Sono le 6.05 di domenica 15 novembre di questo infausto 2020 quando parto per un giro che più volte avevo pensato di creare, ma che alternative decisamente migliori mi avevano fatto posticipare. Ora, ringraziando Mr.Covid, è giunto il momento di definire i dettagli della traccia e metterla in pratica. Come sempre per scaldare la gamba inizio a salire verso il monte Maddalena. Le previsioni del tempo non sono eccellenti, comunque io ci provo ad essere in vetta all’alba. Al sesto chilometro un ultimo sguardo al centro da “Landscape” il punto panoramico.

Mentre il buio lascia spazio ai primi bagliori luminosi del giorno, io mi avvicino alla fine della salita e mi rendo conto che la forte foschia impedisce al sole di farsi vedere. Qualche ripresa video in movimento, ma niente soste. Entro nel piazzale delle Cavrelle e percorro il periplo della chiesetta di Santa Maria Maddalena sullo sterrato smosso. Un bagliore bianco si intravede al di là della foschia, è il sole appena sorto.
La temperatura è scesa a 2°C ed io inizio la discesa verso Muratello di Nave. Il confine del Parco delle colline di Brescia scende lungo la costa del monte Denno per unirsi al crinale del colle San Giuseppe. Per qualche centinaio di metri, nel bosco, la strada sconfina nel comune di Nave per poi riportarsi sul confine. All’ottavo tornate in discesa parte la sterrata che conduce dapprima a cascina Calamandri e successivamente, attraverso il sentiero John Piccinelli, alla cascina Le Paneghette.
Questo per la mia ghiaiosa è il tratto più complicato. Lo ho già percorso settimana scorsa in esplorazione, la traccia è in leggera discesa con continue gobbe cosparse di sassi e radici sporgenti. In alcuni punti per precauzione sgancio il pedale e mi aiuto con il piede sinistro, a monte, spingendomi tra le insidie. Arrivato alle Paneghette il bosco lascia spazio alla radura coltivata.
Nonostante il tempo uggioso è sempre un passaggio suggestivo, sul primo tornante in discesa lascio la carrabile e seguo nuovamente il cartello del sentiero Piccinelli che mi porta, stavolta con facilità, al roccolo del San Giuseppe. Rientro sull’asfalto e scendo verso Mompiano, aria di casa e di infanzia. Nel percorrere le vie della mia città mi sovvengono ricordi passati come quello della fonte di Mompiano, luogo di una delle prime gite scolastiche. Attraverso il mitico “ponticello” sul torrente Garza che mi conduce al villaggio Prealpino. Quel ponticello che da piccoli rappresentava il confine oltre il quale non si poteva andare, perché si usciva dal quartiere e si doveva attraversare la temibile statale del Caffaro. Il Prealpino assieme alla frazione Stocchetta rappresentano il confine nord del comune di Brescia. Attraverso via Triumplina, costeggio il capolinea della metropolitana e dirigo verso il ponte sul Mella. Non lo varco, sarebbe sconfinamento nel comune di Collebeato. Prendo invece la stupenda ciclabile del Mella scendendo lungo l’argine verso il quartiere di San Bartolomeo. Nonostante l’ora, sono da poco passate le otto, iniziano a vedersi parecchi camminatori lungo il sentiero, effetto della zona rossa impostaci dal governo. All’incrocio con il ponte di via Risorgimento svolto a destra, è ora di esplorare la zona nord-ovest della città. Risalgo leggermente verso nord per completare il giro della frazione di Urago Mella lambendo il quartiere della Pendolina, estremità nord-est della città. Ricordi d’infanzia: per anni, questo nome è stato semplicemente una scritta sulla mappa degli autobus di linea, che, per noi bresciani, resteranno sempre “le filo (filobus)”. La linea E – Pendolina/Caionvico, conduceva dall’estremità nord-ovest all’estremità est passando per il centro. Insieme alla “nostra” linea C – Mompiano/Noce era la linea portante del sistema urbano, quella con le frequenze di passaggio più alte (5min). Noi, studenti degli anni ottanta, ce le ricordiamo bene, all’epoca erano i nostri mezzi di trasporto per girare la città. Il gps mi costringe ad abbandonare i miei dolci ricordi, devo controllare la traccia, salgo per via Campiani, una cementata, no forse meglio dire piastrellata, insomma una strada in cui si è usato di tutto per creare un fondo meno scivoloso. Sotto le mie ruote trovo cemento, piastrelle in cotto, tracce di bitume, alveari in plastica come quelli che si usano nei giardini dove si parcheggiano le automobili.
Poco meno di un chilometro che mi conduce a Poggio Maria da dove partono i sentieri per il Pì Castel. La pendenza è impegnativa con una media di 12% e punta vicino al 20%.
Sfortunatamente anche dai 250m del poggio la vista è fosca. Scendo e dirigo verso ovest, un altro piccolo strappo ho inserito in questo giro urbano, è quello della val bresciana, luogo noto per le sue trattorie che servono piatti della tradizione, insomma “polenta e osei”. Quasi un chilometro fino alla fine dell’asfalto, ma stavolta meno impegnativo con media vicino a 8%. La strada proseguirebbe ancora larga e sterrata fino ai roccoli e alle trincee, ma il giro è ancora lungo, foto di rito e ritorno sui miei passi. Tramite via Torricella mi porto sul piccolo scollinamento noto a tutti i ciclisti come “la Fantasina” in realtà questa località è un poco più avanti già nel comune di Cellatica. Ora scendo verso sud, mantenendomi vicino al confine attraversando lo splendido bosco di S.Anna. Per me è la prima volta, la strada si fa quasi subito sterrata, anche se di quelle ben battute percorribile anche in bdc. Mi sorprendo della bellezza di questo posto, adatto alle corse dei runner, ma anche a piccole e facili escursioni per bambini. Ci voleva un lockdown per farmelo scoprire! Esco dal bosco al Santellone, sono entrato nel quartiere della Badia, assieme alla Mandolossa, estremità ovest della città. Ora devo seguire fedelmente la traccia, questa zona della città è quella che conosco meno, soprattutto nelle sue viuzze interne. Scendo verso il villaggio Violino, tramite sottopassi giungo a sud della ferrovia, per portarmi a ridosso del confine con il comune di Roncadelle. Ikea e Elnos sono lì, a pochi passi, al di là del confine, anche loro tristemente chiusi. Per attraversare il fiume Mella che, in questa zona, segna il confine con Roncadelle sono costretto a tornare a nord fino al ponte di via Milano (altri non ce ne sono).
Riprendo la ciclabile del Mella in direzione sud, anche questa parte non l’ho mai percorsa. All’inizio è larga e si snoda all’interno di un parco ben tenuto, poi si stringe sull’argine del fiume. Arrivato al doppio ponte ferroviario sono costretto ad una fermata fotografica rapito dal contrasto tra la modernità del nuovo ponte dell’alta velocità dipinto di graffiti e la solidità di quello maestoso e robusto della vecchia linea, il tutto impreziosito dal roboante fragore del fiume che ivi compie un salto artificiale.
Aggancio il pedale, attraverso via Orzinuovi, e dirigo verso la Noce. Un passaggio obbligato questo sotto la tangenziale e l’autostrada che non ha nulla di interessante. Riprendo finalmente l’argine del Mella, che qui è confine con il comune di Castelmella, ora la traccia è un vero single track nel bosco lungo il fiume, alla mia sinistra la Zona Industriale di Brescia e la Noce, quella frazione che da piccolo decisi di visitare dalla “filo” facendo capolinea/capolinea senza mai scendere. Anche in questo bosco sono ben visibili i segni della tempesta di quest’estate.
Sono quasi al confine, esco dalla ciclabile svoltando a sinistra e punto la ruota anteriore verso le Fornaci, estremità sud della città. Sono da poco passate le nove del mattino, le strade sono pressoché deserte, la giornata uggiosa non favorisce certo gli spostamenti, solo qualche passante con il suo cagnolino. Pochi anche i ciclisti, quasi fossero in letargo. Al sottopasso della tangenziale ovest, incrocio un ciclista è Mauro dello Spring Bike, mi fermo, una chiacchiera, lui relegato nel comune di Flero con nessuna salita da poter scalare mi invidia non poco, mentre qui, sul confine, gira lungo l’argine del Mella. Ci salutiamo, ci saranno tempi migliori, come l’ultima volta che lo incrociai scendendo da Lodrino poco più di un mese fa. Proseguo nel mio viaggio all’interno della città, oltrepasso il vecchio centro di Fornaci e dirigo verso Verziano, ironicamente nel video lo descrivo come luogo famoso per il depuratore dell’a2a. Nella realtà in questa zona campestre avvolta spesso dalla nebbia invernale o dalla canicola estiva è difficile trovare elementi di interesse che non siano i grandi e numerosi tralicci dell’alta tensione. Alle porte di San Zeno sono costretto a risalire verso nord, oltrepassando la frazione di Folzano, e i sottopassi delle autostrade. Qui per uno strano gioco di confini con il comune di San Zeno non c’è altra soluzione per spostarsi verso est senza attraversarlo se non quella di risalire fino alla Volta, oltrepassare il casello di Brescia centro e ridiscendere verso le cave. Questi chilometri sono in assoluto i più brutti, immersi negli stradoni principali. Fortunatamente l’effetto lockdown garantisce un traffico pressoché inesistente. Dopo il casello costeggio la “celebre” fabbrica Alfa Acciai, ripasso sotto le grandi arterie di comunicazione e costeggio il confine comunale circumnavigando il “parco delle cave”. Speravo di avere qualche sguardo in più su di esse, ma sfortunatamente dalla strada si vede un gran poco, il tempo è tiranno e sono costretto a proseguire seguendo la traccia. Sorrido, ho tracciato nei minimi particolari e sono certo che il percorso, fatta quell’eccezione nel bosco, scorre tutto all’interno o esattamente sul confine comunale; ciò nonostante, in questa zona i cartelli dei comuni di Borgosatollo (Gerole) e Castenedolo (Bettole) paiono indicarmi che ho sconfinato. In realtà la strada è esattamente sul confine e quindi il lato destro è dei comuni confinanti mentre il sinistro è di Brescia.
Risalgo verso nord-est, attraverso la frazione di Buffalora con la sua chiesa dalla cupola a volte, mi infilo nella nuova ciclabile che passa al di sotto della tangenziale sud e costeggia la cava dismessa Gaburri-Odolini, un’altra piccola sosta fotografica con annessa barretta.
Riparto, sono ora davanti all’altro capolinea della metro (S.Eufemia), mi dirigo verso Caionvico, la frazione all’estremo est della città. Nuovamente i cartelli stradali mi fanno simpatia. Cinquecento metri prima della mia svolta a sinistra per restare nel comune compare il cartello di Botticino. In effetti i numeri civici a destra appartengono a quest’ultimo, mentre quelli di sinistra spettano alla frazione di Caionvico (Brescia). Entro nel borgo storico, la strada si fa acciottolata, nella piccola piazzetta curvo repentinamente a destra e salgo per via Caionvico, oltrepasso la chiesa e proseguo, di lì a poco la strada diventa sterrata, comunque una carrabile. In tutto poco più di un chilometro, la parte iniziale con forte pendenza (vicino al 20%), la seconda metà in mezza costa fino all’ultima cascina che segna il confine con Botticino.
Bellissimo il paesaggio immerso nei vigneti con la “Madda” che domina da occidente e, finalmente, colori autunnali resi più vivi da un pallido sole che accenna a riscaldarmi. Sosta fotografica e rientro per le vie del borgo. Ora punto rapido verso il centro, attraversando Sant’Eufemia, via della Bornata, viale Venezia, ma quando sono in procinto di entrare nell’urbe svolto nuovamente a destra in via Benacense. Non sarebbe un tour urbano completo senza qualche acciottolato di quelli che fanno male! Ed eccomi a scalare via Canalotto, più che un ciottolato o un lastricato, un assembramento di grandi sassi poco smussati che ricordano un’antica via romana. E’ corta, meno di quattrocento metri, con una pendenza progressiva che culmina oltre il 20% nelle ultime decine di metri.
La scarsa aderenza dovuta ai continui saltelli rende il tutto ancor più faticoso. Sono in via Amba d’Oro, qualche centinaio di metri in falsopiano e svolto a destra per il ciottolato di via Valsorda, uno dei nostri preferiti nel cosiddetto “Jedi city tour”. Questa via è un’alternativa al primo chilometro della “Madda”, infatti si congiunge con la salita classica proprio sul primo tornante.
Qui si trova un celebre e particolare monumento bresciano “La Tomba del Cane”, doveva essere il monumento sepolcrale di Angelo Bonomini, ma le nuove disposizioni comunali che vincolarono le sepolture al solo interno dei cimiteri ne impedirono l’uso personale. La tradizione vuole che vi sia sepolto semplicemente un cane da cui il nome della tomba. Inizio la discesa, sono a poche centinaia di metri da casa, ma non sarebbe Brixia Fidelis senza aver scalato anche il colle Cidneo sede del castello da cui gli Asburgici si difesero durante le “X giornate di Brescia”.
Salgo da Piazzale Arnaldo, luogo amatissimo dai giovani bresciani per la “movida notturna”. La salita è lunga poco più di un chilometro, la parte finale, la più suggestiva, con pavimentazione in sanpietrini e stretti tornanti. Uno sguardo al maestoso portale di San Marco e inizio la discesa verso via San Faustino (patrono della città). Casa è vicina, percorro Fossa Bagni naso all’insù, osservando le mura da sotto. Il perimetro è completo sono 82km di giro con 1.174m di dislivello, ma conta poco, ho scoperto luoghi nuovi della mia città, ho ricordato percorsi e luoghi della mia infanzia, ma soprattutto, una volta ancora, ho avuto la conferma che la “Leonessa d’Italia” è una città che non teme confronti. Una città racchiusa tra monti, colline, cave e campagna. Una città dalla lunga storia e cultura, ricca di capolavori artistici.
Grazie Mr.Covid a qualcosa mi sei servito!
Traccia completa su: STRAVA oppure KOMOOT
Videogallery: Brixia Intra Fines (13’56” video integrale)
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