forse perché l’ho sempre percorsa con le piante già ricolme di foglie, forse perché troppo concentrato nell’ascesa. Entrato nel bosco la strada spiana completamente e per un centinaio di metri è di nuovo discesa.

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Al termine un paio di tornanti riprendono a salire, dopo il terzo il bivio: a destra monte Tesio, a sinistra Serle. Svolto a destra e proseguo ancora per poco meno di un chilometro fino alla fine della strada asfaltata. La salita è dolce, i paesaggi incredibili, la luce del sole filtra tra i rami ancora spogli del bosco illuminando le doline delle Cariadeghe.

Giro la bicicletta, mi fermo e scatto numerose fotografie alle doline, ai verdissimi muschi, ai tronchi ancora spogli degli alberi, qualche minuto di sosta per godere appieno della Natura incontaminata. Riparto, mi ricollego alla strada che porta a Serle, ancora poco più di un chilometro di salita con una media attorno a 8% e sono sulla cima Coppi di giornata (poco più di 700m s.l.m.). Oltrepasso l’abitato di Serle, ma in una giornata così non posso che fermarmi al solito punto panoramico per immortalare il paesaggio.

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Sono le 8.45 e come al solito devo sbrigarmi se voglio arrivare a casa in orario.Da qui è praticamente solo discesa lungo la quale ripenso alle meravigliose immagini di quest’alba appena trascorsa. Monte Tesio, nonostante le ripide rampe hai rivelato il tuo reale aspetto di affascinante bosco incontaminato!

Dettagli tecnici su Strava: HappyEaster!Coste,Tesio

MonteTesio

Videogallery: MonteTesio (2’58”)

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Io, Maddalena e Burian!

 

Domenica 25 febbraio, è in arrivo il vento gelido da est, lo chiamano Burian. Sono le 7.29 quando parto sperando di poter andare a giocare con la neve al “Lido” (Allenarsi in salita d’inverno? Si può! Alle Cariadeghe e ci si diverte!), ma, appena uscito di casa, una forte folata di vento mi fa venire qualche dubbio, una seconda mi costringe al “piano B”. Già, perché c’è sempre un “piano B”! Salgo in Castello, giusto per riscaldarmi un pochino, e poi Maddalena. Ero salito ieri per cercare la neve e l’avevo trovata solo in vetta nel falsopiano verso Muratello. Risalirò anche oggi. In Castello il vento è pungente, a volte raffiche impetuose costringono a correzioni nella guida in salita, ma soprattutto in discesa. Oltrepasso piazzale Arnaldo ed inizio la scalata della “Madda”. Ogni tornante a sinistra è inesorabilmente esposto ad est ed il forte vento si fa sentire rallentando l’ascesa e talvolta facendomi sbandare. L’asfalto è fortunatamente già cosparso di sale e ghiaia, segno che i mezzi sono passati ancor prima dell’alba. Risaliti i primi 3km (quelli della panoramica) svolto a sinistra per imboccare il lungo viale alberato che conduce a San Gottardo. 2018-02-25_080117_Burian è li che mi aspetta, ne odo il forte urlo qualche decina di metri prima della curva. Arriva, afferro con fermezza il manubrio e resisto alle sue folate. Un fugace sguardo al gps, la temperatura è scesa a -2°C. Continua così per un centinaio di metri, io piegato sul manubrio per offrire meno resistenza al vento che da destra mi spinge a colpi verso il centro della strada. Se continua così sicuramente non rischio di salire in vetta. Fortunatamente, il soffio si calma un poco, arrivo al capolinea degli autobus, ora la strada è più riparata, salgo con tranquillità. Al primo tornante dopo S.Gottardo raggiungo uno dei punti più esposti ai venti orientali.

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Nuovamente stringo saldamente il manubrio e mi piego su me stesso, la temperatura è scesa ancora, adesso sono a -4°C. L’asfalto in alcuni punti sembra gelato. Io confido nelle mie gomme 700×38 gonfiate solo a 2bar. Passo anche il terzo tornante sempre esposto ai venti e mi avvicino ad un altro punto critico. In località Medaglioni per un corto tratto la strada è scoperta su tutti e quattro i lati, qui il vento soffia violento con continui cambi di direzione, incredibilmente al mio passaggio c’è un attimo di relativa quiete che mi consente di arrivare nella parte di salita esposta a nord, quella più protetta dai venti. In compenso la temperatura continua a scendere ora sono a -6°C. La neve ormai è una costante a bordo strada, questa notte era prevista una debolissima nevicata fin da quote basse, così è stato, non più di 2cm, una spolverata di zucchero a velo che rende questi paesaggi fiabeschi. Il contrasto tra la bellezza della montagna innevata e la inquietante forza del vento gelido è affascinante e coinvolgente al tempo stesso.

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Essere qui, solo, di fronte alla natura, non per sfidarla, ma per contemplarla e comprendere, una volta di più, quanto sia immensamente più grande di me. Incredibilmente coinvolgente. Se da un lato il mio animo è sopraffatto dalla maestosità della forza di Eolo, dall’altro il mio cervello è concentrato sull’asfalto e sulla tenuta della bicicletta. Ormai ho passato anche il settimo e l’ottavo chilometro, anche la strada a tratti si ricopre di neve ghiacciata, segno evidente che il sale non è arrivato ovunque.

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Io la percorro con circospezione, ma fortunatamente non percepisco mai problemi di tenuta. Sono sul falsopiano, anche il grande “curvone” è passato; pensavo peggio, visto che è esposto ad est, ma a parte un grande e inquietante rumore il vento mi ha graziato.

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Ho il tempo di osservare di nuovo il gps, ora ci sono -7°C discretamente freddo direi. L’ultimo chilometro è sicuramente il più scenografico, nuovamente nel bosco sotto agli alberi imbiancati, con l’asfalto a tratti ghiacciato ed il vento che fa volare fiocchi di neve gelata dai rami delle piante. Ormai ci sono, entro nel piazzale, ora la temperatura è di -8°C, rivolgo la bici verso la città e termino la ripresa.

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Oggi non c’è il tempo per estrarre il telefono e scattare fotografie, mi accontento di quelle del X5evo. Temo la discesa più della salita. I piedi, con le nuove scarpe invernali ormai sono al sicuro, le mani invece sono tuttora il mio tallone d’Achille.

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Dopo il primo chilometro inizia a nevischiare, poca roba, tanto che all’inizio penso che sia ancora la neve spostata dal vento. Invece no, poco, molto poco, ma sta nevicando. Nella discesa incontro parecchi bikers (mtb) e qualche runner, ci salutiamo tutti, come volessimo trarre forza e rispetto gli uni dagli altri. Dopo aver oltrepassato nuovamente San Gottardo incontro anche qualche impavido con la bici da corsa, chissà se riuscirà ad arrivare in vetta o se dovrà invertire la rotta prima per la scarsa tenuta? Io continuo a schiaffeggiare la mia mano destra contro la coscia, anche stavolta il gelo si è impossessato delle mie mani dopo pochissimi chilometri di discesa. Arrivo in via Pusterla, la discesa è finita senza troppi patemi d’animo per la tenuta di strada. Oggi il cronometro non conta, non ho neanche guardato a che velocità salivo o quanti watt sviluppavo. Oggi guardavo la natura  e cercavo di capire fin dove mi avrebbe lasciato arrivare senza farmi rischiare più del dovuto.

Grazie Burian!

MaddaBurian

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Videogallery: Burian in Maddalena 2’09”

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Valle Duppo invernale!

Sabato 17 febbraio, l’inverno bussa ancora forte, sono le 7.25 quando parto da casa con un’idea fresca fresca, compiere il giro della valle Duppo sottozero (vedi (I’m going) Alone to Alone). Il tempo di acclimatarsi ed il gps segna 0°C ancor prima di uscire da Brescia. Risalgo la valle del torrente Garza verso il colle di Sant’Eusebio, le mitiche Coste. A Caino (metà salita) la temperatura è scesa a -3°C. Sui versanti nord delle montagne inizia a comparire la neve. Giusto domenica scorsa una nevicata a bassa quota aveva imbiancato tutti 2018-02-17_082105_i monti circostanti la città. Al penultimo tornante la neve lambisce ancora la strada. In vetta la temperatura è risalita fino a 0°C. Scollino e senza indugio mi getto in discesa per sfruttare il calore che ho generato durante la salita. Giungo ad Odolo, sono nuovamente a -3°C, svolto a sinistra e risalgo verso Agnosine e Bione, con calma, cerco di non alzare troppo i watt, voglio mantenermi caldo, ma sudare il meno possibile. Attraversato l’incrocio con la provinciale del passo del 2018-02-17_085210_Cavallo ricomincia a  fare capolino la neve ai margini dell’asfalto. Proseguo attraverso il centro abitato di Bione e mi dirigo verso lo strappo finale della Madonna della neve, poco meno di un chilometro con punte del 17%. Lo affronto con cautela, le strade sono ghiacciate e nonostante io abbia scelto di affrontare questo giro con la gravel (700×38) il rischio di scivolare anche in salita è sempre presente.

Scollino ed inizio la discesa, ripida e gelata, (video 28″) verso nord il cielo sembra volersi aprire e tra le nuvole si vedono larghe strisce di azzurro, dietro di me a sud verso il sole ancora nulla da fare un sottile velo grigiastro gli impedisce di riscaldarmi. Sono a Casto e svolto a sinistra seguendo il cartello per Alone ed il parco delle Fucine. Le Fucine sono una zona molto nota agli alpinisti in quanto decine di linee ferrate consentono di impratichirsi con la scalata in montagna. Esiste anche un bellissimo parco avventura, ma oggi a -2°C nessuno ha voglia di lanciarsi sulla zip line. Io proseguo sulla bellissima strada che porta ad Alone, al primo tornante la abbandono per seguire sulla destra il cartello Valle Duppo. “In to the wild” la strada diventa subito cementata e molto rovinata.

A metà salita mi fermo per gustarmi una barretta energetica, il panorama e scattare qualche istantanea di questo luogo incontaminato che, con la luce invernale ed una spruzzata di neve tutt’intorno, acquista un tono fiabesco ed onirico.dupinv03Riparto mi attende la parte più dura della salita, circa trecento metri costantemente sopra il 15%. “Stream of consciousness” mi alzo sui pedali e mi sovviene la musica della “corsa di resistenza” (video 44″) reminiscenza militaresca, la urlo mentre il cuore sale. Avrò passato troppo tempo sottozero e il cervello mi si è gelato??? Oltrepassato il muro svolto a destra verso Lodrino, la salita vera è finita ora un bel toboga mi porterà alla Cocca di Lodrino in poco più di un chilometro. A metà decido di fermarmi nuovamente, vorrei prolungare ancora un poco la mia permanenza in questo luogo dimenticato da tutti; sapori e profumi di natura incontaminata.

Riparto, la neve fa la sua comparsa perfino sull’asfalto in questo tratto poco esposto al sole e sopra i 700m. (video 28″). Arrivo a Lodrino, ritorno alla civiltà, prima di iniziare la discesa il tempo per un selfie con i monti innevati della val Trompia a fare da sfondo.

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La temperatura è risalita di qualche grado, perlomeno ora siamo sopra allo zero. Inizio la discesa guardandomi in giro e godendomi le montagne ancora cosparse di neve. A metà discesa, proprio nell’abitato di Invico, incrocio un ciclista che sta salendo, è il mitico Giorgio (quello che quest’autunno attraversava gli appennini a 4°C in completo estivo perché poi a Portofino avremmo avuto caldo! vedi Dagli Appennini a Portofino (and back)). Ci fermiamo scambiamo due parole, l’incontro di un amico è sempre la cosa più piacevole, ripartiamo subito per non raffreddarci troppo. Anche stavolta mi batterà con quasi il doppio dei miei chilometri e tre salite contro le mie due ah! ah! Arrivato a Brozzo, prima di immettermi sulla ex statale di fondo valle per il rientro, mi cambio i guanti ormai congelati dalla discesa ed indosso quelli che custodivo al caldo sotto il giubbino. In meno di due minuti anche i mignoli riprendono la giusta sensibilità. Oggi sto usando la gravel ed allora sfruttiamola fino in fondo. A Gardone Valtrompia, passato il semaforo per Polaveno, invece di restare nel traffico mi butto a destra sulla ciclabile. Percorro la strada bianca che costeggia l’argine sinistro del fiume Mella e raggiungo la città, senza attraversare strade trafficate o sentire il rumore di camion alle spalle. Non me ne accorgo quasi e sono a Collebeato, esco dalla ciclabile ed affronto gli ultimi chilometri su stradine alternative che mi conducono a casa. I chilometri non sono molti 74 per 1.212m di dislivello in 3h22′, ma la temperatura media del giro è di 0°C  e questo mi basta per renderla una “frozen ride”.

Valle Duppo il vestito invernale di dona forse più di quello estivo!

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Valle Duppo invernale

Videogallery: Discesa dalla Madonna della neve di Bione – Valle Duppo, fine tratto duro – Valle Duppo fine salita

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Allenarsi in salita d’inverno? Si può! Alle Cariadeghe e ci si diverte!

Fino ad alcuni anni fa l’inverno, per me, rappresentava una sorta di letargo. Io che adoro le montagne e la salita trascorrevo questa parte dell’anno in attesa che la temperatura risalisse per poter ricominciare a scalare. Come tanti, seguendo il dictat dell’allenamento classico, scorrazzavo, un poco contro voglia, per le lande umide della Franciacorta o per le colline sinuose della Valtenesi. Come si diceva: ‘Facevo la gamba’. Nel 2012 tramite una delle aziende che rappresentavo acquistai un misuratore di potenza integrato nel mozzo della ruota posteriore. Le cose cambiarono velocemente nel giro di un anno. La nuova tecnologia applicata all’allenamento, i nuovi materiali per l’abbigliamento sempre più traspiranti e veloci nell’evacuare il sudore resero l’allenamento invernale completamente diverso. Finalmente si potevano scalare salite più o meno brevi anche con il freddo senza rischiare di congelarsi ad ogni discesa. Inoltre l’utilizzo dei watt come parametro dell’allenamento rese possibile effettuare una moltitudine di esercizi, proprio in salita. In fondo, dal momento che il mio obiettivo è portare la mia bicicletta a scoprire e violare sempre nuove montagne, quello che mi serve è, soprattutto, allenarmi in salita. Non ho ambizioni di migliorare i miei record personali in termini di tempo impiegato, ma di percorrere maggior dislivello e coprire distanze più lunghe. Per questo diventa fondamentale mantenere la mia capacità aerobica e resistenza alla distanza ad un discreto livello durante i mesi freddi in modo da essere pronto ad allungare il chilometraggio ed alzare il dislivello ai primi tepori primaverili. Nasce così l’esigenza di trovare tra le nostre salite quelle più adatte ai climi freddi. Il ‘Lido’ di Cariadeghe così chiamiamo questo meraviglioso altopiano sopra l’abitato di Serle è la meta ideale per l’allenamento in salita nelle stagioni più fresche.

Il versante che sale dalla città è esposto al sole fino dall’alba e la sua roccia marmorea si riscalda rapidamente dando piacevoli sensazioni di tepore fin dalle prime pedalate. Oggi 17 dicembre, per la settantacinquesima volta in cinque anni parto all’alba in direzione della mia palestra invernale preferita. Sono le 7.37 quando aggancio il pedale, nel giro di qualche minuto il termometro del mio gps si attesta a 1°C. Sta per sorgere il sole, io percorro viale Venezia in direzione est, qualche nube striata arrossa il cielo sull’orizzonte quasi fosse un tramonto. Uscito dalla città e dal suo auto-riscaldamento, la temperatura inizia a scendere, poco prima di lasciare il comune di Brescia, in aperta campagna mi fermo a fotografare un’incredibile alba. Ci sono -3°C, il terreno è brinato e il monte Maddalena rosso come il fuoco!

Riparto immanentemente, troppo freddo! A Botticino inizia la salita per Serle e le Cariadeghe, la temperatura è scesa a -4°C sarà il punto più basso. In queste limpide e gelide giornate l’inversione termica fa la sua parte e dopo soli quattro chilometri sono a San Gallo a 1°C, qui finisce la prima parte della salita. Pendenza media vicino al 7% piuttosto regolare (max 12%), giusto il tempo di una SST di 20″, ora mi aspetta un chilometro circa di pianura e discesa attraverso l’abitato. Uscito dal paese inizia la seconda parte di salita, poco più di tre chilometri anch’essi con pendenza regolare vicino a 8% e punta del 9,5%, un’altra SST da 15″. Arrivo nella frazione Castello da cui parte (sulla sx) una cementata che sale irruenta verso Valpiana (1,5km al 14%medio). Salita ottima per i fuori soglia, ma a questa temperatura, sono tornato sottozero, troppo rischiosa con la bici da corsa, meglio optare per un’altro chilometro in falsopiano che mi porta alla Cocca di Serle da dove inizia l’ultimo tratto di salita verso Casinetto. Sono altri 3,6km con una pendenza media di 4,9%.

Media ingannevole, in quanto dopo un breve tratto al 8% la strada prosegue in mezzo alle prime doline per un chilometro in falsopiano. Ora ho di fronte il chilometro  e mezzo più impegnativo costantemente  sopra il 10%, con un tratto in ombra che spesso è ghiacciato. Lo supero ed entro finalmente nella parte più alta dell’altopiano, quella da cui si ha la vista migliore sugli alpeggi, mi fermo e fotografo un mucchietto di neve, residuo della nevicata di due settimane fa.

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Arrivo alla fine della strada asfaltata, da qui in poi è terreno dei bikers! Io giro la bici  pronto per il ritorno e scatto altre fotografie di questo luogo incantato così vicino alla città (25km) e al tempo stesso così isolato e lontano dalla frenesia urbana.

All’uscita da Casinetto mi fermo ad una pozza ghiacciata nella dolina, l’avevo fotografata un mese fa quando ero salito l’ultima volta ed era ancora increspata dal vento.

Subito dopo la pozza scendendo sulla destra c’è un bellissimo boschetto di larici, inusuale a questa altitudine (850mt.), l’altopiano è territorio dominato dalle betulle e dai carpini. Oggi i loro rami sono spogli la nevicata di quindici giorni or sono ha lasciato cadere tutti gli aghi, ma il mese scorso erano nel pieno del loro splendore!

Riparto, percorro il primo tratto di discesa e dopo pochi minuti sono nel paese di Serle pronto ad affrontare una dolce salita di cinquecento metri che mi riscalda. A metà mi fermo ed immortalo la pianura sottostante, ancora leggermente brinata, e l’estremità meridionale del lago di Garda; ora ci sono 5°C, ma fermi al sole sembrano il doppio.

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Riparto, attraverso il falsopiano di Zuzurle, sorrido sempre quando leggo questo nome sul grande cartello. Nuovamente sono a Castello, qualche centinaio di metri in salita ed ecco la prima vera discesa. Ormai il sole irradia calore ed arrivo a San Gallo senza patire freddo. Un’altra breve salita di qualche centinaio di metri riattiva il mio metabolismo e riporta i battiti cardiaci sopra le 100 pulsazioni (sono scese fino a 75 lungo la discesa). L’ultima discesa, la più lunga, è anche la più fredda, infatti arrivo a Botticino e la temperatura è scesa nuovamente a 2°C. Ora mi restano una decina di chilometri di pianura, che percorro ad un buon ritmo per riscaldarmi e per giungere in orario dalla mia famiglia. In totale son quasi 50km e 2h28min di allenamento, con un dislivello di poco superiore ai  1.000mt, ma quello che più conta è che anche oggi i miei occhi hanno goduto di panorami mozzafiato.

Allenarsi in salita divertendosi, anche d’inverno!

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Dalla Forra di Tremosine alla neve della val di Bondo

Oggi sabato 9 dicembre è giunto il momento di collaudare la rinnovata ‘LinaBatista’. Abondo01vrei bisogno di un intero articolo solo per Lei, per capire cos’è e perché è nata più di dieci anni fa, ma oggi si parlerà d’altro. Sono le 8.20 del mattino, il sole è da poco sorto ed io parcheggio l’autovettura a Campione di Tremosine, piccolo delta sabbioso sul lago di Garda formato dai detriti del torrente San Michele e meta ambita dai surfisti di tutto il nord Italia. La luna è ancora alta nel cielo, in opposizione al sole che sta facendo capolino dalle pendici del monte Baldo. Scarico la bici e la immortalo con uno scatto sotto questa suggestiva luminosità.bondo02

 

Parto, direzione Tremosine, esco dal piccolo borgo, entro in galleria e mi ritrovo sulla gardesana, un paio di chilometri e svolto a sinistra. Inizia il divertimento, salgo verso la forra di Tremosine, una delle strade più belle al mondo che già ho percorso e descritto più volte nei miei giri estivi (Tignalga in solitaria,  La strada della Forra, passo Nota e la Grande Guerra). Quest’oggi voglio percorrerla in una gelida giornata invernale, sul lago ci sono 6°C, ma so già che appena abbandonato lo specchio d’acqua le cose cambieranno. Arrivo alla prima lunga galleria, questa volta opto per la vecchia strada esterna dismessa ormai da decenni. In alcuni punti l’asfalto non si riesce quasi a vedere data la miriade di piccoli detriti che continuamente franano dalla sovrastante roccia tagliata a vivo. Comunque, con cautela, sarebbe percorribile anche con la bici da corsa (video). Il panorama è di quelli da lasciare senza fiato, a sinistra la roccia tagliente sale in verticale sopra di me, a destra lo strapiombo sul lago, in mezzo io su una lingua d’asfalto larga  meno di un paio di metri. Rientro sulla via principale, oltrepasso le ultime gallerie e prima di abbandonare il lago lo immortalo in un paio di fotogrammi.

Entro nella forra! La temperatura inizia a calare e l’umidità a crescere. L’angusto anfratto fa da cassa di risonanza al reboante torrente Brasa. Io passo, mi immergo in questo fragore, la mente si libera ed io tacito ascolto, contemplo, ammiro. Esco, il rumore assordante ora si affievolisce fino a scomparire nel silenzio di questa salita poco frequentata in questa stagione. Osservo il gps, la temperatura è scesa a -1°C, non me ne sono nemmeno accorto. Passano una decina di minuti e sono a Pieve di Tremosine, attraversando le anguste vie del centro con i suoi sottoportici arrivo alla terrazza del brivido. Già di suo la vista qui è incantevole, oggi un cupo nembo sovrastante il basso lago la rende eccelsa! Io ringrazio e fotografo (video).

Riparto verso Vesio, la frazione principale del comune di Tremosine, luogo da cui parte  la val di Bondo e la strada per il passo Nota. Non credo di essere in grado di arrivare fino ai 1.200mt. del valico, ma voglio capire dove posso andare con le ruote grasse (700×38) di una gravel. Per me è la prima esperienza su un terreno simile e neanche io so di preciso dove il mio scarso equilibrio riuscirà a portarmi. Oltrepasso l’abitato e finalmente si apre di fronte a me la piana di Bondo. Un tempo era un lago, talvolta anche ai giorni nostri, quando le precipitazioni sono copiose e persistenti, si forma un acquitrino dovuto alla presenza di terra argillosa poco permeabile nel primo sottosuolo. Oggi la meraviglia! La candida e lucente neve presente nei campi illumina la piana che, ancora nell’ombra del mattino, fa da contraltare alla calda e assolata cordigliera delle creste del Tremalzo.

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Entro nella valle, ad ogni pedalata aumentano le lastre di neve ghiacciata sull’asfalto, comunque le due strisce parallele create dagli pneumatici dei veicoli restano pressoché pulite, la temperatura è scesa nuovamente sotto allo zero e proseguendo verso il passo Nota non potrà che calare ulteriormente. Dopo un paio di chilometri arrivo al parco giochi ed alle postazioni dei pic-nic. Mi ricordo, dal giro di quest’estate, che erano posti proprio in fondo alla valle prima dell’inizio della salita. La temperatura è scesa a -4°C, inizio quasi ad abituarmi, le tracce di asfalto pulito sono quasi scomparse; fortunatamente il sole è arrivato anche qui ed inizia a riscaldare. Dopo il parco un ponticello sul torrente di Bondo sposta la carrareccia sul versante sinistro della valle. Mi fermo proprio in mezzo, sgonfio i copertoni, scendo di poco sotto le due atmosfere in modo da avere la maggior trazione possibile, non sono un biker, ma certe cose si sanno. Prima di ripartire mi godo il paesaggio, il silenzio, la calma ovattata della montagna e scatto fotografie.

Riparto, non sono preoccupato, quando non me la sentirò di proseguire girerò la bici, già quello che ho visto e percorso fin qui mi ripaga del freddo patito. La strada è quasi completamente bianca, anzi per alcuni tratti pedalo su di un candido manto di neve, le pendenze non sono ancora impegnative e mi sorprende la tenuta e la trazione delle mie gomme, salgo senza problemi, solo raramente dove la neve è divenuta ghiaccio scivolo leggermente (video). Passo la fontana, oggi asciutta, dove quest’estate feci rifornimento, la pendenza si fa più severa vicino al 10%, al contempo le lastre di neve ghiacciata aumentano. Io temo per la discesa, non sono mai sceso da una strada innevata. È passato circa un chilometro dal ponticello ed io inizio a perdere aderenza più spesso , decido che come prima esperienza può bastare. Sono certo che, con questa stessa bici, persone con più pratica di me sarebbero arrivate fino a passo Nota, ma va bene così. Inizio la discesa, a passo d’uomo oserei dire, piacevolmente vedo che non perdo il controllo della bici (video), ritorno al sole e decido di fermarmi per la sosta tecnica: barretta, giacca asciutta, fotografie, tante fotografie, lungo questo bellissimo ponticello pedonale. Sono estasiato, sereno, rilassato, quasi il tempo si fosse fermato e vorrei cristallizzare questo momento come la neve che ho di fronte.

Sfortunatamente devo rientrare, mi rivesto, riparto, riguardo il parco giochi; Alice e Matteo quest’estate veniamo a fare un pic-nic così potete fare le ‘arrampicazioni’ come le chiamate voi. Passato Vesio mi dirigo verso Voiandes e poi Sermerio per ultimare il quadrilatero delle frazioni di Tremosine, ma all’incrocio per quest’ultimo, mi balena un’idea. Sono qui con la gravel, perché non assaggiare un tratto della sterrata che porta all’alpeggio di San Michele, un’altra via che conduce tramite mulattiera fino al passo Tremalzo salendo alla sua sinistra? Svolto a sinistra seguendo il cartello, dopo cinquanta metri l’asfalto lascia il posto allo sterrato. Questa valle è molto più esposta al sole rispetto a quella di Bondo e la neve, sebbene la quota altimetrica sia identica, è già scomparsa quasi completamente. Mi inoltro per due chilometri e mezzo, giusto per rendermi conto di come sia e per gustarmi questo bosco di pini cembri (video). Non ho punti di riferimento, scoprirò a casa che se avessi percorso ancora un chilometro sarei arrivato all’eremo di San Michele. Meglio così, materiale per un nuovo giro! Ritorno, gustandomi ancora il panorama, prima di rientrare sull’asfalto decido di immortalare anche il monte Tignalga e la valle di San Michele.

Giunto nuovamente sulla provinciale, lo sguardo è rapito dal Baldo che mi osserva in lontananza. Mi fermo lo fotografo e riparto alla volta di Sermerio

Inizio la discesa, ma non appena prendo velocità sull’asfalto liscio scopro, a mie spese, che con la gomma anteriore così sgonfia lo sterzo tende a chiudere troppo le curve. Mi fermo, saggiamente sulla ‘LinaBatista’ ho montato una mini pompa con manometro di precisione, gonfio i miei tubeless, salgo da 2 bar fino a 3,5 bar sull’anteriore e fino a 4 bar sulla posteriore, forse un po’ alte per una gravel, ma ormai ho solo asfalto da percorrere. Riparto prendo velocità ed è tutta un’altra storia. Oltrepasso Sermerio e Pregasio sotto di me il lago è leggermente offuscato dal vapore che il caldo sole solleva dalle sue acque.

Nuovamente attraverso la Pieve e inizio la discesa verso la forra, questa volta ci sono turisti che la percorrono a piedi, io me la godo un’altra volta. Giunto di nuovo al cospetto del lago decido di fotografarlo tra una galleria e l’altra.

Ripercorro la strada esterna per evitare la galleria non illuminata. Mi immetto sulla statale in direzione Salò come recita il cartello. In galleria svolto a destra e prendo il tunnel in uscita per Campione. Da piccolo, quando percorsi l’alta gardesana per la prima volta con i miei genitori ed i miei nonni Lina e Batista,  rimasi affascinato e sbigottito dal fatto che in una galleria ci potesse essere lo svincolo per un paese altrimenti irraggiungibile via terra; nel mio immaginario le gallerie dovevano essere come dei tubi con un entrata ed un uscita soltanto. Sono a Campione, il sole scalda, come sempre sul mio lago, i 9°C sembrano molti di più. Io mi avventuro sul pontile dell’imbarcadero per scattare le ultime fotografie di giornata.

Riparto, percorro il lungolago sul passaggio pedonale, d’inverno a Campione non c’è praticamente nessuno, svolto a sinistra, arrivo davanti al duomo, svolto a destra, imbocco uno stretto vicolo che riporta alla piazzetta dove avevo parcheggiato; oltrepasso un ponticello pedonale sul torrente San Michele, sì quel torrente che, partendo dalle pendici del Tremalzo e passando per la valle omonima da me poc’anzi percorsa, sfocia nel lago di Garda creando il delta su cui è adagiato Campione. Sono arrivato, pochi, pochissimi chilometri, solo quarantacinque, velocità ridotta, 1.000mt di dislivello e soprattutto incantevoli, splendidi e fiabeschi paesaggi. LinaBatista, buona la prima!

ValleDiBondo

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!@LaForraDiTremosine,ValBondo,ValSanMichele (…e che neve sia❄️!)

Videogallery: Strada della Forra di Tremosine (4’13”)Vecchia strada esternaPieve di Tremosine-Terrazza del brividoPasso Nota nella neveDiscesa in val di BondoGravel San Michele

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Dosso dei Galli autunnale

Dopo la fantastica escursione di sabato scorso al Monte Lesima, mi è venuta un’insana voglia di salire agli ex-radar NATO del Dosso dei Galli (2.126mt.) in questa stagione autunnale per ammirarne i colori particolari. Sono le 5.45 di sabato 7 ottobre quando, insieme all’amico Rick, partiamo da casa, almeno per un’ora e mezza saremo al buio. Dopo il forte vento di ieri sera la temperatura è calata enormemente; partiti a 11°C già a Concesio siamo a 8°C. Il vento di termica soffia forte contro di noi e il freddo percepito è ancor più intenso. Procediamo convinti verso l’alta valle oltrepassando i paesi in successione: Villa Carcina, Sarezzo, Gardone Val Trompia, Marcheno (video 44″). Siamo già a 4°C, da qui iniziano i tratti senza illuminazione stradale e la luna piena insieme alle mie potenti luci anteriori ci guida verso Bovegno. Passato il borgo la luce del giorno inizia a rischiarare la valle, ora i gradi sono 2°C! Ci fermiamo un istante, Rick riposiziona i copri-scarpe e ripartiamo. Attraversiamo Collio e ci dirigiamo a San Colombano, da qui inizia la parte dura della salita, sono quasi 9km al 9% di pendenza media per arrivare al bivio appena sotto il passo Maniva  e altri 8,4km con media del 5,4%, ma estremamente incostanti con lunghe rampe tra il 10% ed il 12% per giungere al Dosso dei Galli.

Sono circa le otto, siamo già oltre San Colombano, pendenza attorno a 11% e suona il telefono di Rick. ‘Agnoli’ vuole sapere dove siamo, prima di recarsi al lavoro. Risposta eloquente: ‘Passato San Colombano! Neanche per venire a sciare al Maniva eravamo già qui a quest’ora!?!’. Ribatte la Cri: ‘Tutto bene, fa freddo?”. Rick: ‘Siamo in salita all’undici e ci sono 0°C!’. Proseguiamo lentamente, ma con costanza (video 45″). Non so quanti watt sto usando per mantenere la temperatura corporea nella norma, ma sono molti. In poco meno di un’ora siamo al bivio appena sotto il passo Maniva; abbiamo deciso di non fermarci per le fotografie lungo la salita per non raffreddarci ulteriormente. Le faremo al ritorno. Proseguiamo verso il Dosso dei Galli, finalmente il sole illumina i monti; purtroppo leggere velature ad est lo nascondono spesso impedendo al suo irraggiamento di riscaldarci un poco (video 1’35”). Arrivano le prime rampe al 12% ed anche il forte vento, siamo ormai costantemente vicini al crinale. Facciamo davvero fatica ad andare avanti; infatti alla difficoltà della pendenza si aggiungono energiche raffiche frontali che ci rallentano ulteriormente. La temperatura glaciale ed il vento, che penetra attraverso le nostre giacche, ci stanno raffreddando sempre di più, nonostante lo sforzo intenso che dovrebbe mantenerci caldi . Al tornante sopra il rifugio Bonardi guardo il  Pozzone, in una sola notte sotto zero l’acqua di superficie è già ghiacciata. Sulla seconda rampa oltre 10% di pendenza Rick perde qualche metro. Siamo tra il monte Dasdanino e il Dasdana,  si inizia a vedere il lago di Garda! L’orizzonte è così limpido che si distinguono perfettamente tutte le vette dell’appennino e la pianura padana è un orribile lago di inquinamento marroncino! Non ce la faccio mi devo fermare e scattare almeno due fotografie prima di giungere ai radar.

Rick mi ha superato, proseguiamo verso il Dosso dei Galli, ora alla nostra sinistra verso nord si distingue chiaramente il ghiacciaio del Bernina. Non mi fermo, troppo freddo. Finalmente la meta, il cancello davanti all’ultima corta rampa che porta alla ex base NATO. Purtroppo scopriamo che questo fine settimana la zona è interdetta a causa di una partita di softair, infatti il luogo brulica di uomini in assetto tattico pronti ad impallinarsi con proiettili di gomma. Pazienza, mangiamo un fruttino, mettiamo i guanti e ripartiamo. Io cerco di scendere al Maniva senza mai fermarmi per abbreviare il tempo al gelo (video 39″). Giungo primo, entro ed ordino due cioccolate calde con crostata. Entra anche Rick, iniziamo a spogliarci ed appoggiamo gli indumenti vicino al fuoco. Dopo quasi quattro ore di pedalata siamo madidi del sudore che la temperatura vicino allo zero ci ha ghiacciato addosso.

Con calma sorseggiamo la cioccolata bollente, ci scattiamo alcune fotografie, le inviamo a casa a testimonianza del freddo e ripercorriamo con orgoglio le ultime ore. Il tempo vola, quando ripartiamo, completamente rifocillati e riscaldati, è passata un’ora esatta! Ora prima di scendere chiedo a Rick di spostarci nel piazzale sul versante di Bagolino per scattare alcune istantanee.

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Si scende, la temperatura è risalita fino a 8°C ed io mi fermo più volte per fotografare tutto ciò che prima non avevo potuto e voluto catturare a causa del freddo (video 45″).

Passato San Colombano, inizia una lunga cronometro fino a Ponte Zanano, interrotta soltanto dalla svestizione della mantellina di Rick. Qui svoltiamo a destra in via Patrioti per abbandonare la ex statale e spostarci sulla riva ovest del fiume Mella. Attraversiamo le frazioni di Noboli, Cogozzo, Villa, Cailina senza più ritornare sulla trafficata strada della val Trompia. A San Vigilio ci infiliamo sulla ciclabile del Mella, una strada bianca ben tenuta che ci consente di arrivare in città costeggiando il fiume e senza traffico (video 18″). Alle soglie di Brescia il termometro del GPS supera finalmente i 20°C, gongolo sotto al sole che ormai splende alto nel cielo, ma per scaldarmi ci vorrà il successivo bagno bollente. Prima di lasciarci diamo un’occhiata ai dati del ciclo-computer, 121km e 2.181m di dislivello, temperatura media 6°C, più di tre ore consecutive vicino allo zero. Ricordiamo la partenza notturna, la risalita lungo tutta la valle sempre più stretta e tortuosa, i meravigliosi e gelidi scenari autunnali del Maniva e del Dosso dei Galli ed infine il tepore del rientro.

Che freddo, ma che emozioni!

Felice di averle condivise con Rick, da solo avrei abbandonato!

 

Descrizione dettagliata su Strava:Cicloturisti!@DossoDeiGalliAutunnale

Video: Valtrompia di notte,  Ciclabile del Mella,  Maniva salita,  Maniva discesa,  Dosso dei Galli salita,  Dosso dei Galli discesa

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Cima Piemp, uno splendido balcone sull’alto Garda.

Domenica 20 agosto, ultimo giorno della settimana di ferragosto ed ultima possibilità per una gita come piace a me, prima della ripresa dell’attività lavorativa. Sono le sei e dieci minuti quando parto verso Salò, ormai il sole spunta dalla sommità del monte Baldo dopo le sei e mezza e questo mi dà la possibilità di scattare le mie fotografie preferite quando il cielo inizia a rischiarare.

Arrivo a Gargnano e come sempre mi infilo nella ciclabile che mi consente di evitare la prima galleria, dopo un’ora e mezza sono al bivio per Tignale ed inizio la salita. Da qui per quasi quattordici chilometri la strada punterà solo verso l’alto. I primi setteCimaPiempdaGardesana chilometri sono quelli che portano a Tignale con pendenza regolare e mai impossibile. Giungo alla prima frazione, Oldesio, questa notte un forte temporale si è abbattuto sul Garda ed i segni qui sono più visibili. Sull’asfalto un tappeto di fogliame e piccoli ramoscelli suggerisce di procedere con cautela. Mi sorprende la solerzia dell’amministrazione comunale che ha già uomini al lavoro per ripulire la strada. Arrivo a Gardola, attraverso il centro e prendo a destra per Olzano, da qui la strada è per me inedita. Poco più avanti la strada principale prosegue con un tornante destrorso, mentre una secondaria entra nel centro del borgo; ovviamente scelgo la seconda, più ripida, ma decisamente più caratteristica (video 22″), mi ricollego alla principale ed entro nel vivo della salita che mi porterà ai 1.100mt di cima Piemp. Qua e là qualche cartello scritto a mano segnala il percorso per la vetta. La strada è sempre più sporca, sembra davvero di pedalare su un prato erboso segno che il temporale questa notte è stato davvero forte. Dopo un chilometro il primo tratto cementato, e se c’è il cemento la pendenza sale subito in doppia cifra. Ritorna l’asfalto e la strada torna a faCimaPiempdaGardolarsi più dolce; continuerà così in un alternarsi di cemento (a volte molto sconnesso) e asfalto fino a cima Piemp. La pendenza dopo i primi tre chilometri rimarrà costantemente in doppia cifra e spesso intorno al 14-15%. Salita dura, difficile a causa del terreno sconnesso e delle foglie cadute nella notte (video 52″). Io salgo con regolarità e mi godo questa pineta meravigliosa; larici ed abeti la fanno da padrona. Il sole che ormai è alto nel cielo non riesce a penetrare questo fitto bosco per alcuni chilometri. Dopo quattro chilometri, quando l’altimetro ha superato già i 900mt., la pineta offre alcune aperture verso l’orizzonte. Con mia grande sorpresa uno scorcio guarda verso la valle che porta da bocca Paolone verso Costa di Gargnano, il successivo rivela la sagoma delle cime di Baremone e Dosso alto.

Proseguo, ancora due chilometri sempre attorno al 14%, il crinale dei monti inizia ad intravedersi tra gli abeti, arrivo ad un bivio, a sinistra si prosegue su carrozzabile sterrata verso il passo d’Erè e poi scendendo a Costa, a destra una sbarra segna la fine della strada e l’arrivo al rifugio Piemp. Scendo dalla bici ed arrivo alla piccola radura di fronte alla baita. Sorpresa, grande sorpresa, dopo chilometri nella folta vegetazione d’improvviso si apre un balcone incredibile sul lago di Garda. Sapevo che questa salita mi avrebbe regalato una grande emozione, ma non immaginavo così. Cima Piemp da oggi entri di diritto tra le mie salite preferite! Mi fermo scatto fotografie a nastro, mangio barretta e fruttino, sono più di tre ore che pedalo, un po’ di languorino ce l’ho!

Vorrei non ripartire, indugio parecchio gironzolando per il prato, ma oggi è giornata corta, ho promesso il rientro per mezzogiorno. A malincuore inizio la discesa, passo nuovamente da Olzano mi concedo una fotografia panoramica, il temporale ha reso complicata la salita, ma il cielo terso, che ci ha lasciato, consente viste spettacolari.

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Arrivato a Gardola, decido di entrare a destra in una via laterale che conduce alla parrocchiale sperando di trovare un buon punto fotografico, questa volta no, nulla di eccezionale. Proseguo nella discesa, anche oggi decido per il ‘passaggio segreto’ (vedi La strada della Forra, passo Nota e la Grande Guerra) e mi ritrovo a Gargnano senza aver percorso gallerie, sono le 10.30, giungo nella frazione di Bogliaco e svolto a destra verso Cecina per evitare un po’ di traffico. A Toscolano sono nuovamente in statale, ma oggi non c’è il tempo per il classico San Michele da Gardone, via diritti verso Salò, le Zette, la Valtenesi. Sono le 11.35 quando arrivo davanti al cancello di casa, per una volta con discreto anticipo. Alla fine sono ‘solo’ 92km e 1.851m di dislivello, ma sono soddisfatto per aver trovato un’altro balcone con vista lago sopra i mille metri di altitudine.

Grazie Lago anche oggi hai saputo stupirmi nonostante ci conosciamo da quasi cinquant’anni!

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!@CimaPiemp(1.100mt) balcone sull’alto Garda!!!

Videogallery: Olzano 22″                  Cima Piemp 51″

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Passo del Bernina, Forcola di Livigno

Sono le sette e mezza del 25 agosto quando, raggiunta con leggero anticipo la cittadina di Tirano in Valtellina, ci concediamo una colazione al bar. Siamo io e Carlo, il quale mi parla dell’importanza artistica del santuario della Beata Vergine, che sta proprio davanti a noi mentre sorseggiamo il nostro caffè. All’uscita, prima ancora di inforcare la bicicletta, il mio raptus fotografico ha il sopravvento.

Finalmente si parte, ci aspettano più di trentatré chilometri di salita per giungere in vetta al passo del Bernina (2.330m) da cui speriamo di godere della vista del suo splendido ghiacciaio. In realtà il cielo è ancora coperto da nuvole, attraversiamo il confine ed entriamo nel cantone dei Grigioni, ironizziamo sul nome che corrisponde alle attuali tonalità della val di Poschiavo. Giungiamo al lago ed il cielo inizia ad aprirsi, siamo già saliti oltre i 900m ed i primi 8km di salita sono alle spalle (media 7%). Ora ci attende un lungo falsopiano che costeggia dapprima il lago e successivamente arriva all’abitato di Poschiavo. Abbandoniamo la statale per entrare in centro al paese. Quando andavo a Livigno per lavoro ero costretto a passare all’esterno, ora che sono in bicicletta voglio proprio vedere com’è. La curiosità è ripagata, la via pedonale è molto graziosa.

Usciti dalla cittadina la strada ricomincia a salire, a San Carlo inizia il vero passo del Bernina; PassoBerninaDaTiranola strada si addentra nella pineta con lunghi rettilinei interrotti sporadicamente da ampie semi curve, le pendenze sono regolari tra 7% e 10%, il traffico è piuttosto intenso per essere una strada di montagna. Dopo 24km giungo a Sfazù, da cui si ha una splendida visuale sulla valle, Carlo è un poco in ritardo ed io ne approfitto per scattare qualche istantanea e mangiare un fruttino.

Ripartiamo insieme, siamo sopra i 1.600m, iniziano i tornanti e finalmente il paesaggio diventa meraviglioso. In pochi chilometri siamo nel piccolo pianoro di La Rosa a quota 1.900m. La vista si apre verso le vette innevate, impossibile non fermarsi a fotografarle.

Riparto, ancora un paio di chilometri e sono al bivio per Livigno, proseguo e dai tornanti controllo la posizione di Carlo; è due tornanti sotto di me, ma l’andatura è regolare  segno che sta bene, ‘Sale del suo passo’ parafrasando Davide Cassani. Siamo sopra i 2.100m il vento si fa sentire, larici ed abeti sono scomparsi ed hanno lasciato spazio a macchie di prati verdi tra le rocce granitiche dei monti.

Ormai sono in vetta, 2.330m recita il cartello davanti a me, sulla sinistra il ghiacciaio del Bernina parzialmente coperto dalle nubi. Scendo qualche centinaio di metri per giungere all’ospizio da cui si ha una vista mozzafiato sul lago Bianco, sulle vette ghiacciate e sulla valle Bernina. Mi fermo nel grande piazzale, contemplo questa meraviglia, accompagnato dal rumore del vento che sussurra alle mie orecchie.

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Ritorno in vetta per aspettare l’arrivo di Carlo, un ‘selfie’ sotto il cartello ce lo siamo meritati. Iniziamo la corta discesa verso il bivio per Livigno, meta della nostra gita odierna. Dopo il bivio e la dogana Svizzera ci attendono altri 4km prForcolaDaBerninaima di giungere alla Forcola (video). La salita questa volta è incostante, il primo chilometro abbondante è in falsopiano e leggera salita; il tratto duro inizia dopo aver attraversato il ponte sul torrente Poschiavo, pendenza sopra il 10% per cinquecento metri, poi una breve pausa al 6%, quindi quasi un chilometro costantemente sopra 11%, il paesaggio ora si è fatto brullo e desolato, nessuna traccia di interventi umani a testimonianza dell’inospitalità del luogo, ma proprio questo è il suo fascino.

Giungo in vetta, attraverso il confine e mi affaccio sulla valle di Livigno, il sole e le nuvole ci donano dei panorami con chiaroscuri incredibili.

Arriva anche Carlo, si inizia la discesa verso Livigno, dove sosteremo per il pranzo. Sono passati solo 43km da Tirano, ma è ormai mezzogiorno e lo stomaco inizia a brontolare. Giunti in paese (video) ci fermiamo ad una trattoria con graziosi tavoli all’esterno su una via scarsamente trafficata. Entrambi optiamo per un carpaccio di Bresaola, leggero e nutriente; un caffè e via si riparte. Nell’entrare in paese avevo notato molte abitazioni tipiche, ora prima di andarcene due le devo proprio fotografare, Carlo prosegue.

Dopo le istantanee lo raggiungo, ‘chiaccheriamo’ mentre usciamo da Livigno e ci dirigiamo verso l’inizio della vera salita. Quest’estate abbiamo avuto poche occasioni per pedalare insieme, e per entrambi è un piacere ricordare la grande gita di primavera ai Colli di San Fermo (da Vigolo, Bratta). Inizia la salita,

ForcolaDaLivignosono poco più di 8km dal ghiacciodromo alla vetta; i primi 3,5km sono molto facili con una media di 3,5%, successivamente la strada presenta un lungo tratto, di circa 4km, con pendenze regolari tra 6% e 8%, solo nell’ultimo chilometro, quando si arriva alle gallerie proteggi frana, la pendenza si fa severa superando il 10%. Durante la salita mi fermo a scattare fotografie e giunto in vetta aspetto un attimo Carlo per immortalarlo sui 2.315m della Forcola. Iniziamo la discesa,

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prima i quattro chilometri che ci portano al bivio del Bernina, poi una lunga picchiata di oltre 30km verso Tirano; pochi tornati, tanti rettilinei e velocità che si assestano tra i 55km/h e i 65km/h anche per me che non amo la velocità(video). In venti minuti siamo nuovamente a Poschiavo, inizia il falsopiano che costeggia il lago, qualche chilometro e le pendenze ci fanno nuovamente prendere velocità. Ci dobbiamo fermare poco prima del confine, per lasciar passare il famoso trenino rosso del Bernina (video). Si riparte, sono le 15.15 quando arriviamo al parcheggio. Anche oggi il meteo ci ha aiutato. Temevamo un clima più fresco sulle vette, considerati i temporali degli ultimi giorni; invece la bolla di alta pressione è ritornata anche qui e ci ha regalato temperature comprese tra 15°C e 24°C lungo tutto il tragitto. Solo ora al ritorno ci riporta alla dura realtà dei 30°C del fondo valle, ma poco importa, giornata splendida e la compagnia che mi mancava da un po’. Grazie Carlo.

Dettagli tecnici su Strava: Cicloturisti!@PassoBernina,Forcola,Livigno,ForcolaDiRitorno

Video: – Salita al passo del Bernina (long version 2’03”)

– Discesa Forcola/Bernina a Tirano (long version 1’40”)

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